Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

domenica 31 agosto 2014

Gli indizi del mondo.

© 2014 weast productions
Quando un libro va in macchina, lo guardi come se fosse tua figlia: che esce per la prima volta di casa, da sola. Questo libro è andato in macchina. È dedicato a qualcuno di cui faremo il nome più avanti. Dedicato a questa persona e a tutte le altre che fanno e hanno fatto e facevano il suo lavoro. È un volume, mi auguro, che darà a tutti la voglia di raccogliere gli indizi del mondo: per diventare autori di una propria versione, basata sulle prove; e al riparo, in questo modo, dalle versioni ufficiali che, ufficialmente ma anche non, ci fornisce chi ha un interesse a farci credere che le cose stiano così: quando invece non stanno così. Le cose non stanno mai.   

giovedì 21 agosto 2014

In fila. Per ascoltarti.

© 2014 weast productions
“Guarda che hai una brutta faccia, brutta di un vero”. Ma, due punti, hai dormito? Cosa – punto interrogativo – hai fatto la notte scorsa. Se sei appena uscito di casa, non è facile. Non è: mai facile. Uno non è libero di lavorare tutta la notte e alzarsi presto. 

Prova a rispondere che hai preparato una bomba. O che hai pensato a come raddrizzare il mondo. Funziona. Se la dà a gambe, quello/a della domanda. Se indugia, butta lì che la vita ti sta appiccicata addosso come una carta da parati d'altri tempi, metti quella che andava per la maggiore (non ne andava un'altra) nella ex DDR. Non ti capirà mai. E: tira fuori due belle dita dalla mano, indice e mignolo, yes mister, ed esercita il tuo diritto allo scongiuro. Insomma, digli che se hai la faccia che hai, è perché sei vivo.

Dooopo, quando saranno passati anni da quella domanda, che è soltanto un modo di dire e per dare il peso che non meritano ai minuti che se la tirano, e che fatto il conto ne saranno passati massimo dieci, metti quindici, o metti pure largheggiando una giornata intera, chiedi a una cassiera (sei lì per la benzina) da dove viene. Se non hai paura della fila che si formerà dietro di te, chiedile della sua vita. Se non glielo hanno proibito, se non la stanno filmando e registrando, per togliere dal suo salario il tempo trascorso a raccontare, separandolo da quello trascorso a registrare fatturato, la cassiera magari la sua vita te la racconta. Vuoi vedere che funziona. Che uno si ritrova con la fila dietro, ma con nessuno che dice niente. Con tutti che ascoltano. Addirittura che quando hai pagato e te ne vai, qualcuno dice, due punti e punto interrogativo, ma come, è già finita, non va avanti, si ferma qui. Succedono, queste cose. Uno si sveglia la mattina, mette la faccia fuori e gli dicono che è una faccia da morto. Se hai un minimo di orgoglio, ti girano le palle. La sera, poi, ti metti a fare domande a una cassiera alla stazione di servizio. Dietro di te si forma una fila di gente uscita di casa con l'impazienza di rientrarci al più presto (di ritornare a vivere sottovuoto) e che ora (vuoi vedere che il mondo gira invece così?) è distratta, impaziente di ascoltare come va a finire la vita della cassiera. Come va a finire quello che questa ragazza pensa del mondo, come lo vede e lo capisce, cosa della vita si trova fra le mani. Che ti ritrovi fra le mani, se mi leggi passiamo pure al "tu". Fa una certa impressione scoprire che hai un bel po' di gente dietro di te, che priiiiima aspettava soltanto di andarsene, e che adesso è in attesa. In attesa che la ragazza non finisca mai di raccontare.

Un racconto ha sempre la fila dietro. 

La brutta faccia dell'inizio è un effetto. Per catturare lettori. Se uno che racconta dovesse raccontarsi, utilizzerebbe photoshop.  





mercoledì 20 agosto 2014

Un reporter sta in mezzo.

© 2014 weast productions

Un tweet al giorno, dal novembre 2012, da quando era sparito: “Free James Foley”. Liberatelo. E con il passare del tempo una nota: “missing since”, con il numero dei giorni trascorsi dal suo rapimento. Era partita una campagna globale, alla quale avevano aderito anche Faccia da reporter e SpazioReale. Nessuno sapeva se James fosse vivo o morto. Ora tutto il mondo sa che è stato assassinato. Decapitato davanti a una piccola telecamera (forse un cellulare, che ha filmato tutto) da un uomo mascherato e dall'accento londinese, che si rivolge al Presidente USA come potrebbe farlo la Merkel: dandogli del tu. E, come la Merkel probabilmente gli ha chiesto di non più spiare la Germania, l'uomo mascherato ha chiesto a Obama di sospendere i bombardamenti contro lo Stato Islamico, movimento che ha rivendicato l'assassinio di James Foley. E non soltanto. La storia, recente, è cronaca ed è nota a tutti: attacchi senza pietà sferrati contro i cristiani e altre minoranze religiose in Iraq, esecuzioni sommarie, scatenamento del libero arbitrio, un controllo sempre più brutale e radicato sul terreno della guerra in Siria. E non soltanto.

James era un free-lance: uno che va in giro per il mondo a cercare le storie in cui crede. In quella parte di mondo dove aveva viaggiato e lavorato, le storie in cui credere sono quelle che hanno come protagonisti gli innocenti, quelli che non imbracciano un fucile, quelli che non combattono, quelli che non ammazzano. Vengono, invece, ammazzati. Vale per tutte le altre zone del mondo dove si fa la guerra. Non so se ci avete prestato attenzione: c'è un'industria che non sta più nella pelle, ultimamente, anche in Europa. È l'industria degli armamenti. È in corso un ritorno di fiamma: c'è una gran voglia di fornire armi (qualcuno le dovrà comprare, anche se non saranno necessariamente i destinatari) per risolvere i problemi, dall'Ucraina (e stati confinanti) al Medio Oriente, in particolare Nord Iraq. Ci raccontano, come sempre, che è per difendere i civili. Ciascuno è libero di crederci, non mi addentro nelle questioni energetiche. Quando sento la parola “civili” uscire dalla bocca di quelli che hanno (e usano) le bombe, penso al lavoro che faceva James Foley: lui con i civili ci stava per davvero. In Siria, aveva visto la piega che il Medio Oriente sta prendendo, che ha ormai preso. È stato assassinato da un gruppo di criminali sponsorizzato, assecondato e armato (anche) da Stati che vantano perfette relazioni diplomatiche con le cancellerie occidentali; le quali, di fronte alla morte di James, si dicono “sconvolte”. James non è stato ucciso da una compagnia di sbandati: da una proiezione allucinata, invece, di correnti e di strategie espresse da Paesi con un seggio alle Nazioni Unite, le quali pochi giorni fa hanno annunciato ai quattro venti la volontà di colpire i finanziatori dei gruppi radicali islamici. Davvero? E a partire da quando, e da chi, se non è chiedere troppo? Potremmo fare i nomi, ma lascia andare per questa volta. Qualcosa sul terreno abbiamo visto.

Il sacrifico di James ci apre gli occhi e ne ricorda altri, quello del giornalista Daniel Pearl del WSJ, e ancora... Il suo sacrificio ci chiede di riflettere sulla sparizione del concetto di “civile”, di ciò che un “civile” è e rappresenta, dell'idea di “civile”. Le versioni ufficiali del mondo (ce ne sono un paio in circolazione, al massimo) non li prevedono più, i civili. Sono quelli che pagano, nelle guerre aperte o striscianti in corso. Sono loro i veri obiettivi. È una novità sulla quale vale la pena riflettere. Non puoi stare “in mezzo”, altrimenti detto “fra i piedi”: devi stare da una parte o dall'altra, devi schierarti, aderire a un programma, a una narrazione della realtà. Chi sta in mezzo, paga. Con la vita. Ci sono sempre un boia o un macellaio pronti a fornire la giustificazione per la tua morte. Un reporter sta in mezzo: tiene gli occhi spalancati. Oggi non va bene, uguale dove. 

Faccia da reporter rende omaggio alla sua memoria e fa il suo nome: James Foley.         

James Foley.

Il reporter americano James Foley sarebbe stato assassinato da un gruppo appartenente allo "Stato islamico". L""esecuzione" è stata mostrata in un video messo in rete. Di James si erano perse le tracce nel 2012, durante un suo viaggio in Siria. Era subito partita una campagna sui social media per chiederne il rilascio. Diane Foley, la madre del reporter, ha scritto su Facebook: "Sono fiera di mio figlio che ha pagato con la vita il desiderio di raccontare al mondo la sofferenza del popolo siriano". Si attende una conferma ufficiale dell'autenticità del video. Faccia da reporter tornerà nel tardo pomeriggio su questa notizia. Una breve intervista di James con la BBC (2012) cliccando QUI.

lunedì 18 agosto 2014

Il senso della biro_13. Scrivi pure "sdentata".

© 2014 weast productions

Scrivi pure “sdentata”. Se esistesse una Madonna senza denti (non tutti, qualcuno mi è rimasto) ci andrei a pregarla ogni domenica. Nemmeno tanto a pregarla: mi andrebbe anche di dirgliene quattro, alla Madonna, caso mai fosse stata impeganta da qualche altra parte quando hanno ammazzato mio figlio, quello più giovane. Sarebbe partito anche lui, come il primo. Australia se avevo capito bene, ma sai che io con la geografia non è che vado d'accordo. Credo Australia. O aveva detto Germania? Non sto perdendo la memoria: non capisco bene dall'inizio, con tutti quei nomi, paesi diversi, città diverse. Faccio confusione. Ho perso un altro dente tre giorni fa. Ballava da tempo. È un po' come tornare indietro ai denti del latte, li chiamate anche voi così, nella vostra lingua? I denti del latte a sessant'anni: un cerchio che si chiude. Ho letto che c'è gente che alla mia età inizia una nuova vita, dalle tue parti. Corretto? Mio marito è morto di cancro, uguale a dire che se l'è cercata. Miniera, tutta la vita. E quelle sigarette dal filtro vuoto che venivano da Mosca, come un treno espresso. Quelle non mancavano mai. Non mancano nemmeno oggi. Tornava a casa e avevo l'impressione che respirasse con lo stomaco: tutta l'aria gli finiva lì. Gli era venuta una pancia cattiva. È morto male. Ammesso che uno possa morire bene. La sera, tardi, quando vado a letto, mi viene da bestemmiare. Esce una rabbia secca da dentro di me. Non me ne sarei mai creduta capace. Sono lì, sulla punta della lingua, quelle parole pesanti, sporche. Nere. Ancora resisto. So che non cambierebbe nulla. L'altro ieri hanno portato all'ospedale Irina, la mia vicina. Io non l'ho vista, ma chi c'era racconta che le usciva il sangue dal naso e dalle orecchie. Sulla barella le ballavano le tette come fossero una torta riuscita male, che non ci stava nel piatto. Raccontano anche questo. Pensare che Irina è morta ancora prima di arrivare in ospedale. Le era finito qualcosa dentro l'appartamento, che poi era esploso. Mi pare che la parola sia: mortai. Succede ogni giorno. Sono ignorante: per tutta la vita non ho fatto che mettere al mondo figli, crescerli e salutarli, quando se ne andavano, lontano. A parte l'ultimo. L'ultimo me lo hanno portato via a fucilate nella testa. Non era rimasto niente, della sua testa. Niente. Cosa vuoi che dica, la sera, prima di andare a dormire: grazie? Questa mattina ho pensato: perché non ci lasciano stare? Non penso molto, ho troppe cose da fare: troppe è sbagliato. Sono poche e sempre le stesse, ma una deve anche mangiare, tutti i giorni, uscire di casa, comprare due salsicce, un pezzo di pane, dell'acqua. Non è facile, sai? Questo pensiero deve essermi venuto perché la sera prima ho guardato la televisione. Parlavano del mondo, anche di noi, che siamo qui nell'est dell'Ucraina. Dicevano che i russi stanno dalla nostra parte. L'Europa dall'altra. E siccome tutti strillano di non volere la guerra, se la sono già dichiarata e se la stanno già facendo. E buonanotte. Parlavano anche di altri popoli, alla televisione. Di gente che sta fuggendo, non chiedermi dove, ma è un posto lontano dove fa caldo. Armi e bombe, anche lì. Non ci capisco niente. Ma quando sento parlare di armi, di gente che vuole dare le armi a qualcuno per fare qualcosa, insomma per sistemare qualcosa, mi torna alla mente il mio povero marito. Quando respirava ancora con i polmoni, circa otto mesi prima di morire, diceva sempre la stessa cosa: diceva che con le armi c'è sempre qualcuno che ci guadagna. Non l'ho mai capita fino in fondo, questa frase, eppure sono d'accordo con quello che capisco. Non voglio entrare nei particolari, ma è un po' come se uno mi offrisse una dentiera: ci guadagna, no? Certo, mi dà dei denti nuovi, ma non saranno mai quelli che ho perso. Diciamo pure per strada. (Testimonianza).

venerdì 15 agosto 2014

Il senso della biro_12. Come pesci affumicati.

Esistono dei posti dove si fa una fatica pazzesca a restare vivi. Donetsk è uno di questi. Se qualcuno mi chiedesse di raccontare qualcosa di divertente - per una volta, fai uno sforzo - mi verrebbe in mente il cameriere di un caffè nel centro di questa città nell'est dell'Ucraina. Gli avevo chiesto il codice per il wi-fi, questione di aggiornare le mail sul cellulare. Mi aveva risposto come se mi comunicasse un segreto, una combinazione strategica. Ci aveva messo lo stesso orgoglio di uno che lo fa perché ci crede. Era, soltanto, fiero di dimostrare a uno straniero che anche lì, a Donetsk, dove si vendono bottiglie di birra da due litri, pesci affumicati e nostalgia sovietica, il wi-fi esiste e funziona. Garantito: funzionava. A Donetsk oggi si muore, come pesci affumicati. Senza pietà. La gente ha quell'aria dimessa di un'altra epoca, roba che ci siamo lasciati alle spalle. Quando fuggono dalle case prese di mira dall'artiglieria, queste persone sembrano comparse arruolate da una produzione che sta filmando un documentario sulla vecchia Europa, quella di quando c'era ancora il Muro. Questa gente c'è ancora, appesa non a una ideologia, ma a un'epoca. Alla polvere del tempo. Prendete questa donna, che aspetta e aspetta e aspetta su una strada deserta e che mette paura un passaggio che forse non arriverà mai. Le fa compagnia un cane randagio, metà compagnia, metà ladro fissato sul contenuto del sacchetto bianco messo lì sulla strada. Potrebbe partirci un romanzo. Lascio fare a voi: lo scriverete dentro la vostra vita.

C'è un secondo scatto, preso da un treno, con il riflesso di muri sul vetro: sembrano fotogrammi di una vecchia pellicola. Vuoi vedere che sia davvero tutto un film? Eppure, che fatica restare vivi a Donetsk. Anche a Donetsk.

© 2014 weast productions

© 2014 weast productions

mercoledì 13 agosto 2014

Simone Camilli.

Simone Camilli, 35 anni, videoreporter italiano per AP, morto oggi a Gaza nell'esplosione di un razzo o di una bomba in fase di disinnescamento. Faccia da reporter fa il suo nome: Simone Camilli. Insieme a lui è morto anche l'interprete/fixer di AP, Ali Shehda Abu Afash.

© 20114 Ansa / Sami Al Ajrami

sabato 9 agosto 2014

Il senso della biro_11. Leggere: con la congiuntivite.

© 2014 weast productions
hai presente quando pensi alla tua vita e ti prende la paura? ad esempio la paura di guardarla negli occhi, che poi sono i tuoi, di fare due calcoli e di dire che poteva andare meglio? “diversamente” sarebbe il termine alternativo, se non hai proprio tutto il coraggio che serve. è un po' come osservare qualcuno che sta guardando la sua vita. così come sta guardando questa donna non guardi un amico, un parente, un perfetto estraneo. così guardi la tua vita, quando è andata in un certo modo. in un modo che non ha mai raccontato a nessuno, perché chi vuoi che si interessi, chi vuoi che gli prenda la curiosità di guardarne una con addosso una maglia larga, con le spalle a un muro (e fosse solo quello) scrostato... osservare questa donna fa partire un racconto immenso che ha l'inizio dove credevi di averci messo la parola fine e ha il suo epilogo chissà dove, probabilmente dove non sospetti possa celarsi (per te, almeno) un inizio.

come conciliare l'attenzione estrema a una realtà nella piena consapevolezza (va bene anche: nella piena ignoranza) che tanto sforzo coincide con la cancellazione di altre vite dentro altre realtà? non le cancella, parola sbagliata: le trascura. capitasse a noi, lascia perdere. casino totale ne faremmo. Aggiungo un'altra “c”: che cosa sta passando negli occhi di questa donna? ha inchiodato lì anche faccia da reporter, con le spalle al muro. fa così male che uno finisce col pensare che se lo merita.
passa qualche minuto e uno di male non ne sente più. sente soltanto lo scorrere delle parole e il graffio delle pagine che girano. dentro agli occhi. è come leggere, vedi? guardare questa donna è come leggere con la congiuntivite. leggere la tua vita. non la tua, non fraintendere, lettore/lettrice: stavo parlando della mia. che è lì, a due passi da questo donnone, detto senza che se la prenda. che non se la prende garantito. a due passi dalla sua vita, raccontata con imperdonabile fretta altrettanto colpevole imprecisione. raccontata, però. o: suggerita. come spingere un motorino. che è, lettore/lettrice, la tua fantasia.  

venerdì 8 agosto 2014

Il senso della biro_10. Nuovi martiri.

© 2014 weast productions
La fuga dei cristiani di Iraq. Le notizie che giungono da città come Qaraqosh, dalla Piana di Ninive. Decine di migliaia di cristiani in fuga dalle milizie dello Stato Islamico (ISIS). Notizie di morti, di donne rapite, violentate, uccise. Nel 2010, proprio nelle regioni in cui oggi si consuma questa tragedia, avevo girato un documentario intitolato I nuovi martiri, e dedicato alla popolazione cristiana in Iraq, già allora sotto una costante minaccia da parte di Al Qaida. Chi fosse interessato lo può rivedere cliccando QUI. Lo propongo in attesa di inviare, da quel fronte, notizie, testimonianze e immagini: per non lasciare sole quelle persone.