Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

giovedì 24 dicembre 2015

Tanti auguri di buone feste. E grazie.

Due fratellini afgani e loro padre a bordo di un treno in partenza da Belgrado.
(c) 2015 weast productions 
Auguri di buon Natale e di buone feste ai lettori di Faccia da reporter. Grazie per avere seguito il mio lavoro, che ha un senso, vero, soltanto nella condivisione. Grazie. Il segno che la vita degli altri lascia nella nostra vita e la consapevolezza che coltiviamo di questo solco prodotto, che è ferita ma anche speranza, sorriso e forza. Uno sguardo e tutto ciò che contiene. Il mondo non si racconta mai abbastanza. E allora continuerò a farlo con le immagini e con le parole anche nell'anno che arriva. Con l'auspicio che questo racconto possa, sempre, costituire una compagnia. Per voi tutte e per voi tutti. E, in fondo, anche per me. 

sabato 19 dicembre 2015

Il senso del taccuino.

(c) 2015 weast productions
Domani nel Senso del taccuino sulla Regione: "Appunti di fine anno". Qui di seguito il (consueto) estratto. Non prima di avere fatto a tutti i lettori i più cordiali auguri di buon Natale e di buone feste:


Bellezza. Nella sua bellezza (anche nella sua violenza) la natura se ne frega degli esseri umani. La supplica di una madre che non è riuscita a fuggire da Aleppo e che ogni giorno è sotto le bombe. Una supplica pronunciata mentre l'elicottero siriano che ha appena sganciato o sta per sganciare la sua carica esplosiva viene inghiottito da un tramonto stupendo. O il padre iracheno che, di nascosto da tutti, si mette a piangere inginocchiato di fronte all'Eufrate e prega che la guerra finisca presto. L'acqua del fiume scorre senza un sussulto, manda brevi lampi e un suono che accompagna il lavoro dei grilli. O, ancora, le nostre individuali esperienze. Ciascuno ha le sue. L'indifferenza della natura nei nostri confronti ci sorprende. Ma come, non sei anche tu sulla nostra barca? Vorremmo che ci capisse, che stesse dalla nostra parte. Che ci compatisse. Almeno un po'. Comprendiamo, tuttavia, che non lo farà mai. Perché dovrebbe farlo? 



martedì 8 dicembre 2015

Gesù Bambino è una bambina afgana.

© 2015 weast productions

Che quest'anno Gesù Bambino sia una bambina afgana.

La bambina si chiamava Sajida Ali. Aveva cinque anni. È annegata alcuni giorni fa nel mare davanti a Cesme, nella provincia di Smirne, in Turchia. Se quest'anno accettassimo di chiamare Gesù Bambino Sajida, daremmo prova di una forza immensa. Di coraggio. Compiremmo, tutti insieme, un atto di resistenza. Nei confronti del mondo per come va. Nei confronti di chi vuole farlo andare così. E nei confronti di chi è soddisfatto che vada così. Di chi pensa che non cambierà mai. E di chi non ci pensa nemmeno a cambiarlo.

Sto terminando il mio libro sul viaggio dei profughi di guerra lungo la rotta dei Balcani. Ho cercato, parola dopo parola, di evitare la retorica, che viene fuori così facile in questo casi. I sentimenti rischiano di diventare retorica. Quindi: niente sentimenti. Raccontare, soltanto, il coraggio di queste persone che si mettono in viaggio per cercare una vita diversa. Diventa, osservandoli, il nostro coraggio.

La morte di Sajida, e la morte, oggi (alle 2.30 di questa mattina), di altri sei bambini afgani, annegati anch'essi al largo di Cesme: sono la più devastante denuncia nei confronti dello “Stato islamico” e di chi lo utilizza alla pari di un esercito di mercenari. Ho sempre constatato, in Occidente, la disponibilità di molte persone a leggere la realtà. A volerla capire. A provare, anche, un sentimento di solidarietà e compassione nei confronti degli esseri umani in fuga dalle loro terre, più recentemente dei profughi che attraversano i Balcani. Circolano inquietudini e tanti legittimi interrogativi, certo, ma ci sono anche la solidarietà e il desiderio di aiutare queste persone. Non è la nostra indifferenza che lo “Stato islamico” vuole colpire: è la nostra solidarietà, la disponibilità ad interessarci a queste persone, anche ad accoglierle, il coraggio di discutere, pubblicamente, posizioni di chiusura politica nei loro confronti, di rivendicare il loro diritto a una vita migliore. Anche dopo che giovani radicalizzati (ma radicalizzati mi sembra essere già un complimento, propongo di definirli “giovani azzerati”) hanno colpito una città come Parigi. Questa è la nostra forza. A muovere gli assassini, invece, è il vuoto, la percezione del proprio fallimento individuale, colmato con il materiale da ripiena della religione. È soltanto rabbia nei confronti di chi ha il coraggio di discutere la politica, le scelte strategiche, le decisioni anche belliche prese dai propri governanti. È invidia nei confronti del ragionamento e dell'indipendenza che esso regala. È ignoranza ad alzo zero messa di fronte a chi, invece, chiede di sapere e capire e discutere.

Ecco cosa mancava agli infiniti commenti e alle infinite analisi degli scorsi giorni e delle scorse settimane, prodotti in seguito agli attentati di Parigi (e se vogliamo, anche dopo l'attentato in California). Gli errori dell'Occidente, i reali e indiscutibili errori dell'Occidente nelle sue campagne militari in Medio Oriente e in Afghanistan e ora in Siria non c'entrano nulla. Non ne sanno nulla, gli azzerati dello “Stato islamico”, i ragazzi che decidono di aderirvi. Sono, a volere essere di manica larga, una copertura, mandata a memoria insieme alle formule religiose di cui infarciscono i loro deliranti proclami postati nella rete. Cercano, soltanto, ripiena con la quale colmare il vuoto che hanno dentro. Il vuoto che sono. E del quale – vedete: anche di questo – ci rimproverano di essere noi i responsabili, quando invece non lo siamo. Il fallimento di un'esistenza ha sempre e soltanto l'individuo quale autore e quale unico responsabile. Ne ho incontrati, so di cosa parlo.

Dietro a tutto questo, dietro ai proclami e dietro a questa inarrestabile corsa a un testo religioso, auspicata e assecondata, per altro, da ambienti e gruppi e istituzioni e centri culturali e Stati interessati a un asservimento degli individui al “testo” e al pretesto che esso incarna, dietro alla radicalizzazione religiosa, sono nascosti, nell'ombra, i veri burattinai. Quelli che la sera bevono alcol e fumano insieme, di nascosto. Gli stessi che concedono alle loro truppe, alla soldataglia, il diritto allo stupro e all'esercizio della schiavitù. Avevano bisogno di un esercito per prendersi la rivincita dopo l'invasione americana e occidentale dell'Iraq (tutto gira attorno all'Iraq) e lo hanno trovato. Per reclutare le nuove leve hanno intuito la necessità di fare riferimento all'”amor di patria”. Quale patria? Lo “Stato islamico”. Il richiamo non è esercitato da un Costituzione che sappia garantire a tutti pari diritti e pari doveri, bensì dalla riduzione all'esperienza letterale (e quindi: elementare) di un testo considerato sacro, non per la sua presunta sacralità, ma – in funzione degli obiettivi dello “Stato islamico” - per la brutalità (interessata e indotta, suggerita, incanalata) che qui e là una lettura letterale (la sola di cui, a malapena, gli accoliti sono capaci) autorizza. È il potere ipnotico della religione. Diciamo: delle religioni. Una religione, per tornare all'argomento che ci occupa, proposta, va da sé, non in funzione di un'accettazione dell'altro come tuo fratello, bensì dell'altro come tuo nemico. La religione si presta. Qualsiasi libro si presta a una infinità di interpretazioni: ogni lettura individuale è un'interpretazione.

Gli intellettuali laici capaci di opporre un discorso alternativo a questa precipitazione negli abissi innescata dall'oscurantismo religioso sono stati incarcerati e torturati fino a spingerli – i più fortunati – all'esilio, e quelli meno fortunati alla tomba. È successo in Iraq. È successo in Siria, ad opera del regime di Bashar al Assad, che ha avuto e ha la sua parte nella creazione e nella proliferazione dello “Stato islamico” (si leggano gli studi in materia, alcuni disponibili su internet). Proprio quel Bashar al Assad con il quale oggi qualcuno – e più di qualcuno, e addirittura qualcuno di insospettabile – chiede di allearsi per sconfiggere lo “Stato islamico”. Il mondo non è mai andato diversamente.

Ecco: per rendere omaggio alla nostra forza e alla nostra capacità di ragionare secondo categorie umane e quindi soltanto secondariamente e trascurabilmente religiose, propongo che quest'anno Gesù Bambino sia una bambina afgana. E che si chiami Sajida.

Se non è chiedere troppo.



venerdì 4 dicembre 2015

Il senso del taccuino.

© 2015 weast productions
Domani, nel Senso del taccuino sulla Regione: "Fuochi bruciano sotto il cielo".

Un racconto che descrive le prime raffinerie di petrolio a cielo aperto nella provincia di Deir ez-Zor, in Siria, i traffici di greggio e armi fra nemici un po' meno nemici quando si tratta di fare affari (i ribelli, l'esercito siriano, altri ancora, traffici che oggi continuano, affidati anche a nuovi attori), la constatazione che la guerra si nutre di complicità sotterranee, per arrivare infine a questi giorni, a queste ore, con una proposta di comprensione di quello che definisco "lo spazio deumanizzato" conquistato e amministrato dallo "Stato islamico" in Siria.

Qui di seguito il (consueto) estratto:

Di notte, i tiri di mortaio e le raffiche dei fucili risuonavano a intervalli quasi regolari. Di giorno, i fucili tacevano. A volte cadeva qualche mortaio, alla cieca. Nel cielo volavano (pochi) caccia dell'aviazione siriana, i civili erano terrorizzati. I civili. Messi in mezzo a chi faceva affari. Attorno a loro, si stavano ammazzando tutti quanti soltanto perché uno dava all'altro la possibilità di continuare a farlo. Se un anello di questa tragica catena si fosse spezzato, la guerra si sarebbe esaurita. Da sola. Troppo tardi.