Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

giovedì 31 ottobre 2013

L'è el dì di Mort, alegher.

Ai morti non gli fa più niente tutto il girarsi e rigirarsi dei vivi. Immagino - soltanto - una paziente tolleranza. Indifferenza no. E non c'è nemmeno indifferenza dei vivi verso gli altri. Gli altri morti. E verso gli altri vivi rimasti con i propri morti. In Siria, ad esempio. Et altrove ugualmente: le terre del Medio Oriente, dell'Africa, altre ancora, non raccontate. Le terre dei perduti. Va scritto, in questi giorni dove - da noi - i morti chiamano, anche se in realtà se ne stanno zitti e questo richiamo è soltanto vissuto (dai vivi) come un moto collettivo verso le loro (dei morti) fittizie, o direi terrene dimore (celle, monolocali: le tombe, parola che sa di ghiaccio e non mi piace…). Anzi, direi che in questi giorni i morti (i nostri morti) chiamano noi (sopravvissuti) alla partecipazione et estensione della memoria agli altri, ai morti in guerra, sotto le bombe, il fosforo, dentro le nuvole dei gas: i vecchi, le donne e cristosanto i bambini. 

Credo, profondamente, e per cognizione di causa e per i numerosi messaggi negli anni (e ancora oggi) ricevuti e per le testimonianze raccolte, che la concentrazione spesso solitaria davanti a un nome (o a più nomi), ma comunque sempre davanti a due date comprenda nel contempo et senza sforzo la disponibilità a sentire il dolore degli altri e a viverlo, sotto la pelle. C'è una parola migliore che non "disponibilità": la parola necessità

Scrivo questo per contraddire chi, invece, oggi mi pare, svalangava sulla carta stampata locale una non trascurabile quantità di parole per dimostrare una non dimostrabile (sarebbe ingiusto) indifferenza della gente di qui (Occidente nel senso largo) verso la gente che altrove sta peggio di noi. Testimonio invece, per averla raccolta, la profonda solidarietà della (nostra, si può dire?) gente verso gli altri. Verso la vita degli altri. 

Il fatto che chi dovrebbe raccontargliela, la vita degli altri, gliela racconti sempre meno, questa vita, è una storia diversa. Parlo dell'informazione. Anzi: "informazione", virgolettata. E su questa storia diversa dovrebbe invece abbattersi la valanga delle parole (indignate) di chi lamenta una non sopportabile (ma nemmeno dimostrabile) indifferenza. Io, e chiudo, ripeto: chi, a casa nostra, si sta raccogliendo davanti a due date (per quante esse siano, e voglio dire: per quante esistenze trascorse esse contengano) ha, dentro, il racconto anche della vita degli altri. E a questa vita (a queste vite) lontana (lontane) partecipa. 

Propongo, senza filtro, qualche scatto realizzato velocemente nel cimitero dove oggi sono andato a trovare i Miei, mia madre, mio padre, chi li ha preceduti. Ho pensato - senza sforzo: tutto naturale, nello scorrere del sangue - agli altri morti e agli altri rimasti vivi (quanti? e per quanto tempo? e lo sono ancora?) che ho visto e conosciuto lontano, ad esempio in Siria, che ricordo, a seguire, con qualche altro scatto. I nostri morti e i loro morti. I morti. E chi li ricorda. 

Se c'è, nel giorno dei morti che arriva (e in questo prepararsi), un motivo per stare "alegher" (Delio Tessa,) lo trovo, e senza nemmeno scavare troppo, nella trasparente consapevolezza che nelle persone che ho incontrato oggi c'era (c'è) una nota individuale accordata sul dolore e il ricordo: dei propri morti, certo, ma anche di quelli lontani. Accordata anche su questa nota: lo sforzo immenso di trovarci un senso alla vita. E un senso alla morte, che non ne ha. Comunque essa avvenga e sia avvenuta. Ha un senso il pensarci. Ai nostri morti. E pure (nell'istante medesimo)  a quelli che si portano via le guerre.

La gente ci pensa. Sebbene questa morte (e la vita che la precede e la vita che resta…) le venga sempre meno raccontata. Chi si indigna con la penna (inchiostro… quanto tiene?) dovrebbe indignarsi con qualcun altro. Non con la gente. La gente ci pensa. Ai suoi morti. E agli altri. Anche ai morti degli altri.

















mercoledì 30 ottobre 2013

Drones

Per chi si interessa di droni (impiegati in operazioni militari), QUI c'è una testimonianza interessante. È un tema che sta a cuore al Blog.

martedì 29 ottobre 2013

La ragazza con il dobermann.

Ho lanciato uno squadrone di B-52 contro le parole. Per farle fuori. La mia (personalissima) campagna ha per titolo No words. Utilizzo le ultime - superstiti - per scriverlo. In italiano direi: Guarda la vita. Dentro ci vedi (se hai voglia) la immagine numero 1 della serie che inauguriamo.

Immagine numero 1: Ragazza con dobermann. 
Immagine numero 2: L'è el dì di Mort, alegher.

Segue.

(Le immagini saranno mostrate in futuro in uno slideshow, quando saranno pronte tutte e non so quando lo saranno. Ho quindi deciso di indicare qui soltanto i soggetti ritratti. ).





lunedì 28 ottobre 2013

La realtà. O circa quella.

"Haifinitodiscriverestronzate?". Una raffica di Kalashnikov avrebbe fatto meno danni. E invece quelle parole mi hanno passato da parte a parte, alcune addirittura sono rimbalzate fra un osso e l'altro, fra una costola e una vertebra, e sono rimaste dentro. Ne ho una infilata nel cuore, sospetto il ventricolo destro, ossignore che male che fa!

Sono contento uguale, lo confesso, perché è stata la prima volta che mi rivolgeva la parola. Alla cassa, sapete quale. Questa sera mi ha guardato, si è avvicinata un passo e un quarto lasciando che le sue splendide e lunghissiiiiime gambe facessero su di me l'effetto che non possono non fare e che sono state disegnate (create, direbbe qualcuno, io NO!) per fare: da paura.

Che profumo meraviglioso che hai.... Nella mia testa scorre questa frase e subito dopo l'intero film della mia vita. Sono come un condannato a morte. Volontario. Ho alzato la manina come un secchione che non ha capito nulla della vita. Chi vuole essere giustiziato? Io... Perdente!

Lei mi guarda un occhio, poi un altro, separatamente. E me lo dice. Mi dice di smetterla di scrivere stronzate.

Sono felice, perché se mi dice così significa che mi legge, che mi ha letto. Ha letto quello che ho scritto di lei, di noi, delle nostre attese alla cassa. Delle sue improvvise et elegantissime accelerazioni a sinistra appena fuori il supermercato e dell'ozio cullato sotto la pensilina alla fermata dell'autobus mentre dalle sue dita sale (saliva, sempre) il fumo fintopigro di una sigaretta: la spada laser di Guerre stellari. Atomizzami!

Sono felice perché lei ha letto la descrizione delle nostre vite colte nella concentrazione temporale dell'attesa alla cassa. E me lo ha detto senza cattiveria: trova una nuova storia da raccontare.

Lo ha detto con l'ironia meravigliosa di una donna. Uscita dalla fantasia di uno che, alla cassa, il tempo lo deve pure ingannare. Raccontandosi la realtà. O circa quella. O anche un'altra cosa. Altrimenti che ci stiamo a fare al mondo?

Lo stivale del balivo.

Lo stivale del balivo: dal cielo.

Un aggiornamento per chi ha a cuore la sorte degli sfigati. Il termine "sfigati" ha per me il significato biblico, neotestamentario di "ultimi". Che, come ci raccontano fin da bambini, saranno un giorno (quando, please?) i primi. Per quanto mi sforzi di scavare nelle casistiche, mi viene un solo (e personalissimo) esempio: quando esco dall'autostrada e mi trovo ultimo in fondo a una colonna di automobili infilate davanti a una rotonda, prendo la corsia di sinistra (che tutti lasciano sempre vuota, ma perché?) e con un colpo di gas - meraviglia - mi catapulto se non primo, fra i primi almeno. Cristiano sono!

Oltre a questo, fatico nella interpretazione e nella collezione. Interprertazione della lettera (e del testo) e nella collezione dei casi (Oratio di CSI Miami direbbe - avrebbe detto, è sparito, poverino - evidence).

Da capo: per chi ha a cuore la sorte degli sfigati, propongo l'aggiornamento sulla sorte di Mohammed El Ghanam, ex colonnello dei servizi di informazione egiziani, rifugiato politico in Svizzera e in carcere  - dopo disavventura, ma non tale da innescare questa sorte - a Champ-Dollon a Ginevra. Da 6 anni e senza pena da scontare. E senza che la Giustizia elvetica abbia mai preso sul serio le sue denunce. Il Tribunale Federale ha ordinato con sentenza del 14 ottobre 2013 che sia trasferito in una clinica psichiatrica per essere adeguatamente curato. Non sto a ricordare tutta la storia, che trovate sul Blog e anche cercando nei (miei) servizi TV su RSI.

La massima istanza giudiziaria svizzera ha deciso: Mohammed El Ghanam, tuttavia, è ancora nella sua cella di Champ-Dollon, così mi ha confermato il suo avvocato, Pierre Bayenet, pochi istanti fa.

Vedi un po' come funziona la giustizia. C'era la fila, sabato trascorso, davanti alla sede di Bellinzona del Tribunale Federale. Volevano entrarci tutti (si capisce: non c'erano né procuratori, né giudici). A un tratto sono sfrecciati gli aerei della Pattuglia svizzera nel cielo della Capitale, ma così bassi che sembrava stesero decollando da Via Dogana. Hanno spaccato le orecchie (e le palle, rivendico quest'ultima parte per me e me soltanto...). E hanno fatto piangere più di un bambino.

Ai miei occhi non era celebrazione. Non segno di lutto per il pilota e il medico tragicamente schiantati qualche giorno prima. No: simulazione della guerra era, inscenata da chi la guerra non sa nemmeno che cosa sia. Non c'azzeccano. Mai.

Eppure c'era gente che li fotografava con il telefonino, con il naso girato verso il cielo. In Svizzera il Tribunale Federale sarà (è, dai, siamo precisi) la somma istanza giudiziaria. Ma a naso (il mio, e non girato all'insù al passaggio degli aerei) mi viene da dire che quel boato ultrasonico non conteneva nessun significato piacevole. Non era democrazia. Non c'entrava. Sapeva di minaccia. Ecco: minaccia. E così ricordava lo stivale del balivo ("stivale" aggiornando la storia, si capisce). Un'immagine, confesso con piacere, che ripesco dai racconti d'infanzia (quanta rivoluzione nelle minestrine...). E che vale per noi e per tutto il mondo per come è messo. Ma in primis per noi.

Mohammed El Ghanam è ancora nella sua cella, signore e signori, prigioniero dei suoi fantasmi e degli anni che gli pesano sulle spalle. Nonostante il Tribunale Federale ne abbia ordinato la scarcerazione et il ricovero in clinica psichiatrica il 22 ottobre. Oh yeah.


venerdì 25 ottobre 2013

Il senso del taccuino.


Domani, sabato 26 ottobre, sulla Regione c'è Il senso del taccuino. Qui di seguito il (solito) estratto:

Il mondo lo guarda grazie a un'antenna sistemata sul tetto della casa dentro la quale vivono suo padre, sua madre e una sorella che i genitori non sono mai riusciti a sposare. Le altre sono tutte maritate. Lui avrebbe potuto sistemarsi con una ricca signora americana, avanti con gli anni: va bene, diciamo pure molto avanti con gli anni, ma ricca sfondata e per di più innamorata di questo ragazzo che un giorno, così per caso, l'aveva vista, salutata in un mezzo inglese e le aveva mostrato Betlemme, tutta quanta, dalla Piazza della Mangiatoia al mercato, alle viuzze strette con i negozietti dalle saracinesche verdi, senza tralasciare due campi profughi e il muro che hanno alzato gli israeliani e che ha messo in ginocchio la città e la sua vita. La sua di lui. Di Said. Sarebbe potuto partire per l'America, e invece è ancora lì, a Betlemme. E l'America la guarda soltanto su Al Jazeera.

lunedì 21 ottobre 2013

Single. Perché ormai senza rosse.


(c) 2013 weat productions

I miei libri che vivono dentro i cartoni. Con sopra scritto il nome di una ditta di trasporti. Separati da una vita, diciamo da un pezzo di vita. Loro e io. Se ne stanno in soffitta, come cellule dormienti pronte tuttavia a innescarsi dentro la mia testa e infine lanciarmi da qualche parte, uguale a una Donnacannone fuori di sé per il piacere di lacerare il telo del circo (l'azzurro della tenda) e andarsene, appesa all'ultimo treno. Da qualche giorno sto cercando la "Coscienza di Zeno". Scavo come un minatore impazzito. Cerco il suo inizio, quella devastante presa di sé, avvinghiamento a ciò che uno è. Evito internet, che non è vera ricerca, è un po' come pomparsi i muscoli con gli steroidi, senza fatica. Che tirone che sto diventando. Ooooohh...

Ci sarà da ridere, quando avrò trovato la lettera dell'incipit. Quei caratteri meravigliosi che sanno dei miei occhi di non so quanti anni fa. E sanno di (qualche) sigaretta fumata after midnight.  Finalmente ci sarà da ridere, dirà qualcuno. Voglio voltare pagina, in carne e ossa, lanciare un messaggio, posta nella bottiglia (e che sia Champagne, snobbone che non sono altro) per celebrare la realtà che sto materializzando con i miei racconti dalla cassa (datele, vi prego, il significato unico di banco dei conti al supermercato e tocchiamo - por todos - una montagna di ferro relativamente a significati altri del termine cassa). Insomma, Champagne per fare la festa alla fiction che è sempre meglio della realtà o, detto altrimenti, migliore strumento per capirla, la realtà. Cerco l'incipit della Coscienza di Zeno per trovare un modo di dire che - ooookrrrrriiiiisttooosantissimo! -  non fumo più. Non riesco ancora a crederci.

Okay, ho fatto outing: l'ho detto. E pensare che, qualche settimana fa, in occasione di una conferenza stampa, l'ho pure confessato a qualche collega. E, vi giuro, c'è stato chi l'aveva presa come la vera notizia da dare. Che non è stata data (giustamente: vuoi mettere, parliamo di sfera privata: ci sono editors, qui da noi, che vegliano su ciò che va detto e ciò che, invece, va taciuto...).

Mi separo. Mi sono separato dalle rosse. Che mi sono portato in giro per mezza vita in ogni fottutissimo angolo di mondo, dentro ogni storia, dentro ogni vita, dentro ogni morte, dentro ogni paura che avevo, sudore freddo che mi aveva preso, ansia, tensione, sparatorie (ce ne sono state, eeeeh già....), fughe in auto di notte con dietro i soldati (o altri, vuoi mettere?) che non gli piacevi, i buoni e i cattivi che volevano farti la pelle e tu che te ne tiravi una e il mondo tornava a sorriderti (o si fa per dire, all'incirca, eppure funzionava...). Ce ne sarebbe da aggiungere, di situazioni. Ancora.

Il Grossi che si è fatto e strafatto del loro meraviglioso fumo et profumo. Tenuto in vita dalle rosse. E ora? Kristo, single. Single da paura. Solo. Senza una rossa. Ex tossico. O piuttosto: tossico in guerra. Non faccio prigionieri. Non riconosco le convenzioni di Ginevra, i diritti umani, l'ONU, niente. Una fottutissima pippa mi fanno. Sono in guerra. Con me stesso.

Stupendo. E da paura.






sabato 19 ottobre 2013

Alla cassa, niente miracolo.

È superiore la fatica che metti nell'ignorare qualcuno a quella che ti costerebbe dicendogli ciao. O: ciaooo. Oppure: sciao. O anche un mezzo sorriso. Mezzo, dai. Tienimi vivo.

A volte in uno sguardo fisso pensato per non guardare qualcuno c'è più retorica che in una dichiarazione d'amore. In ogni caso, c'era più vita nella carpa surgelata che stringevo nella mano destra  (o era la sinistra?)  che in me stesso intero investito dal suo sguardo fisso e evitante.
Alla cassa. Perché dove volete che fossi, se non in coda alla cassa di un supermercato che in troppi hanno ormai capito quale sia e al quale finirò per chiedere un po' di soldi causa pubblicità?

L'ho rivista, oggi. E nel rivederla e nel rirespirarla da lontano (due metri e mezzo di lontananza), sentivo pure la carpa uscire dal suo perfetto stato di morte cellulare assoluta, dal gelo artico che l'aveva avvolta, e piano piano rifarsi non dico viva nella mia mano, ma insomma pericolosamente vicina a uno stato di possibile (pensabile) necessaria risurrezione.

Io guardavo, dalla fila alla cassa, lei che, un paio di post fa, mi aveva costretto a dichiararmi pubblicamente innamorato (o quasi). E lei? Nieeente. Lo sguardo, soltanto quello, dritto e severo: come un istruttore militare, come una pagella. Guardami, ti prego... Niente. Guardami, ti supplico: nulla.

Ai piedi ho una pozza di discrete dimensioni. E si allarga: la carpa che fa acqua.

La guardo: le guardo un occhio. Non si compirà il miracolo alla cassa, non oggi. L'occhio è lesso, come diocomanda a una carpa surgelata.

Alzo lo sguardo e incrocio invece il suo, come un laser che si rivela nel gas fumogeno lanciato da un ladro gentiluomo e  acrobata dentro un film che abbiamo visto tutti. È l'effetto carpa: le ho fatto, in un certo senso, tenerezza. Ho colto e interpreto il senso della carpa, nel compimento del mio rappresentativo dovere di uomo che ora, sui due piedi, sempre alla cassa, mi sento di incarnare. Uomo, io, fino in fondo: con una carpa in mano che fra un po' ritorna viva, strappata al ghiaccio eterno dalla mia temperatura amorosa. Tengo duro sotto lo sguardo, non abbasso il mio. Non ora. Non ancora. Ora però sì....

Lei paga. Svolta a sinistra, poi a sinistra, di nuovo. So che la ritroverei alla fermata dell'autobus. Intenta ad accendersi una Marlboro rossa.

Pago pure io. Esco. Giro a destra e continuo dritto. Per un paio d'ore. Questa volta no! Vederla e farmi vedere da lei con la carpa scongelata in mano, no: non me la sento.

(Sto per ripartire per lavoro, ancora un paio di post e poi si cambia musica. Spero....)


venerdì 11 ottobre 2013

Torna "Il senso del taccuino!"

Domani, sabato, torna Il senso del taccuino sulla Regione. È una storia che dovevo scrivere. Qui di seguito il (solito) estratto:

Ride. Le mancano 3 mesi. In ore non ha la testa per calcolarle. In metri farebbero invece chilometri, anche se non molti e anche se non percorsi correndo. Non ha più fiato da vendere. Che allegria. Eppure: è bella da perderci la testa.
La prima volta che ero stato a Praga, avevo comprato un quadro. Studiavo ancora. Lo avevo pagato 500 dollari. Mi avevano spiegato che lo aveva dipinto una ragazza che frequentava l'Accademia. Il suo nome era scritto dietro la tela. Non lo svelerò, ma credetemi: è ancora lì, dietro la tela appesa in una mia stanza. Sono trascorsi più di vent'anni da quella visita a Praga. E per un bizzarro artificio della vita, è a Zurigo che si chiude il cerchio apertosi allora. Qualcuno direbbe: si compie un destino. Ma io non sono fatto di quella pasta. Sono più complicato.

mercoledì 9 ottobre 2013

Uno messo così non lo guardi.

Sento l'acqua di colonia evaporare. Senza fretta. Dal mio collo e via. Lascia dietro di sé un profumo indistinto, fra la chimica e un giardino ben tenuto a Gerusalemme, di quelli che annusavo di notte, quando ci vivevo. Un camion con rimorchio brucia il rosso: sulla cisterna c'è scritto "Fratelli Feccia: trasporti alimentari". La luce delle cinque e dieci del pomeriggio cade obliqua sull'insegna del negozio. Cerco la parola che non mi viene in mente. Una ragazza mi supera sulla destra, praticamente da fermo. Dice, al telefono: "coglione, aspettami". Io dico che dio si è dato un gran bel daffare. Lei mi guarda, girando la testa: pof è il rumore della  gomma americana mentre le esplode sulle labbra. Io dico che vale la pena vivere: un casino vale, ma garantito.

Un poliziotto o similtale ha fermato il "Fratelli Feccia". La luce sull'insegna del negozio è ai saluti.
Entro, come mi piace fare, entro trionfale nel negozio. A me gli occhi.

Ora mi viene in mente la parola: ossimoro. Troppo tardi: il camion è già lontano, multato e ossimorato.
Una ragazza mi sfiora la mano mentre ci fiondiamo - entrambi - sul cestello della spesa. "Prego, cara". Lei: zitta. Ma: pensa che ci ho provato.

C'è una coppia a piedi nudi sul baratro, con le dita già nel vuoto, come fosse una domenica mattina sotto il piumino, coi piedi fuori, tanto sotto fa un caldo belliiiissimo. Lui e lei davanti alle verdure.  Per esperienza so che le verdure sono pericolose alle cinque e venti del pomeriggio, dopo una giornata di lavoro, separati, e con davanti soltanto una sera da salotto e TV. Portano sfiga.

Mi metto in mezzo, col pensiero, come fossero affari miei senza esserlo. Le tragedie vengono innescate da un timer banale, non c'è eccezione alla regola.
È crisi brutta, fra i due, e non riassumo. Li ho salvati - miracolati - alla cassa, moltiplicando pesce e pane per la cena. Dispongo di, credo, poteri magici o quasi. Loro non lo sapranno mai: ma lo devono a me. E poi...

E poi, attenzione: mi sto innamorando. In questo istante, perfetto e sospeso, senza parole e rumori. Succede alla cassa di destra, io sono in coda a quella di sinistra. Lei è bellissima. La assaporo respirandola leeentamente come contenesse sostanze meeeravigliose e proibite. Ed è, probabilmente, così. Guardami. Mi sforzo. Mi degna di, soltanto, un mezzo sguardo sparato fuori dalla feritoia dei suoi occhi abbondanti e lontani, lasciando che il mio di sguardo si impicchi al nodo scorsoio dell'ambiguità. Oooohhh baby, please! 

Pago. Tre cose.

Esco, prendo a sinistra. A sinistra ancora. Seguo l'istinto.
Alla pensilina della fermata autobus la rivedo: seduta si sta accendendo una Marlboro. Rossa. E io: youuuu are perfect! Brucia me, su qualsiasi rogo. Senza anestesia. Senza una ragione. Senza giusto processo.

Tengo la borsa della spesa nella mano sinistra: spunta, dai bordi, la testa di un sedano. Ieri notte, in TV, qualcuno diceva che è sano da paura! "Testa di sedano e testa di kazzo!", mi dico, accorgendomi. Sembra un barboncino cretino tinto di verde. Sembro un sequestratore di cani. Non doveva succedere ora: non davanti a lei. Last chance.

Ci faccio una figura da idiota, garantito.
Lei non mi guarda.
E fa bene. Uno messo come me non lo guardi.

martedì 8 ottobre 2013

Il clown sotto il tendone vuoto.

Lei si era concessa un po' di rossetto. Francamente: un bel po'.

Lui aveva messo la giacchetta buona. Con le maniche quel poco troppo lunghe, ma sempre troppo lunghe.

Le maniche troppo lunghe a un uomo danno l'aria triste, da sfigato. Lui era dolcissimo.

Troppo rossetto a una signora che ha passato i sessanta pesa. È uno strato di colore che rischia di farti cadere la bocca. Troppo rossetto è l'urlo del clown sotto il tendone vuoto.

Eppure: lei era bellissima. Perfetta. Elegante. Giovanile. Decisa.

Sono passato accanto a loro, sarà stato un attimo. Giuro che parlavano d'amore. Vuoi mettere?

Dicevano che la vita non è quella che vogliono farti sembrare (credere) che sia.

Dicevano che la vita è uno sballo pazzesco. Loro due. Che insieme facevano, in anni, lascia stare...

Click. Rapido, come un ladro. Non abbastanza, tuttavia.

Lei volta il capo, quel poco che basta, senza sforzo. E mi fa l'occhiolino. Ci giurerei. Veloce, come una lucertola.

Quando si dice una giornata da ricordare.

(c) 2013 weast productions





lunedì 7 ottobre 2013

Gli occhi sul mondo. E sugli altri.


(c) 2103 SpazioReale / by Massimo Pacciorini

Il senso di una fotografia è in questa immagine. Anche se non vediamo la fotografia che queste due ragazze stanno guardando. Il senso di quella fotografia è nel nostro osservare la loro reazione a quella fotografia. Sta nascendo un dialogo infinito. SpazioReale è viaggio. Nel mondo. Dentro la vita degli altri. Che è anche la nostra. La scoperta di noi stessi contenuta nel nostro sguardo posato sul mondo e sugli altri. Da assorbire. Il mondo non si racconta mai abbastanza. Gli altri portano a noi.

Dove eravamo rimasti?

(c) 2013 weast productions
Sabato 12 ottobre torna il Senso del taccuino sulla Regione. Lo segnalo ai 4 lettori che mi sono rimasti.
Racconterò una storia che mi tiro dietro da qualche giorno. Incollata addosso per come mi è stata raccontata e da chi. Addosso come il primo bacio. Come il profumo dei capelli della donna che ti ha insegnato a fare l'amore. O come una maledizione. Anche, a ben guardare, come una maledizione. (La foto acclusa non ha nulla a che fare con la storia - direttamente voglio dire). 

Grazie Hanifa Alizada.

Hanifa Alizada.

Domenica sera abbiamo incontrato Hanifa Alizada, a SpazioReale. E siamo stati ad ascoltarla. Il pubblico l'ha apprezzata e applaudita. Una ragazza, fotografa di 24 anni, che lavora in uno dei paesi più pericolosi e complessi che esistano. Ci ha parlato con semplicità, modestia. Trasmettendoci il senso del coraggio: che cosa significa essere davvero coraggiosi. E il senso della dedizione a ciò in cui si crede.
Ciascuno, fra il pubblico, si è portato a casa la sua emozione.
Io - se posso - dico che la mia è stata questa: una bella ripassata al modo di pensare, guardare al mondo, reagire, capire, fare. Sono stato tante volte in Afghanistan, il paese di Hanifa. La prossima volta lo guarderò con occhi ancora diversi. Perché, per quanto uno si sforzi di criticare e di evitare lo sguardo zavorrato (occidentale, orientalistico, ecc.), è il primo ad esserne vittima e portatore. Grazie Hanifa per questa botta in testa. Rintrona, ma è salutare. Indispensabile (almeno, per me). Mi hai strappato a un certo letargo.

domenica 6 ottobre 2013

Tutti a SpazioReale.

La fotografa afgana Hanifa Alizada
Oggi, domenica 6 ottobre, ore 17.30 a SpazioReale: incontro con la fotografa afgana Hanifa Alizada. Per parlare di fotografia, Afghanistan, di che cosa significa essere donna in quel paese, di guerra e pace e di ritiro degli eserciti occidentali l'anno prossimo. E di molto altro ancora. Traduzione simultanea dall'inglese. Il pubblico potrà discutere con la nostra ospite. Benvenuti.

mercoledì 2 ottobre 2013

Scatti dall'Afghanistan.

Venerdì 4 ottobre ore 18.30 inaugurazione della nuova esposizione a SpazioReale, tutta dedicata all'Afghanistan. Domenica, 6 ottobre, alle 17.30, EventoReale (sempre all'Antico Convento delle Agostiniane, Monte Carasso) : il pubblico incontra la giovane fotografa afgana Hanifa Alizada che racconterà il suo paese e il suo mestiere. Benvenuti da ora. Qui di seguito alcuni scatti durante la fase di allestimento dell'esposizione.




















L'Afghanistan. E i suoi sguardi.



Venerdì 4 ottobre alle 18.30 a SpazioReale si inaugura l'esposizione "Afghanistan. Lo sguardo dei suoi fotografi". 142 fotografie di 19 giovani fotografi, donne e uomini, che raccontano con i loro occhi e con le loro vite il proprio paese. Siete tutti cordialmente invitati all'Antico Convento delle Agostiniane a Monte Carasso.

Domenica 6 ottobre alle ore 17.30 sempre a SpazioReale, si terrà un EventoReale. Incontro con una fotografa afgana. Maggiori info nei prossimi giorni.