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Vi confesserò una cosa. Sono accese le luci? Sta girando la telecamera? State registrando il suono? Mi sentiiiite? Mi sentono, tutti? Okay, andiamo.
Ho forti... concreti sospetti che il
mio vicino di casa abbia fatto a pezzi sua moglie. Con la scure. Ma
non ho ancora prove inconfutabili. Il fatto sembra essere avvenuto
nell'appartamento dei due. L'appartamento non lo vedo dalla mia
finestra, c'è, in mezzo, la facciata di una casa. Nell'appartamento
non ci sono mai entrato, perché il mio vicino non mi ha mai
autorizzato a farlo, sarei potuto passare per la cantina, so che è
possibile, c'è una finestra rotta e mai riparata, ma ho preferito
non provarci. La moglie, invece, mi aveva implorato di andarci a più
riprese. Fra i due tirava da tre anni ormai una brutta aria, guerra in casa. Ho fatto,
invece, alcuni giri fuori il giardino, senza sporcarmi troppo. Oltre,
mai.
Tuttavia, la settimana scorsa ho dato un'occhiata al
diario che tiene una mia vicina di casa più vicina al vicino in
questione sospettato di omicidio per mezzo scure: è una signora
anziana che si fa tutti gli affari possibili, tranne i suoi. Siccome
nel quartiere eravamo in apprensione per quella guerra
domestica, l'abbiamo ufficialmente incaricata di tenere gli occhi
aperti. Sfogliando le pagine del suo diario, al quale ho da sempre un
autorizzato accesso, mi sono accorto che l'arzilla vecchietta,
parlando con alcuni inquilini fuggiti per troppo chiasso dalla casa
nella quale il mio vicino sospettato abita (la vecchietta ha tutto il
tempo del mondo), giunge a formulare forti... concreti sospetti che
il vicino l'abbia fatta grossa e, scappatagli la mano, abbia
esagerato: e giù un fendente con l'ascia.
Crimine. Omicidio. E
pensare – pensare – che nemmeno dieci giorni fa tutti nel
quartiere – ma dico: tutti, il sindaco della città incluso –
pensavano che se un giorno qualcuno fosse stato in grado di compiere un atto
scellerato, per dire utilizzare la scure!, questo qualcuno sarebbe
stata la moglie. Anzi, si diceva in giro che i sospetti – anche qui
– erano concreti e credibili, che esistevano addirittura dei
“campioni” (campioni?), insomma, quasi delle prove che ci avesse già provato. E invece no.
Vedi come va il mondo.
Pensandoci bene, appare plausibile che sia
stato piuttosto lui, il marito, a utilizzare la scure: con la gente che lasciava entrare in
casa, certi ceffi, di un brutto vero, frequentazioni per nulla raccomandabili: stranieri, gente che viene da fuori, eccetera,
attaccabrighe e così via.
Per il momento io, che mi interessavo al
mio vicino di casa per i rumori molesti che dal suo appartamento si
diffondevano e che rischiavano di togliere il sonno al quartiere,
senza, cioè, minimamente pensare all'ipotetico utilizzo della scure,
ma così, tanto per tenerlo d'occhio, beh, io, oggi come vi parlo,
sono in possesso di indicazioni che dicono questo: se qualcuno, in
quell'appartamento, la scure l'ha usata, è stato il marito. Prove inconfutabili, tuttavia, scusate, ancora zero.
Ecco, questa è una (mia personale)
interpretazione narrativa dell'intervista che la signora
procuratrice Carla Del Ponte, esponente della Commissione
d'inchiesta dell'ONU sui crimini di guerra in Siria, ha rilasciato
qualche ora fa ai media. Per ascoltarla e vederla, cliccate QUI.
I lettori del Blog conoscono la mia
posizione su questa commissione d'inchiesta (sui presupposti) e sulle dichiarazioni che, fino ad
oggi, sono state fatte, in particolare dalla signora. Ho preferito,
in luogo di commentare la sua intervista, immaginarla –
riprendendo però alla lettera alcune frasi – e cambiando l'ambientazione e i personaggi, insomma lo stile narrativo. Qualcuno potrebbe chiamarlo uno
straniamento. Che, spesso, consente di vedere meglio e più in
profondità che non passando attraverso una serie di pensieri che poi
sono, sempre e soltanto, frutto e figli di chi li produce.
Dell'intervista in questione non mi interessano tanto, questa sera, gli scenari evocati e una infinità di ragionamenti che potremmo ricamarci sopra: mi interessano i contenuti e il linguaggio, l'approccio alla realtà e a questa guerra. Lo stile, diciamo. E quella che chiamo, alle 22 e 42 di domenica sera, l'etica dello sguardo.
Quindi una frase, in chiusura, ma che sia
scritta nel granito, o con l'inchiosto indelebile, che risuoni:
desidero ricordare, e rendere onore, ai miei colleghi e confratelli
giornalisti, fotografi, cameramen, giornalisti-cittadini siririani,
che hanno perso la vita in Siria. Per fare uscire dal paese in guerra
o portare a casa una testimonianza credibile, seria, anche: umana. Di ciò
che sta accadendo, su tutti i fronti, tutti quelli avvicinabili, con o senza autorizzazioni. Hanno pagato questa sfida e
questo atto di coraggio con il sacrificio della vita. Onore a voi.
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