Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

lunedì 19 agosto 2013

Strafatto di profumo.

Oggi sono finito in un matrimonio. Io, solo, fra le damigelle d'onore. Tutta colpa dei controlli all'entrata dell'albergo: davanti a me c'erano due ragazze di per sé dotate di una certa (e meravigliosa) stazza, avvolta, per di più, in un chilometro buono di stoffa, appoggiata su 18 centimetri abbondanti di tacchi, affogata in un litro tutto di profumo d'Arabia. Al metal detector hanno provocato colonna. E io dietro, col mio zainetto e i miei due ferri del mestiere. Oddio dietro, direi praticamente appiccicato. Così è successo che siamo passati insieme attraverso la sicurezza e per come vanno le cose mi sono ritrovato nel meeeeraviglioso corteo di damigelle e giù tutti per una lunga scala come stessero girando un film.

Da qualche parte un gruppo suonava all'impazzata, segno che sposa e sposo erano già arrivati e stavano per salire in camera dove si sarebbero visti per la prima volta (è quello che speravano mamma e papà su entrambi i fronti) nudi, dove lei avrebbe assaporato per la prima volta (è quello che sperava lo sposo) un uomo e dove la sposa, infine, si augurava, pregando chi poteva, che lui invece un'idea, di come una donna è fatta e "funziona", ce l'avesse già.

Nel frattempo, mentre tutti questi pensieri passavano nelle teste di tutti questi personaggi, io stavo da dio in mezzo a un morbido paesaggio di ragazze, qualcuna già sposata, qualcun'altra ancora in attesa. Scendevamo e scendevamo insieme quella scala, io ero ormai strafatto di profumi ed essenze, i miei occhi erano perdutamente prigionieri degli svolazzi delle abbondanti stoffe. Avanzavo al ritmo, deciso e tuttavia indefinito, di una buona ventina di tacchi a spillo. Io come un re.

Dovevano, le ragazze, appartenere alla buona società, perché pur essendo egiziane con certificato, si esprimevano in inglese, con quell'accento americano assorbito consumando ore e ore - ma cosa dico: giorni, mesi, anni  - di serie TV a stelle e strisce. Spazzatura. Io avrei voluto urlare: silenzio! Lasciatemi svanire dentro questo sogno meraviglioso. Lasciate che mi perda nella illusione che voi tutte, ragazze, siete qui per me e che ora, tutte insieme, mi state portando in piscina, dove mi vedranno per una volta almeno arrivare non solo e con due cellulari in mano, noooooo, non solo, questa volta bensì accompagnato da 10 ragazze.

Non mi sono perso in nessuna illusione. Ho invece svoltato a sinistra verso gli ascensori con lo sguardo basso. Mi avevano beccato. L'intruso. Vestito da schifo. Neanche profumato. Neanche annunciato. Giuro che una, una soltanto ma una basta, mi ha guardato. Ho sentito i suoi occhi sulla schiena mentre strisciavo verso l'ascensore. Due laser assassini. Bruciavano come una sfida. Gìrati, mi dicevano, gìrati.

L'ho rivista questa sera, devo ammetterlo aveva il trucco un po' sciolto, ma era bella come prima. Mi ha guardato, ha esitato un attimo, e ha tirato dritto. Ci siamo detti in silenzio una cosa: che domani - o forse ancora questa notte - fuori da questo fottutissimo albergo la gente potrebbe tornare a morire. Per niente. O cristo, che giornata.


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