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(c) 2013 weast productions / Amira Al Tahawi, giornalista |
Domani, nella Regione, racconto dal Cairo, di cui pubblico qui il (solito) estratto. Nell'articolo conoscerete anche Amira, una giornalista egiziana che, fra i pochi rimasti, pensa con la propria testa.
Sul largo vialone che conduce a Piazza Ramsìs
sono rimaste centinaia di pietre, abbastanza per farci una guerra. I muri dei
pilastri che sostengono il cavalcavia sono butterati dai proiettili. Tira una
strana aria, in realtà è la solita : quella che puzza di violenza, di
odio. E che pesa, sui polmoni : una melassa catarrosa che non la sputi
fuori più. E c’è, in quest’aria, la vibrazione bassa e costante della
consapevolezza che aggredisce i civili prigionieri della violenza, come una
malattia che non guarisce : morire così non ha senso. Hai voglia a convincere una madre che
suo figlio è un martire ed è morto ammazzato per una causa. Non passa. Non con
le madri. Non con quella che tiene gli occhi bassi e appena il mio corpo diventa
ombra sul marciapiede, alza lo sguardo e me lo posa sopra. Ed è uno sguardo
dentro il quale precipiti, portato via dalla vertigine della caduta che prende
velocità e non vuole finire. Non finisce. Lesh ?,
sussurra la donna. Perché ? Una
domanda che ha un significato duplice : perché ammazzarlo, mio figlio, che
aveva ventidue anni ? E perché farsi ammazzare, a ventidue anni, per che
cosa ?
Caro Gianluca,
RispondiEliminaquale contrasto nel Suo Blog tra giugno e adesso : un perfetto specchio degli avvenimenti al Cairo.
A giugno, Lei l’aveva riempito di innumerevoli fotografie, anche di notte : marea di gente con cellulari in mano, effervescenza per le strade, straordinarie espressioni di bambini. Malgrado la tensione alle stelle : vita. Anche se poteva succedere di tutto...
Prima di ripartire, aveva rilasciato uno scatto di un ponte senza traffico, mezzo chiuso, silenzioso. Premonitorio.
Oggi le Sue fotografie sono scarse, quasi inesistenti sul Suo Blog. E non è soltanto a causa del coprifuoco. Che cosa fotografare : macerie, cadaveri, sangue ? Insomma : morte.
Sangue già. Versato “come lo champagne” e giustificato da entrambi le parti. Gli uni, sull’altare della patria per salvarla dal “terrorismo” senza riguardo per gli “effetti collaterali” (quest’ultima parola sentita oggi : Le ricorda qualcosa ?). L’attore senza film ne è davvero convinto o recita un copione che gli è stato troppo spesso presentato ?
Gli altri, dalla troppa voglia di “martirio” come strumento per incaminarsi verso il potere. Alla madre che ha perso il figlio, il martirio che le resta colmerà veramento il vuoto lasciato nel cuore ?
Non vedo l’ora di leggere il Suo articolo : disperavo che fosse rimasto qualcuno ancora capace di pensare da se in Egitto. E per fortuna è una donna ...
Buon proseguimento nel Suo lavoro. A presto.
Donatella
Non pubblico foto perché quelle che scatto riesco a fornirle tutte a diverse testate. La ragione è questa, in realtà.
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