Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

venerdì 9 agosto 2013

Io come Oprah. Ma senza Larry King.

(c) 2013 weast productions
Di Oprah Winfrey non me ne importa nulla. Ha raccontato la sua storia di fronte a un Larry King che si stava addormentando. Io, a quel punto, dormivo già e ho dovuto riguardarmi lo spezzone dell'intervista. La signora Winfrey è capitata su una commessa che le ha consigliato di non acquistare la borsetta in pelle di cocodrillo al “Trois pommes” di Zurigo sulla quale aveva messo gli occhi. Oprah ci fa capire che la commessa lo ha detto dopo averla guardata e concluso che, probabilmente, non portava il cash necessario. Ci facciamo tutti, ogni giorno, delle idee sbagliate.

Proviamo a girare la storia.

Lettura numero uno: e se la commessa lo avesse fatto a fin di bene? Se le avesse detto quel “troppo cara” (35mila dollari) non inteso come un “troppo cara per lei”, ma come un “troppo cara in generale” e quindi, sintetizzando, da intendere nel senso: “questa borsetta è una RAPINA”? Voglio dire, un pezzo da esposizione (pare sotto vetro, magari antiproiettili, ma il cocodrillo lo avevano comunque già impallinato), troppo cara nel senso filosofico e ontologico del termine: troppo cara per quello che vale e quindi, in definitiva, per quello che è. Un pezzo di pelle animale proveniente da una palude e dalla matita di un designer che se la tira di brutto. Un consiglio, quindi.

Lettura numero due del caso Oprah (pensare che ho iniziato dicendo che di Oprah non me ne importa un fico secco, ma ci arrivo): a me è capitato più di una volta di finire in un albergo e di chiedere una camera. I raggi X degli israeliani quando esci da Gaza sono nulla al confronto dello sguardo che il boy o la girl alla reception hanno proiettato (e proiettano, mi succede regolarmente...) sul mio corpo ricoperto di, nell'ordine, T-shirt sudata e non pulitissima, pantaloni non pulitissimi e con i bordi sgualciti, zaino impolverato, camera 1 sulla spalla destra, camera 2 sulla spalla sinistra, barba su guancia 1 e guancia 2. Tant'è che più di una volta ho pensato bene, per accorciare le pratiche, di aggiungere un: “la posso pagare”. Nel senso di: me la posso permettere. Quando hai bisogno di internet veloce e di un televisore con più di tre canali scegli, scartando le pensioncine, un albergo con qualche stella. È lavoro, anche questo.

Un giorno, anni e anni fa, tornando da Bagdad, stavo ingannando il tempo all'aeroporto di Amman. Avevo lavorato bene e, quando lavori bene, te la senti di attraversare l'area del duty free. Lo fai quasi per scaramanzia. Per sentirti vivo. Okay, c'ero dentro, in piena zona duty. Guarda questo negozio! Gioielli: mi fermo, guardo, trovo. Una catenina, meravigliosa. E, soprattutto, pagabile, qualcosa sui 200 dollari. Avevo, allora, una ragazza che mi aspettava, dall'altra parte del volo, quando sarei atterrato, una ragazza palestinese stupenda. Sul suo collo quella catenina si sarebbe incendiata di luce. Chiedo al commesso di vederla, nemmeno di toccarla, vederla da vicino. Lavoro sul prezzo. Lui mi guarda, come fosse – passando all'oggi con il paragone - lui Obama e io un pastore yemenita che gli sta chiedendo di rinunciare ai droni.... Mi guarda come fossi un povero cristo, e l'aria, in realtà, ce l'avevo tutta dopo qualche settimana di Iraq. Il commesso sorride storto, quasi a suggerirmi (lo sento ancora quel sorriso coglione) che nel reparto profumeria ci sono alcune offerte speciali sicuramente alla mia portata e sicuramente sintonizzate sul gusto della destinataria della mia attenzione. Io, da stracafone, gli dico: amico, ti compro il negozio se la tiri per le lunghe, una sorta di poker psicologico. Gli ho mollato 180 dollari (mi ha pure fatto lo sconto) e me ne sono andato con un sorriso.

La catenella esiste ancora oggi e, oggi ancora, mi è stato detto, capita che in qualche ristorante in Medio Oriente si incendi di luce sul collo di una ragazza palestinese diventata donna. Se ne sta seduta di fronte a un uomo che non sono io - va bene, è la vita – che non smette di guardarla e di dirsi che quella donna che gli sta davanti è bella, ma bella sul serio. A oggi, lui non ha ancora osato chiederle da dove provenga quella catenella che rimbalza nell'universo la luce di due occhi scuri, ma scuri davvero. Da finirci dentro, per sempre.

Ciò che voglio dire è che se me la fossi presa e se fossi montato su tutte le furie al duty free di Amman, una buona decina di anni fa, questa immagine oggi non ce l'avrei. E nemmeno tutta la storia che mi regala. Se fossi andato dal Larry King di turno (averne uno...) a dire che mi sono sentito discriminato perché ero poco pulito, poco elegante, poco credibile e che, in sostanza, non profumavo di cash, mi sarei privato di un pezzo di vita da ricordare.

Lo so, non sono Oprah. Eppure, avrei potuto anch'io chiedere di vedere la catenella più cara e poi decidermi per quella da 200 dollari (pagata 180, ripeto). E se il commesso mi avesse detto “quella è troppo cara”, prima di incazzarmi mi sarei chiesto se non stesse forse tarsmettendomi un segnale in codice del tipo: quella è davvero stracara, in assoluto, per quello che vale, per quello che è, detto fra noi due, amico. E resti, se posso aggiungere da straserio, forever fra di noi. Ricevuto. Al duty di Amman, tuttavia, confesso che ero messo male, male davvero dal punto di vista estetico. O giù di lì. 

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