Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

lunedì 7 agosto 2017

Nel nome dei morti, Carla.

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Nel nome dei miei amici giornalisti caduti, signora Carla, caduti per raccontare la guerra di Siria dall'interno, dal fronte, non dai confini (e fosse soltanto quella di guerra), in memoria di chi li ha sopravvissuti questi morti, le mogli, i mariti, i figli, le morose, le ragazze conosciute la sera prima di partire, senza pronunciare troppe promesse (non c'era il tempo e non c'era il senso) se non la garanzia di un ritorno che non c'è mai stato, nel nome dei giornalisti e delle giornaliste siriani e iracheni, fatti a pezzi, morti ammazzati, coraggiosi loro per davvero, senza che nessuno li notasse e li intervistasse, ragazzi e ragazze con il chiodo fisso della verità (della verità, capisce?), senza che nessuno concedesse loro platee e telegiornali, nel nome, signora, nel nome di un Signore che se esiste ha altro da fare e altro a cui guardare, nel nome di un Signore che, come lei, signora Carla Del Ponte, potremmo senza correre il rischio di consegnarci all'errore, anzi evitando l'errore e così vedendoci chiaro, definire televisivo, nel nome dei morti ammazzati dalla guerra, nel nome delle donne con la pancia aperta dalle schegge di mortaio, dei maschi senza più occhi, nel nome dei bambini, nel nome dei cecchini e delle loro vittime, nel nome delle vittime e basta, signora, nel nome dei bastardi, anche nel nome dei bastardi, nel nome degli esseri umani che non provano spavento, non lo provano più, di fronte a ciò che fanno, e nemmeno orrore e pentimento, di fronte a ciò che hanno fatto, che faranno, di fronte alla morte che portano ad altri esseri umani e di fronte alla morte che attendono consegnati a un fuoco maligno che li consuma, nel nome, signora, di tutte le storie che abbiamo raccontato, noi giornalisti povericristi, nel nome della prima linea, signora, sissignora, della prima linea, nel nome della paura, signora, nel nome dell'odore che ha la morte, signora, dell'odore che ha la morte, signora, nel nome della guerra, signora, nel nome della guerra. Nel nome della guerra quando i morti sono caldi. Ancora.

Le chiedo un atto di modestia, signora Carla Del Ponte, glielo chiedo personalmente, mettendoci il mio nome e la mia storia. Le chiedo di dire la verità, di cercarla dentro di sé: quando mai, aderendo alla Commissione di inchiesta dell'ONU (dell'ONU...) sui crimini di guerra e contro l'umanità in Siria (ci fosse soltanto la Siria), lei ha davvero potuto pensare, serenamente e la mano sul cuore, di essere libera di fare il suo lavoro? Quando? Le sue dimissioni, se arriveranno come annunciato, sono tardive. Chiamano a sé i riflettori. Negano però la memoria e la pietà che dobbiamo ai morti di Siria, ai morti della guerra. Signora Del Ponte: la guerra è un crimine. Spenda le sue energie cercando di evitare questa, di fermarla sul nascere. Mi creda: cercare, in una guerra come quella di Siria (e di Iraq, per restare a queste, e perché non altre, Yemen, Palestina e ancora?), i crimini penalmente perseguibili separandoli dalle invece tollerabili diverse mattanze fa, di chi persegue i primi e chiude gli occhi sulle seconde (lo sparo di un cecchino, ad esempio, la bomba intelligente fuori rotta) un complice dichiarato della guerra e della violenza. Un complice del fatto che si accetti che esseri umani possano impunemente ammazzare altri esseri umani a condizione che rispettino le leggi. Quali? Le sue?

Si schieri, signora Del Ponte, contro la guerra, non contro i crimini di guerra: la guerra è un crimine. Punto. Scelga l'ombra prodotta dall'assenza dei riflettori. Serve un po' di tempo per abituarsi: mi creda, non se ne pentirà. 

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