Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

domenica 25 ottobre 2015

Ci siamo inventati anche questi morti.

Due bambini di 2 e 7 anni e una donna sono morti annegati oggi nelle acque davanti all'isola di Lesbo, Grecia, in seguito al naufragio del barcone su cui erano a bordo e dopo essere partiti dalla Turchia. Altri esseri umani risultano dispersi. Il naufragio è avvenuto non lontano dalla riva greca. Per maggiori informazioni si consulti la pagina FB di Peter Bouckaert, direttore operazioni di emergenza di Human Rights Watch, cliccando QUI.

Ci siamo inventati tutto noi. Anche questi morti. Noi giornalisti. Si legga la prossima riga.

Come vogliamo chiamarle queste vite? Vite a perdere, forse? Tenuto conto che la risposta finirà nei libri di storia. E nella Storia. Tenuto conto. Di questo.

© 2015 weast productions


venerdì 23 ottobre 2015

Il senso del taccuino.

Domani, sabato, nel Senso del taccuino sulla Regione: "Due vecchi amici". Qui di seguito il (consueto…) estratto:

Raccontano che c'è di mezzo una vecchia storia. Mai digerita per davvero. Raccontano ancora che innegabilmente fra i due c'è della ruggine, mai andata via del tutto, e anzi col passare degli anni questa ruggine si è fatta più ostinata. E di anni ne sono passati. Nel villaggio in cui vivono, nel quale sono nati e cresciuti, della vita puoi dire tutto il bene che vuoi, ma non che abbia fantasia. E così, alzandosi dal letto la mattina presto, e ammesso che uno provi il desiderio di porsela, la domanda “che cosa faccio oggi?” non sprigiona una infinità di alternative. Ne sprigiona, per essere precisi, due soltanto: starsene a casa o andare al bar. Di starsene a casa, a ottantant'anni suonati, non hanno voglia né l'uno, né l'altro. Quindi, nell'assenza totale di una prospettiva diversa, finiscono entrambi al bar. Dove o si gioca a carte o si guardano le partite di calcio in televisione. Il gestore del locale, che è una persona intraprendente, ha trovato un modo per mostrare le partite anche quando di partite non se ne giocano. Le registra. In realtà, ha smesso di registrarle dopo essere giunto alla conclusione di possedere un archivio di vecchie cassette VHS di tutto rispetto e dopo avere constatato che i clienti del suo locale, senza eccezione maschi, vuoi per gli anni che passano, vuoi perché delle partite non gli importa granché, sono in realtà affezionati al rumore di fondo e allo sfarfallio del vecchio televisore percepito magari con la coda dell'occhio, tuttavia capace, insieme al rumore di fondo (trasmesso a un ragguardevole volume), di fare compagnia.

giovedì 22 ottobre 2015

Quelle immagini che mandiamo a casa.

© 2015 weast productions

È partito oggi, sotto forma di lettera cartacea, l'invito al signor Blocher a venire via con me, destinazione l'isola greca di Lesbo. Per vedere con i propri occhi come arrivano gli esseri umani di cui parlano tutti, e anche lui, e per vedere come lavorano i giornalisti. E siccome dei giornalisti sembra non fidarsi, per compiere un'esperienza personale e indispensabile di come va il mondo. Di che piega ha preso la realtà.

Mi fa piacere, leggendo i commenti in arrivo, constatare come il Post sia stato anche fonte di energia per chi desidera fare questo lavoro: quello del reporter. Di farlo sul terreno, dentro le guerre e le miserie, anche però a tu per tu con la forza che questi esseri umani in cammino producono e danno, la forza di credere che la vita abbia sempre un prossimo capitolo e che questo capitolo possa essere migliore del precedente. La forza di sperare, esposte come sono, tutte queste persone, alla violenza e al sopruso di chi chiede soldi per tutto, all'arbitrio, ai giochi degli altri che sono sempre più grandi di te, alla percezione di non contare nulla, di non essere nessuno, anche esposte dolorosamente all'illusione che una vita migliore possa davvero esistere, che lo spazio esista per una (loro) vita migliore, nel mondo per come è messo. La forza di riderci sopra. Di riderci sopra.

Proviene, da queste persone, prese come esseri umani e non diversamente (non diversamente), la forza (di nuovo) di alzarsi e di dire che una vita sotto le bombe e dentro la miseria che le bombe portano con sé, la viva un altro, la vivano gli altri, se tanto ci tengono.

Lo ripeto: sono contento che possa essere servita, questa "lettera", ai giovani, per dire che "io questo lavoro lo voglio fare". Un lavoro da niente, paragonato agli altri: questione di un po' di coraggio, costanza, salute (fin che tiene, e continui a tenere, diosanto...). Eppure, vuoi mettere: quelle immagini che mandiamo a casa e che finiscono sui giornali, sul web, in televisione. Vuoi mettere che cosa provi quando capisci che stai facendo la cosa giusta? Il mestiere giusto, quello che sei venuto al mondo per farlo?



martedì 20 ottobre 2015

Signor Blocher, venga via con me.

© 2015 weast productions

Egregio signor Blocher,

anche questa fotografia è stata preparata e manipolata dai “passatori turchi”. L'ho scattata io. Ho atteso che i trafficanti sistemassero la scena e quando era perfetta e mi piaceva e avevo capito che avrebbe sortito l'effetto desiderato, ho fatto click.

Vogliamo tornare alle cose serie? Le va?

Egregio signor Blocher, venga via con me.

Avevo formulato lo stesso invito, nemmeno troppo tempo fa, nei confronti di una signora, di una personalità mooolto in vista la quale, a mio modesto parere, aveva urgente necessità di andare in Siria, dentro la Siria, per vedere come stava messa la gente per davvero, quando in Siria, pur esponendosi a grandi pericoli, i giornalisti (alcuni, si capisce) ci andavano ancora. Me compreso. La signora in questione, invece, non c'era mai andata. Di parole, però, ne produceva. E di dichiarazioni pure. Hai voglia.

Lei è la versione maschile della signora in questione: fatte, si capisce, le dovute distinzioni. E, preciso, circoscrivendo il paragone all'esatto e matematico merito della ragione che mi ha motivato a scrivere questo post. Si tratta di parole, di come e per che cosa vengono pronunciate e utilizzate. Di questo soltanto. 

Venga via con me, signor Blocher. Facciamo a metà per le spese di viaggio, se preferisce pago io, anche se sono messo un po' corto, ultimamente. Venga, una volta, a vedere con i suoi occhi gli esseri umani che partono dalla Turchia o che sbarcano sulle isole greche, metta Lesbo, dove pochi giorni fa ho contato non meno di trenta barconi in otto ore e forse meno. 56 persone a barcone moltiplicato trenta, veda lei quanto fa.

Oggi, sulla Basler Zeitung, lei dice tante cose, in un'intervista postelettorale ma ancora elettorale che non è passata inosservata. Fra le quali cose anche quella che riporto, scansita, in versione originale:

© 2015 Basler Zeitung
In sintesi, lei dice questo: la stampa è caduta nella trappola dei trafficanti di esseri umani quando ha pubblicato la fotografia del piccolo Aylan riverso, senza più vita, su una spiaggia di Bodrum dopo essere annegato (insieme a un parte della sua famiglia) nel tentativo di giungere in Grecia. La trappola sarebbe stata, secondo la sua interpretazione dei fatti, quella di muovere una congiura contro il suo partito e di insomma commuovere l'opinione pubblica e quindi accordarla su una nota più ricettiva nei confronti degli esseri umani che arrivavano e stanno arrivando in Europa centrale e meno verso una versione restrittiva della politica migratoria, quindi meno verso di lei e del suo partito. Ci si sarebbe messa anche la stampa internazionale, dico bene? Una congiura internazionale, quindi? Se congiura era, è decisamente, in ottica postelettorale elvetica, fallita. Tutto questo, però, non mi interessa.

Di fronte alla sua dichiarazione, tuttavia, mi sarei aspettato dai giornalisti che la intervistavano (Dominik Feusi e Christian Keller) la domanda tipica, da manuale: “Ha le prove di quanto sostiene?”. Due cervelli al lavoro l'avrebbero potuta produrre, questa domanda. In due avrebbero potuto trovare, da qualche parte, il coraggio di fargliela, sebbene lei possieda il 33% della Basler Zeitung. Stando a un comunicato stampa del 30.6.2014, l'aumento di partecipazione per il quale si era deciso avrebbe dovuto portare, nelle parole di Rolf Bollmann, presidente degli azionisti citato dalla NZZ, a una testata determinata, grazie alla sua autonomia (?) finanziaria, a produrre “ricerche affidabili", "testi seducenti" (bestechende Texte) e "commenti profilati" (profilierte Kommentare).

Siamo messi bene.

Egregio signor Blocher, io non sto né con lei, né contro di lei. Mi occupo, veda il caso, delle persone sulle quali lei si è espresso rispondendo a una domanda dell'intervista a tutta pagina della BZ di oggi. Ci metto, da quanti anni ormai?, la mia vita. La mia salute. Le mie ossa. La mia testa. Il sonno che dormo e i sogni che faccio e il sonno che non dormo. Non è facile vedere bambini morti. Racconto, in poche parole, la vita degli altri. Quella dei vivi e quella dei morti.

Quando scatto una fotografia o filmo una scena, prendo in consegna queste vite. Me ne faccio garante. Prometto a queste persone che racconterò la loro esistenza nel modo più diretto e onesto e umano possibile. È un patto, capisce? Loro si lasciano fotografare perché, credo, capiscono, sentono chi le sta fotografando, o chi più tardi le condividerà (condividerà la loro vita) con gli altri in un articolo. In un libro. In un filmato.

La mia vita, in questi momenti, è di fronte alla loro e come la loro. Quando lei pronuncia queste tre parole: “der tote Bub”, il ragazzino morto, parlando di Aylan, morto sulla spiaggia di Bodrum, e lo mette in relazione, nel suo essere finito sui giornali, con una campagna ostile al suo movimento e alle sue convinzioni politiche, si pone sullo stesso piano di chi le è ostile per partito preso. E, parimenti, utilizza gli altri per fini personali o di congregazione. In questo caso utilizza un bambino morto.

La parola “pietà” ha un significato non religioso, che mi sta a cuore: significa “sentimento e disposizione d'animo di chi prova compassione per le sofferenze, per l'infelicità altrui” (dall'Enciclopedia Rizzoli Larousse, versione cartacea, roba da dinosauri). Le dice qualcosa la parola “pietà”? E se la risposta è no, che cosa risponde a questa ulteriore domanda: perché sospettare la stampa, ipotizzandola complice di una congiura, di provare lo stesso sentimento che prova lei, vale a dire: nessun sentimento (almeno stando alla sua risposta, una risposta utilitaristica) di fronte alla morte di quel bambino, uno fra i tanti? E perché, ultima domanda, dovremmo provare un sentimento di pietà e di compassione e di mobilitazione soltanto di fronte ai morti? Ha mai pensato che molta gente ha provato e prova un sentimento di fronte alla sorte di questi esseri umani, anche dei vivi, dei vivi?

Venga via con me, signor Blocher, e apra gli occhi su come sta andando il mondo. Provi questa pietà, ne dia prova e la testimoni. Fatto questo, consegni al taccuino dei giornalisti (e si fa per dire giornalisti, nel caso specifico della BZ), le dichiarazioni che vuole. Saranno diverse, forse non più asservite a finalità politiche e di partito. Umane, anche nel sostenere, se vorrà sostenerlo (e sarebbe legittimo farlo, la libertà di opinione è fondamentale, indispensabile tuttavia è avere un'opinione basata sui fatti), che la politica d'asilo va regolata, controllata, dosata, eccetera.

Fornisca però le prove di ciò che dice (e di cui i giornalisti della BZ non le hanno chiesto di rendere conto). Dimostri di sapere per davvero di che cosa parla. Per quanto lei non sembri essere della stessa opinione, le parole hanno un peso. Sono pesanti come pietre. Le chiedo di rendere conto delle sue nel passaggio citato. Fornisca le prove di ciò che ha detto. Le prove della trappola nella quale i giornalisti sarebbero precipitati.

Se desidera, egregio signor Blocher, le mando questo testo in versione tedesca. E pure quello che sabato uscirà nel Senso del taccuino, che è una rubrica su un quotidiano chiamato La Regione e a lei, immagino, sconosiuta. C'è sempre una prima volta.

Parlerò ancora della sua sortita, sulla BZ. Soltanto del passaggio in cui lei, ignorandone il nome, chiama Aylan “der tote Bub”. Fare il nome dei morti, signor Blocher, è un modo per rendere onore alla loro memoria, per ricordarli. Anche quelli sconosciuti e lontani da noi.

Venga via con me. Tre giorni a tu per tu con i profughi in arrivo su un'isola greca le potrebbero anche cambiare la vita. Non tutta, nessuno glielo chiede. Ma almeno una parte, metta pure: piccola.


lunedì 19 ottobre 2015

Nemmeno tanto.

(c) 2015 weast productions
Una madre con il suo bambino appena sbarcata sull'isola di Lesbo, Grecia. 
Quello che succede, nel mondo, non puoi che raccontarlo. Renderlo visibile. Farlo vedere. Nemmeno tanto per la domanda, che un giorno potrebbe esserti posta (ti sarà posta), "Dov'eri, quando io ero lì, su una spiaggia o dietro a un muro. Dietro a un muro? O dietro a un filo spinato?".

Nemmeno tanto per questa domanda. Risponderà, ciascuno, attingendo alla propria vita. Sarebbe (è) già tanto. A tu per tu con la vita.

Farlo vedere per quello che è. Questo mondo.

Questo.

giovedì 15 ottobre 2015

mercoledì 14 ottobre 2015

Una biro.

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Averne una, di biro. Per scrivere quella che è la mia vita. Quello che è stata. E che è, nell'istante fermato dallo scatto. Se questo sembra retorico, zuccherato, provare a mescolarlo con la propria (la nostra) vita. Provare. Provare a uscirne vivi. Provare per continuare a crederci. Provarci, per perdere chili. Per perdere il grasso che occupa le arterie. La spocchia, che appesantisce quello che si dice in giro. L'ignoranza di chi parla e parla e parla e parla e parla e non finisce di parlare.

Averne una, di biro, per scriverti tutto quello che ho vissuto, e quello che non ho vissuto e non so nemmeno che si possa vivere. 

Una biro per metterti nero su bianco quello che dopo averlo letto va bene quello che dici, tutto quello che dici, ma dopo averlo letto. Almeno questo. Dopo averlo letto.

Quello che si chiama chiedere troppo. Forse chiedere troppo. Chiedere troppo se non ti risulto. Né io, né lei. Che per la cronaca è una lei e ha tre anni. Senza retorica. Gli anni non hanno retorica. 


Dove buttare la nostra vita?

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E come se non bastasse, c'è la corsa a chi si prende il rifugiato messo meglio. Il rifugiato meno rifugiato. I tedeschi che hanno detto: noi ci prendiamo i siriani. Per farli lavorare alla Volkswagen. E gli altri, scusa? Gli altri chi? Prendeteveli voi, gli altri. Gli africani: chi li vuole? Gli iracheni. Gli iracheni? Chi li conosce? Non li avevano liberati nel 2003, gli iracheni? E gli afgani: non li avevano democratizzati nel 2001? Messi a posto, belli e puliti e tutti in fila che si vota e si fa festa e siete tutti liberi.

La vita è una cosa seria. La Willkommenskultur l'hanno inventata i tedeschi. Come parola, si capisce, meno come Kultur. Che con tutto il bene che gli devo ai tedeschi (e gliene devo), perché mi hanno fatto studiare gratis un anno intero una vita fa, dico che non fanno niente per niente. Sono i soli, guardandosi attorno? No. Ma lo hanno detto per primi: a noi i siriani. Che, fra tutti, dovrebbero essere quelli che hanno imparato di più, visto che percentualmente sono andati (quasi) tutti a scuola. Dicono i tedeschi.

Si sta procedendo verso una finalizzazione del rifugiato. Se mi servi, ti prendo. Se non mi servi: ciao. Il criterio di accettazione sarà (lo è già) questo: utilitaristico, non salvapelle.

Mettiamoci nei panni di questa gente. Senza partito preso. Come se fossi tu, lettore, oppure tu, lettrice, oppure io che scrivo. In fuga: non per fare casino, ma per ricominciare da qualche parte, che poi ricominciare non è. È un modo, se li hai, per dare ai tuoi figli quello che si chiama futuro, vocabolo che ormai assomiglia a una parolaccia, a un'offesa al sistema (il nostro, si capisce).

Immaginiamo che qualcuno decida che non serviamo a nulla (a nulla tu, lettore, a nulla tu lettrice, a nulla io) e quindi ciao. A parte la figura che ci faremmo. A parte la figura. Dove andremmo a buttare la nostra vita? Dove?

martedì 13 ottobre 2015

Come quando.

Come quando stiamo atterrando a bordo di un aereo che ci porta in vacanza: e una folata di vento lo manda storto, sembra passarselo fra le mani uguale a uno straccio pieno d'acqua da svuotare, o anche peggio, prenderlo a pugni, a calci, lo gira e lo rigira, cristodovèlapista. Ci prende la paura, una paura brutta. C'è un sacco di gente che prega: padrenostrocheseineicielisiasantificatoiltuonomeccetera. O la Madonna. O i morti. Fate, morti, che non sia l'ultima volta che guardo dal finestrino di unfottutissimoaereo. Pregare. Pregare. E pregare. Oppure niente. C'è chi sta (starebbe) zitto. Vedere chi starebbe zitto...

Un aereo che atterra male, ma male di brutto, è una rivelazione mistica (per non dire religiosa, spirituale) anche per l'ateo et l'agnostico più tesserati. Pregava anche il cecchino di non dico quale esercito atterrando nel sudest dell'Afghanistan sotto vento e sotto tiro. Vuoi vedere uno che va in vacanza. Noi che andiamo in vacanza... Il vento che ci sbatte fuori da  una vita al riparo. Da cosa, scusa? Al riparo e basta. Da tutto. Una vita che scorre, salvo imprevisti, su binari che mandano riflessi al cielo da tanto sono tirati a lucido.

Vedi come sbarcano, allora? Così. Con la stessa paura che ci prende quando una folata di vento manda storto l'aereo che ci porta in vacanza.

Liberi tutti, da qui in poi, di tirare le conclusioni individualmente giustificabili. Sia, tuttavia, resa giustizia alla paura di chi attraversa. Al terrore che suscita il mare in chi non sa nuotare: nemmeno noi, andando in vacanza, sappiamo volare.

È indispensabile capire ciò che vivono gli esseri umani che attraversano gli stretti: quello fra la Turchia e la Grecia, nella documentazione affidata agli scatti che seguono. È l'esperienza più devastante. "Devastante" non è scelto a caso. E di nuovo: ragioni, successivamente, e concluda, ciascuno di noi. Si immagini e proponga, anche chi fa politica e chi va al bar e chi scrive sul web non importa che cosa, le prospettive (forse come vocabolo è esagerato) che ritiene più giuste, per un paese e una società. Per se stesso/a.

Chiedo, a nome degli sbarcati, che la conclusione maturi sulla base di una conoscenza corretta e fino in fondo della realtà. Tenendo presente la folata di vento che manda storto il nostro aereo per le vacanze. Per le vacanze: non per una nuova vita.

E ora gli scatti. Di tre giorni fa.

(c) 2015 weast productions


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lunedì 12 ottobre 2015

Il cacciatore di aquiloni.

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Un ragazzino afgano di etnia azara gioca con un telo termico in alluminio poco dopo essere giunto sull'isola di Lesbo, in Grecia. Due ore prima era partito a bordo di un gommone, con la sua famiglia, dalla Turchia. In questi giorni ho constatato un sensibile aumento degli afgani fra le persone che attraversano lo stretto di mare.

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Qualche ora dopo, a tramonto inoltrato, una giovane coppia anch'essa proveniente dall'Afghanistan e parimenti di etnia azara si riprende dopo l'attraversata dello stretto di mare a bordo di un gommone. Entrambi sono bagnati dalla testa ai piedi. La donna intirizzita.

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Poco prima, un'anziana abitante dell'isola si era avvicinata alla coppia, preoccupata per lo stato della ragazza. 

sabato 10 ottobre 2015

La Storia, nel suo farsi.

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Una giovane coppia appena scesa dal gommone a bordo del quale ha attraversato lo stretto fra la Turchia e la Grecia. Sull'isola di Lesbo, nella sola giornata di oggi, ho contato una trentina di barconi: significa che sono sbarcate oltre mille persone. Gli arrivi sono continuati anche quando è`scesa la notte: donne e bambini arrivano molto spesso in stato di ipotermia. Se gli spieghi che sul loro cammino ci sono reticolati e frontiere chiuse, sorridono: hanno l'aria di dire "non ci ferma nessuno". La Storia (scriviamola con la maiuscola) quando fa sul serio fa una certa impressione. Incute, perlomeno, rispetto. Da prenderla sul serio. 

venerdì 9 ottobre 2015

Il senso del taccuino.

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Domani, sabato, nel Senso del taccuino sulla Regione: "Come cani randagi". Qui di seguito il (consueto) estratto:

Il mondo è fatto di storie parallele. Accadono tutte insieme. La miniera che si mangia i villaggi (e la vita degli abitanti) nel nord della Grecia. Il prete ortodosso ubriaco. La ragazza nata a Grozny e finita profuga per la seconda volta. Il bambino rifugiato trovato morto su una spiaggia di Lesbo, morto lì, nel buio e nel freddo di due notti fa.