Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

lunedì 22 luglio 2013

Il mondo è come te lo raccontano.

È nato. Maschio. 4 kg. Tutto apposto. Benvenuto in un mondo difficile.

Alla fine sono uscito a mangiarmi un carpaccio, non me la sentivo di affrontare la trota in carpione, abbiamo condiviso alcune riflessioni che a stento scambi con un amico. Ho un cuore anch'io.

Sono tornato a casa sotto l'acqua che scendeva con l'idrante: una doccia che non facevo da una vita. Sono nato per la seconda volta. A dire la verità, è forse la quinta. Fa un effetto danondire.

Auguri a tutti, sentiti, mamma, papà, figlio. Se posso: cerca di essere utile, tu che cristosantissimo hai tutta la vita davanti.

Il pesce in carpione è ancora nel frigo: l'ho aperto per toglierci una birra. Mi guardava con un occhio solo, messo giù di fianco com'era. Sembrava chiedermi come stava andando il mondo, lì fuori, fuori dal frigo. Tutto okay, amico mio. Vadadio. Abbiamo tirato il fiato per il bimboreale nato sano. E l'abbiamo trattenuto per il papa finito incolonnato in Brasile con tanta gente attorno alla sua macchina. Cosa vuoi che sia? Il Brasile è un paese cattolico. Pensa se erano musulmani: non ne uscivamo più. Sarebbero partiti tutti i giornalisti da salotto per raccontare questa storia: il papa circondato dai musulmani.

Va come è sempre andato: il mondo è come ce lo raccontano. E, visto che tu lo chiedi a me, accontentati che sia come te lo racconto io.

Segue confessione.

Non so cosa fare con il pesce in carpione: per rianimarlo mi sembra troppo tardi. Lasciarlo in frigo... ma fino a quando?

Domani lo metto sul piatto, poi vediamo. Ci sarà pure un'altra notizia a salvarti, se non la vita, caro mio, almeno la parvenza di una. Serberò la memoria di un amico sincero, anche post-digestione.

E qui di seguito: ragazza senza nome, Yemen. Per prestare fede alla serie annunciata nel post precedente e mettere quel minimo di trascurabile contrappeso a quello che ci raccontano. Del mondo. E di che cos'altro, diversamente?

(c) 2013 weast productions

Kate e il mio pesce in carpione.

La Duchessa di Cambridge è all'ospedale. In maternità. Col Principe William al suo fianco. La famiglia reale UK con il fiato sospeso. Il mondo - scrive la BBC - è in attesa. Di più: in spasmodica attesa.
Io ho comprato un pesce in carpione alla Coop: ho sbagliato. Soldi buttati. Non oso toglierlo dal frigo e apparecchiarlo per timore di perdermi il momento che apparentemente tutti aspettano. Non lo mangerò mai. Mi sento quasi qualcosa anch'io, nella pancia. Vuoi vedere che?.... Eppure, cristosanto, non l'ho mica fatto io quel bambino. Non ce l'ho io il sangue blu.
Aspetta: l'ANSA scrive che è iniziato il "travaglio" e che c'è un "esercito di mamme e davanti al St. Mary's Hospital" e che tutte queste mamme (mi viene l'ansia soltanto a immaginarle) urlano "forza Kate". Il travaglio, ooooodddiiio, Kate, respira, ti prego, uno dentro uno fuori, ancora uno, e spingi, spingi ora, Kate, respira, un bel respiro profondo.
Auguro tutto il bene del mondo a Kate e a suo marito e un bimbo splendido.
E invidio - ci sto arrivando - i fotografi e cameraman schierati davanti all'ospedale: un'immagine riuscita, quella giusta, ti sistemerebbe per una mezza vita. Del tipo: tendina scostata e mamma che guarda fuori, ancora un po' scossa, provata, con il neonato in braccio che fa ciao (ma come fa?) con la manina. O uno scatto di Pippa che è lei è lei sì è lei e che si fionda dentro l'ospedale come sa fiondarsi soltanto ella.

È tutta invidia, lo so. Quella di uno che porta a casa sempre e solo immagini di sfigati. A me piacciono gli sfigati, va bene? E a tanti miei colleghi pure. Perché non sono sfigati.
Che fatica piazzarle, però, queste immagini! Perché se la BBC scrive che "il mondo è in attesa" che si compia il parto di Kate, sarà pure vero. Si aspetta quel parto, il suo.

Io non ci credo. Non penso che il mondo sia fesso. La stampa è fessa, questo sì, ma non il mondo. Mi piacerebbe, allora, che domani la BBC - tutti, non soltanto la BBC - iniziasse a raccontare un parto al giorno. In ciascuna area del mondo. Con protagoniste donne che hanno tutti i nomi possibili e immaginabili. Sono sicuro che il mondo aspetterebbe davvero. Comincio io, con Amina, origine: Kenya.

Ho deciso di togliere il pesce in carpione dal frigo e di mangiarlo.

Il sito della BBC:

(c) 2013 BBCNEWS


Amina:

(c) 2013 weast productions

venerdì 19 luglio 2013

Drones.

Due post più in basso si parla di Yemen. Di immagini dallo Yemen. Credo valga la pena - ne sono convinto - leggere questo articolo, apparso oggi sul New York Times. Cliccando QUI

giovedì 18 luglio 2013

E delle donne?

Domani scrivo delle donne. Di autocritica ne abbiamo fatta abbastanza, noi ometti. 

Scatti da un'inaugurazione.

Alcuni scatti dall'inaugurazione di "Yemen, la sfida raccolta", ieri sera (17.7) all'Ospedale Regionale La Carità di Locarno. Grazie a chi ha fatto sì che queste fotografie siano, ora, esposte. Immagini della serata di Massimo Pacciorini. Tutti i diritti riservati (c) 2013 Ospedale Regionale La Carità, Locarno. 








 

 















La "dittatura del giardinetto"


A volte mi spiace. Detto da un bastardo, è dire tutto. Mi spiace, ad esempio, per il ragazzo del fazzoletto di carta di ieri sera. Avrei anche potuto ignorarlo, che andasse avanti con la sua vita senza finire dentro un racconto. E tuttavia: oggi ho ricevuto sei righe scritte da una persona che proprio ieri aveva trascorso una serata uguale a quella che stava trascorrendo la ragazza con le lentiggini (vedi post precedente se non sai di che cosa sto parlando). Forse, addirittura, la stavano trascorrendo insieme: gli stessi secondi, gli stessi minuti, lo stesso tipo di ometto davanti agli occhi. Che ci sia un problema di fondo? C'è. Il maschio è a terra, uguale alla gomma di una macchina, magari la sua. Troppi acquisti online, troppe creme e cremine, troppa roba giusta da mettersi addosso, troppi calzini cambiati due volte al giorno, troppe mutande cambiate tre volte al giorno, troppo deodorante, troppo profumo, troppo ruolo. Tutta roba che ti frega, perché tolta quella ci sei soltanto tu. E qui sono dolori. Ti devi inventare qualcosa. È dura, lo sappiamo tutti. E poi, guarda, c'è poco da farci giri intorno: siamo piatti, noi uomini, questo ci frega ma tanto. Siamo sempre alla ricerca di un modo di comportarci, di fare le cose, di dare un'impronta alla serata. Ecco: dare un'impronta alla serata. Un'impronta d'elefante, finisce quasi sempre così. Meglio, allora, fare finta di niente, cercare di essere il più fedeli a noi stessi. Non si sbaglia. Ne esci, magari, con le ossa rotte, ma almeno non hai fatto cazzate.

Voglio aggiungere qualcosa, argomento diverso: sto incontrando molta gente, molta davvero, interessata al mondo. Qui da noi, Svizzera italiana. Lo dico ogni volta che mi capita di constatarlo. È un piacere sapere che c'è questa attenzione, questa disponibilità ad assorbire. Non ne ho mai dubitato. Ed è una delle battaglie che porto avanti: raccontare il mondo. E pensare che c'è chi vorrebbe farci credere che, invece, le cose non stanno così. La chiamo la “dittatura del giardinetto”. Chi ce l'ha e lo coltiva – davanti casa o nella propria testa – arriva a pensare (cristo, ma mettendoci uno sforzo pazzesco) che se questo mondo soffocato vale per lui/lei, vale per tutti. E sto parlando di televisione, giornali eccetera, insomma: di informazione.
Aspetta: non sarà che se noi maschi siamo diventati così piatti è anche colpa loro? Che ce l'hanno data a bere, che li abbiamo copiati (giornali, TV, la monnezza di telefilm che mandano in onda, notizie e ben altro ancora, ecc.)? Che li abbiamo presi per buoni?

È blog estate: andiamo avanti senza navigatore, un po' sul leggero, ma non si vive di sola guerra.

Il cinese in pigiama.

Uno torna a casa tardi - si fa per dire - dall'inaugurazione di un'esposizione di fotografie. E siccome si è alzato un vento che ti viene addosso come una doccia fresca che sa di menta, si ferma a bersi una birra. E a farsi due sigarette. È uno di quei momenti che, per come gira il mondo, sai che qualcosa succederà. Una coppia si siede al tavolino. Lei si mette la borsetta sulle ginocchia, apre la cerniera, e tu che sei lì seduto a berti la birra sei investito dalla certezza che sta per svuotarla. Tutta. Non sei dotato di poteri paranormali, del tipo che leggi nella testa della ragazza. È soltanto che lui, il suo accompagnatore, le chiede un fazzoletto di carta. Quel genere di uomini che girano senza fazzoletti. Inizia una minuziosa operazione di svuotamento della borsetta. Escono, per prime, le cuffiette di un iPhone, intrecciate come amanti che aspettavano da una vita di poterlo fare. Dei cerotti. Caramelle. Due accendini. Una torcia elettrica mini. Un taccuino. Un paio di calzini a scomparsa. Monetine. La plastica accartocciata di un pacchetto di sigarette. Una sigaretta. Chiavi. Un autoadesivo con scritto "I love it...". Un paio d'occhiali. Ho l'impressione che la ragazza non stia svuotando la borsetta: sta togliendosi degli organi vitali. Uno dopo l'altro. Indispensabili nella ridondanza, nella quantità. Il fazzoletto, eccolo! Glielo passa, a lui che le sta davanti senza capire che lei - lei! - aveva appena spalancato un mondo paradisiaco che si rivelava nell'istante e nella sua irripetibilità. Lui si soffia il naso, devo dire male, molto male. Se lo soffia senza carattere: vergognandosi... Il cameriere gli porta un gelato al cioccolato, lei rifiuta il tè freddo, aveva chiesto un succo di mele. A lui cade un pezzo di gelato sulla camicia, un lungo e pigro filamento. Riprende il fazzoletto e ripara il riparabile. Non puoi uscire con un uomo che a mezzanotte mangia un gelato al cioccolato, cristo!
E subito, nell'istante che si sovrappone, eccolo: il cinese in pigiama. Non sono sicuro che abbia aperto la porta a vetri dell'albergo accanto alla terrazza del caffè nel quale sono seduto: l'ha attraversata, smaterializzando la sua magrezza. Dalla tasca destra del pigiama prende una sigaretta e l'accende. Il vento solleva la stoffa a quadretti bianchi e verde scuro sbattendogliela addosso. E la stoffa fa un rumore quasi impercettibile come di un foglio di giornale lasciato sul catrame. Ci sono soltanto ossa sotto quella stoffa. Fuma, una lunga sigaretta bianca. Gli occhi, dietro gli occhiali grandi, guardano nella notte. Passano tre, quattro persone, una ragazza rincorre l'orario dell'ultimo treno forse già in partenza, e il rumore delle sue ballerine ricorda l'applauso battuto dalle mani di un nano: la tenerezza e l'affanno.
Il cinese in pigiama fuma. E rifuma. E si guarda in giro come fosse in pieno centro di Londra infilato dentro uno smoking. Provo a immaginarmi la sua vita. Troppo tardi. La ragazza ha rimesso a posto i suoi organi, resteranno in ordine per qualche ora, sicuro fino a domani mattina, e compieranno il loro dovere riempiendola di vita. Lui ha finito il gelato. E - non ci crederete - riprende il fazzoletto di carta e se lo passa sulle labbra (ma davvero con uno così non esci!). Lei ha la pelle ricamata di lentiggini che ora le mandano inquieti segnali in codice: "vattene, sei ancora in tempo!".
Giro lo sguardo sul cinese in pigiama, che ha appena buttato la sigaretta facendola roteare a dieci metri di distanza. Sparisce. Non ho dubbi, questa volta: ha davvero attraversato il muro, rientrando in albergo. Sarà già in camera, ormai, magro com'è, così leggero. Col pigiama senza peso steso lungo e tirato sulle sue ossa. Senza peso anch'esse.
Vedi, la vita in fondo è anche questa. Io te la racconto. So che mi ascolti.

sabato 13 luglio 2013

Scatti dallo Yemen.



Siete tutti cordialmente invitati all'inaugurazione dell'esposizione di scatti fotografici dallo Yemen: mercoledì 17 luglio, ore 18.00 presso l'Ospedale Regionale La Carità di Locarno. Un ospedale che in Yemen gestisce un programma umanitario impegnato, destinato soprattutto ai profughi in fuga dalla Somalia e dal Corno d'Africa. Le fotografie vogliono essere la testimonianza della dignità di queste persone, raccolta sul posto: una rivendicazione di umanità dedicata a esistenze che non figurano in nessuna statistica di questo mondo.
È stato stampato un catalogo dell'esposizione con testi di Luca Merlini, direttore dell'Ospedale La Carità, Jaleel Al-Muaid, medico chirurgo yemenita che lavora e vive in Ticino e di Lorenza Rossi, direttrice della Cooperazione svizzera in Yemen.
Se desiderate restare per la cena yemenita che seguirà l'inaugurazione siete pregati di segnalarlo al numero + 41 (0) 91 811 47 55. Vi aspetto.

venerdì 12 luglio 2013

Come un valium taroccato.

(c) 2013 weast productions
Uguale agli amori estivi: finiscono presto. Meglio ancora: cominciano imbevuti della consapevolezza che sono roba così, da passarci una settimana, massimo due. Non sono, tuttavia e per questo, meno amori di altri. Soltanto: hanno dentro un orologio che corre veloce, un conto alla rovescia accelerato. Così è l'Egitto oggi. Mi spiego in due righe: i "ribelli", metamorfosi dei rivoluzionari del 2011; gli intellettuali, i "liberals", e quelli come il mio amico W. con cui lavoro; molti altri ancora. Innamorati dei militari come ti innamori di una donna di cui capisci che ti aiuterà a uscire da un brutto momento, da una crisi di identità, dal ricordo di un amore vecchio e finito male. Peccato che sarà peggio di prima, forse. Sento, già ora, aria di crisi a venire.

Ci sono gli altri, quelli che "ridateci Morsi". In love with the guy. Con tutte le ragioni del mondo e delle urne e tuttavia sprovvisti di una intuizione di Realpolitik o - detto altrimenti - "del senso di come vanno le cose a questo mondo". O semplicemente della conclusione che "o preghi o governi". Qualche innamoramento (diciamo: passione, anche se suona blasfemo nella circostanza) finirà contro il muro e saranno dolori.

Certezze: è così facile darcela a bere a noi essere umani (a farmi incazzare è che a darcela a bere sono altri essere umani, non super-esseri); le dicerie (i "rumors") possono scatenare guerre anche se - in realtà - non sono più pericolosi per se di un alito pesante: dipende da quanto profondo lo inali; e ancora: le pallottole (degli eserciti) hanno spesso ragione della realtà immediata, ma poi ci sono quelle che rimbalzano, e ci mettono anche giorni, settimane, a volte mesi. Quando ritornano fanno casino. The end per ora sull'Egitto. Grazie per avermi seguito su questo argomento.

Sorry, ultima cosa: detesto - ma è una cordiale esagerazione - diciamo che mi fanno l'effetto di un valium taroccato - gli esperti, gli analisti, i commentatori. Tutte quelle persone che il giornalismo odierno utilizza come foglia di fico. Per "spiegare" - o cristo ma si fa per dire - la realtà, quando invece bisogna soltanto farla vedere, anche se è inspiegabile subito. 

martedì 9 luglio 2013

Quella minoranza in cui affondiamo radici.

Sappiamo tutti che cosa è successo lunedì all'alba al Cairo: 51 morti e centinaia di feriti fra i sostenitori dell'ex presidente o presidente deposto Morsi dopo che i militari hanno aperto il fuoco. I telegiornali hanno mostrato tutte le immagini.

Non c'è una verità sulla base della quale costruire una riflessione (i militari sostengono di essere stati attaccati, i manifestanti dicono di no). Esistono soltanto versioni dei fatti.

Sono stato comunque al funerale (sempre al Cairo) del religioso copto ucciso da due uomini arati a El Arish, nel Sinai (6 luglio). Spesso i sentimenti e le dichiarazioni di una minoranza ti danno la temperatura di un paese.

Come avevo scritto un po' di tempo fa: le nostre radici affondano tutte nella terra abitata da queste persone. Lo dico senza escludere gli altri. Ma rivendicando il senso di una profondità. Intesa non soltanto in senso religioso, ma anche - e dal mio punto di vista soprattutto - umano e culturale.

Sono così stanco che non aggiungo altro, carico le fotografie delle esequie soltanto. Sono contento che il Telegiornale di RSI abbia trasmesso il servizio: dei cristiani in Medio Oriente non si interessa più nessuno. Se non a parole.

L'ultimo scatto mostra un ponte del Cairo senza traffico e persone: i militari sono sempre più presenti in città. Spesso una fotografia senza anima viva suggerisce meglio di tante altre immagini il senso dell'angoscia. Verso il futuro, metti pure anche soltanto domani mattina.

Tutti i diritti per le fotografie sono riservati (c) 2013 / weast productions.















domenica 7 luglio 2013

32 scatti. E qualche notizia.

Eccoci qua, per il dispaccio di oggi. La posta nella bottiglia dal Cairo. Le prime undici fotografie sono state scattate alla manifestazione dei Fratelli musulmani + sostenitori dell'ex presidente Mohammed Morsi, le altre, a seguire, sono state scattate a Piazza Tahrir fra chi, invece, difende i militari che si sono schierati per la formazione di un governo di transizione che dovrebbe portare a nuove elezioni presidenziali e parlamentari.

Non aggiungo molto, se non una nota: vedete come è difficile giudicare dalle apparenze, dalla presenza di un velo e/o di una barba. Lo dico per chi, e sono tanti, invece lo fa (qui, e sottolineo qui, intendendo l'Egitto, come pure a casa nostra). Ci sto prendendo gusto, e allora continuo.

Ho trascorso ore al sit-in dei Fratelli musulmani e ci sento meno di ieri a causa dei decibel sparati dal palco dove si susseguono oratori di ogni sorta. Uno in particolare mi trovo in dovere di segnalare: si tratta di Assem Abdel Maged (lo trovate su Google, magari partite da questa breve scheda della Reuters cliccabile QUI). Ebbene, dal palco ha detto alla folla che l'80 % di chi ha protestato e oggi ancora manifesta a Piazza Tahrir è composto da cristiani. Una frottola immensa. Dal palco in Nasr City (quartiere del Cairo dove si sono riuniti i sostenitori di Morsi) non ho sentito (ma non li ho ascoltati tutti) nessun discorso che proponesse un programma di governo magari corretto e rivisto alla luce degli eventi per andare avanti nel caso il Presidente tornasse o nella prospettiva di una riconciliazione nazionale. No, niente di tutto questo. Dal quel palco si sta incitando a una visione spezzata, frantumata e confessionale della società egiziana. È quanto denunciano anche coloro che manifestano in Piazza Tahrir. È un punto da tenere presente nelle riflessioni e nell'esercizio difficile di capire che cosa sta accadendo in queste ore. Ciò non significa che tutti quelli che ascoltano o che tutti quelli che chiedono il ritorno di Morsi, ritenendo la sua estromissione un atto ingiusto e non costituzionale, in pratica una sottrazione del loro primo voto democratico (questo va davvero capito come carburante della frustrazione), la pensino come l'oratore che ho citato. Ma questi discorsi fanno presa e fanno breccia.

A Piazza Tahrir sta concludendosi (si è praticamente conclusa) un'altra saldatura: quella fra il popolo della protesta e l'esercito. Non sono sicuro che sia una prospettiva allettante, ma è quanto succede.

Oggi ho imparato un'altra cosa: l'Egitto è ormai davvero spaccato in due. Sembra una battuta, ma la gente inizia a pensare in questi termini: liberale (da intendere nel senso di "tollerante", con le legittime colorature culturali del caso) o islamista?

Interessante. Pensare che fra la coalizione cosiddetta "liberale" (o comunque anti-Morsi e anti Fratelli Musulmani) ci sono i salafiti. 

Come scrivevo ieri: raccolgo schegge di realtà e le sottopongo alla vostra riflessione. Vi invito alla prudenza: queste considerazioni valgono per il paese dal quale scrivo, non sono applicabili a altre realtà, a costo di commettere semplificazioni di cui non mi riterrei comunque responsabile.

L'Egitto è esposto a tutti i rischi e scenari possibili e immaginabili. Ma è il primo paese (grazie alla sua straordinaria storia anche recente, vedi prima parte del XX secolo, quando da noi - intendo la Svizzera - le donne facevano le schiave nelle fabbriche e non votavano) che ha scoperto le carte. Lo scontro - aldilà di tutte le sfaccettature - è quello fra due visioni della realtà e della vita. Una, nella quale la religione viene utilizzata come strumento di mobilitazione e di assoggettamento, l'altra nella quale la religione è un fatto privato vissuto pubblicamente e accettato nei suoi incatenamenti sociali, ma mai in grado di soffocare il ragionamento. Sia pure un ragionamento che spinge (ha spinto) molti egiziani a mettersi a braccetto con i militari. Rispettati, ora addirittura acclamati, ma nella consapevolezza sempre, credo, che essi militari restano. 

Ecco, in conclusione: i Fratelli musulmani hanno scoperto la loro piazza a Nasr City; gli altri continuano a frequentare Piazza Tahrir come fosse un pezzo di mare nel quale tuffarsi per farsi passare reumatismi, raffreddori e tutto il resto. I primi parlano ormai, apertamente (perché messi alle corde dall'intervento dei militari in seguito alla mobilitazione della piazza, magari a volte anche pilotata, il mondo va sempre così, non raccontiamoci fiabe), di rivoluzione islamica. È, per loro, la prima, vera rivoluzione. Il popolo di Tahrir sta invece capendo che la cosiddetta "prima" rivoluzione (gennaio e febbraio 2011) non è stata che un antipasto. O forse nemmeno quello: diciamo un apparecchiamento.

Domani vado al funerale del sacerdote copto assassinato a Al-Arish, nel Sinai. Vi terrò al corrente e vi mostrerò il reportage video e fotografico.

Tutti i diritti riservati per le fotografie (c) 2013 / weast productions.