Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

venerdì 20 aprile 2012

Apologia dell'inquietudine/9

Il cervello di A.: come un vecchio motore. 

Una nuova puntata. Mandata dal lettore/autore. Pubblicata con un po' di ritardo, poiché sono stato, come dire, in mezzo a deserti lontani. 

A. era alle prese con i suoi fantasmi. Fottutissimi. Fantasmi. Si'. La sua testa era finita dentro un mulinex. Una casalinga incattivita teneva un dito muscoloso sul pulsante. L'elica girava e girava. Trasformava in tiramisu' il cervello di A. Le connessioni nervose trasmettevano messaggi in codice ormai leggibili da ogni stazione d'ascolto. “Alza il braccio destro” era captato dalla stazione dell'appetito che lo trasformava in un “manda giu' un panino che è mezzanotte passata”. E via. Via cosi'. Qualcuno era entrato nel suo cervello ordinato come un salone dove vengono esposte automobili. E ci aveva messo il caos. Aveva chiamato Delia, come se non bastasse. Dopo dieci anni. Perché non lo aveva dimenticato? Doveva avere fatto qualcosa di sbagliato, altrimenti l'avrebbe dimenticato. Aveva detto che sarebbe passata domani, nel suo studio, per una storia di denti. Per un dente... Un dente... Non ricordava altro. Il messaggio era stato captato dalla stazione d'ascolto della temperatura. E aveva mandato il termometro interno di A. a livelli d'allarme. Solo che l'allarme nel suo cervello non suonava piu'. Messo male. Disconnesso. Staccato dalle radici. Sobbalzava come un piccolo aereo fra nuvole gonfie di bugie mai confessate. E desideri mai comunicati. Domani sarebbe arrivata Delia. Doveva parlarne con L. Di nuovo. Maledizione. Occupato. Occupato, a quest'ora?  

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