Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

martedì 29 novembre 2016

Una nuvola sulla vetrina.

© 2016 weast productions

Passare davanti alla vetrina di un caffè e vedere qualcuno, dopo il lavoro, che sta leggendo Il senso del taccuino. Ho dato un'occhiata da vicino, col fiato che uscendo dai miei polmoni trasformava il vetro in una nuvola opaca. Stava leggendo a pagina 15:

Il mentolo. Quello mai. Neanche con la bocca di una pistola spalancata davanti agli occhi. Guai a chi glielo toccava. Al mentolo non avrebbe rinunciato mai. Scorrono paesaggi. Non sono granché. Su, su, su: un po' di fantasia, un po' di vita, perdio. Dio? A questo punto il mentolo è ormai un ricordo. O quasi. Il paesaggio, oltre il finestrino dell'automobile, si è fatto insipido. Meno ancora, se possibile. Serve buona volontà per stare dietro a Dio. Oh, se serve.

Ecco: mentre la mia (forse prima) lettrice stava per voltare pagina, un istante prima che lo facesse, io avevo ormai svoltato l'angolo, lasciandomi dietro una nuvola di vapore forse troppo grande per passare del tutto inosservata. Buona lettura, se avrete interesse a scoprire qualche foglio del Taccuino

lunedì 28 novembre 2016

Il profumo dell'inchiostro.

© 2016 weast productions / laRegione

© 2016 weast productions / laRegione

È fresco di stampa Il senso del taccuino. Scritti scelti 2012 - 2016. Sarà in libreria da domani, al più tardi nel corso di questa settimana. Il volume propone 32 testi, di cui uno inedito, accompagnati ciascuno da una fotografia che ne fornisce lo spunto, oppure il fondale, come a teatro. 205 pagine per raccontare la vita: dalle storie d'amore alle guerre, dall'amicizia alla solitudine, dai sogni ai sogni, dalle speranze alle speranze, da quelli che siamo a quelli che ci sarebbe piaciuto essere e che forse, un giorno, saremo. Per me, il senso del taccuino è il sesto senso del giornalista: quello sguardo sul mondo che non si sazia mai e che, per davvero, è ciò che rende liberi e indipendenti. Capaci di resistere alle versioni preconfezionate della realtà. Che è come dire: della nostra vita.

Ho annusato la prima copia, che mi è stata consegnata oggi: non c'è come l'inchiostro per dirti che il mondo non si racconta mai abbastanza e farti venire una voglia pazzesca di continuare a raccontarlo.

Grazie a Matteo Caratti per le sue riflessioni introduttive e per lo spazio concessomi.

(Edizioni la Regione, progetto grafico Variante agenzia creativa, stampa Salvioni Arti grafiche).

Ci sarà una presentazione all'aperto con proiezione di immagini su grande schermo: gli aggiornamenti qui. 

venerdì 25 novembre 2016

Uscirono tenendosi per mano.

(c) 2015 weast productions / Tutti i diritti riservati per testo e fotografia

Varda disse: «È il momento». Zanka mise il colpo in canna e sussurrò: «No». A Varda giunse soltanto “o”. Spinse sul freno col piede destro: la calza di nylon prese fuoco. Il piede mandò un disperato segnale d'allarme. La sua pianta suggerì: «Troppo tardi, addio». Tronk ebbe il tempo di chiedersi: «Uh?». Aveva il cervello di un essere umano meno un terzo: quello glielo avevano asportato due anni prima, per evitargli di andarsene in giro con grassi frammenti di piombo spappolati qui e là dentro la materia grigia. Mai stata facile la gioventù, per lui. Tronk era un omone fatto di carne e di intestini. E di quello che c'è dentro gli intestini. Mise il muso fuori dal finestrino. Zanka aveva preso la mira tre secondi prima. La pallottola masticò i centimetri. E qualche metro. Non vedendo l'ora di godere stava già godendo. Giunse a destinazione e fece: plof. Tronk lasciò un interminabile pensiero sospeso nel vuoto, senza rimpianti, non lo avrebbe mai portato a compimento comunque. Il suo cranio non oppose resistenza, non lo fecero nemmeno le sue meningi. Nulla. Zanka disse: «Che figata». Varda non osò alzare lo sguardo. Ebbe, invece, addosso quello di Zanka. Le due ragazze si alzarono e uscirono dalla sala giochi tenendosi per mano. Presero dal guardaroba i loro fucili di precisione Barrett M82, consegnati due ore prima, perché nel locale era proibito entrare con addosso le armi. Zanka pensò che Varda non aveva ancora visto nulla della vita. Varda concluse che era stato un peccato per le sue calze. Fuori infuriava la furia. Krat le stava aspettando a bordo di un Humwee blindato. Aveva la barba che spingeva dalla pelle come tanti chiodi. Uguali a innumerevoli pistole infilate nella cintura dei pantaloni. Il suo gippone aveva i vetri spessi cinque centimetri. Sarebbero giunti al fronte tutti insieme, facendo festa. Varda serebbe stata la prima a fare fuoco. Per davvero, questa volta. Zanka se l’era ripromessa. La cosa strana, la sola in quella distesa di corpi vacui, era che non si vedeva anima viva. In giro.     

mercoledì 23 novembre 2016

Anche così non sarà mai abbastanza.

Quando ci dicono che siamo bombardati dalle notizie e dalle immagini, quasi volessero privarcene oppure decidere loro quali concederci (grazie!) e quali, invece, censurare (uh?), mi chiedo se siano mai stati sotto un bombardamento vero. Uno con le bombe che fanno buuum, per capirci. Sceglierebbero un verbo diverso, garantito. Improvvisamente convinti che quella bomba va mostrata a tutti. E che anche così non sarà mai abbastanza.  

(c) 2016 weast productions / tutti i diritti riservati

lunedì 21 novembre 2016

Nel rimbalzo trascurabile dei pensieri.

Non è facile. Con un biglietto d'aereo in mano, tornare. E lasciare che chiedano: ≪Dove sei stato?≫. Dove sono stato? Mai altrove. Se si può dire. Sappiate soltanto che anche noi, a volte, abbiamo bisogno di un po' di tempo. Di un po' di pace. Dedicati, entrambi, a ciò che vorremmo essere. Stati. E anche: dedicati a essere quelli che forse saremo. A quelli che potremmo essere, un giorno. Appesi con le unghie a una esilarante incertitudine. A condizione che esista, e sia pure nel rimbalzo trascurabile dei pensieri, questa parola. Il vetro di un'automobile può rivelare gli infiniti capillari della vita. Della vostra (in guerra, devo dirlo?). E della nostra, forse. Anche della nostra.

(c) 2016 weast productions / Siria, provincia di Aleppo /  tutti i diritti riservati

La memoria. E la resistenza del pensiero.

Fa piacere trovare "Infiniti passi" su La Stampa. Così come mi ha fatto molto piacere essere ospite, ieri, della Casa della Resistenza a Verbania Fondotoce per inaugurare l'esposizione fotografica e raccontare il mio libro. Grazie a Antonella Braga per come lo ha letto e per quello che vi ha trovato, leggendolo. Grazie alla Casa della Resistenza e a tutti i nuovi amici conosciuti in una terra che coltiva la memoria e la resistenza del pensiero.

La Stampa, 19.11.2016


(c) 2016 weast productions

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venerdì 18 novembre 2016

Il senso del taccuino.

© 2016 weast productions
Domani nel Senso del taccuino su La Regione: "Gli ultimi saranno gli ultimi". Qui di seguito il consueto estratto:

Gli ultimi non saranno mai i primi. Dicono che un giorno lo saranno soltanto per farti stare calmo. Succede che gli ultimi si facciano avanti. In questo caso, come la metti? Qualcuno si arrabbia, garantito, perché non è quello che intendeva suggerire con “saranno i primi”. 

Allestire "Infiniti passi".

Allestimento dell'esposizione fotografica "Infiniti passi" presso la Casa della Resistenza a Verbania Fondotoce. Grazie a Chiara, Ester, Roberto e a tutti i ragazzi per l'aiuto e la competenza. Inaugurazione domenica, 20 novembre, alle 15.00 in Via Filippo Turati 9. Alle 16.00 incontro pubblico e discussione sulla guerra, la dignità umana, sul giornalismo svolto in zone di confine e di conflitto. Vi aspetto con grande piacere.

(c) 2016 weast productions

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mercoledì 16 novembre 2016

Un evento a Verbania.

Vi aspetto con grande piacere domenica 20 novembre a partire dalle 15.00 a Verbania per inaugurare insieme un'esposizione di fotografie e raccontare un po' di mondo.

venerdì 4 novembre 2016

Il senso del taccuino.

© 2016 weast productions
Domani nel Senso del taccuino su LaRegione: Stare dietro alla vita. Qui di seguito il consueto estratto:

Fuori scorre. Perché la fai tanto lunga? Fuori scorre un paesaggio che sa di cartone e ha il colore di un vecchio giornale. L’aria è umida, solcata da minuscole particelle d’acqua, che non sono ancora pioggia, ma già si appiccicano al finestrino del treno, dando forma a bizzarre striature, punteggiature, ricami affidati al caso, forse. Il paesaggio, visibile ormai soltanto attraverso questo strato d’acqua, è, se possibile, ancora più scialbo. Il cielo è un colpo di tosse che non promette nulla di buono, se non catarro e ancora catarro. Il sole deve essere evaso, verso lidi migliori. Qualche rara automobile procede lungo quella che ha tutta l’aria di essere un’autostrada. I binari corrono così vicini alla macchine che è possibile distinguere chiaramente i volti dei loro occupanti. Una signora guida fumando.