Si alzi uno e lo dica: che non va bene
ammazzare i bambini. Uno a caso. Siamo lì tutti presi a dare un
senso alla nostra vita e fatichiamo a trovarlo. Che ci sia un senso
nel dire questo? Credo di sì. Non ammazziamo i bambini. Non le loro
madri. E i padri? Ammazzabili, questi?
A Gaza non è guerra. La parola è
entrata in circolo, come una botta di eroina dentro un reticolo di
vene e arterie ammalate. Marce. Non è guerra: è soltanto un
esercizio. Meglio: un atto di obbedienza alla versione
ufficializzabile e ufficializzata del mondo. Da una parte e
dall'altra, voglio essere chiaro. Le statistiche sono fluide e aperte
all'imprevedibile: si adeguano. Oggi tanto, domani tanto. Finora,
tuttavia, parlano un linguagguo chiaro. L'invito è a consultarle.
Non per assolvere o condannare. Per resistere. Sì. C'è, nelle statistiche, l'aria
rarefatta delle alture: sono trasparenti. Abbiamo, tutti quanti, un
potere enorme. Quello, perlomeno, di dire che non ci stiamo. Dirlo
significa scriverlo, anche questo. O urlarlo. O metterlo alla
finestra: con un panno nero, ad esempio. Ecco: mettiamo un piccolo e
modesto panno nero alla finestra. Lo veda qualcuno. Lo veda chi
decide e ha la possibilità di rilasciare dichiarazioni ufficiali.
Mettiamo, alla finestra, un piccolo segno di lutto. Lo troviamo il
tempo? Ho chiesto che venga esposto, a una finestra del mio studio.
E: cosa possiamo fare d'altro?
Qualcuno, oggi, me lo chiedeva. Nulla. Basta un segno.
Un segno è anche una parola.
Mahmoud Darwish e Paul Celan. Da
leggere. Difficili, due ossi duri. Poeti.
O kristo, grossi, adesso ci vieni a
parlare di poeti?
Un poeta musulmano e un poeta ebreo.
Non, però, di quelli che vanno di moda, quelli che finiscono sui
giornali e in TV, che strombazzano la celebrazione di sé e basta.
Loro due, loro due soltanto. Veri negli abissi che esplorano e nei
quali, credete, si incontrano.
Non li troverete nelle librerie che
sbadigliano (sbadigliano quasi tutte: entri e ti addormenti), ma
potrete sempre chiedere. Chiedere che finiscano, in questi giorni,
nelle vetrine. È un atto di resistenza. Non contro la guerra, la
guerra è un'altra cosa, questa che vediamo è una vigliaccata:
resistenza contro l'idea, invece, che essendo lontani siamo
disposti ad accettare qualsiasi speculazione, per quanto sprovveduta
e cinica, messa a punto sulla pelle degli altri. Quali essi siano. Da
quale parte essi stiano. E sono sempre le donne. E i bambini. E i
loro papà. Finora pezzenti e urlanti, con i sandali ai piedi e la
faccia non sbarbata. Pieni di sabbia e polvere. A malapena esseri
umani. Questo vogliono farci credere, le immagini. Che siano così.
In grado, per natura e per nascita, di sopportare il lutto. Nemmeno
di provarlo. Fanno figli e li sotterrano. Li mettono al mondo liberi.
Liberi di morire. E basta.
Un panno nero, cosa vuoi che sia? Un
pezzo di stoffa. Per resistere. Per ricordare i morti di Gaza. E per
dire, in modo chiaro, ma chiaro sul serio, che questi morti non
troveranno pace in compagnia dei morti dell'altra parte. Quelli che,
se il calcolo continua a produrre cifre, ci saranno di sicuro. E che
vanno evitati. Leggere Mahmoud Darwish e Paul Celan. Alla ricerca –
tanto è estate e c'è tempo – delle profondità della parola e
della vita da cui origina, io credo, il pensiero che fa da bussola al
nostro desiderio di resistenza.
Dal Gambarogno un panno nero per dar voce al popolo Palestinese.
RispondiEliminaLa Palestina e trucidata e saranno sempre i Palestinesi a morire,BAMBINI;DONNE UOMINI
Non muoiono gli israeliani,perche l esercito israeliano e il quarto esercito piu armato del mondo grazie ai governi occidentali
Si è un'idea, ma sono sempre le stesse persone che si accorgono di questi drammi....e di questo in particolare. Fa ancora più male sapere con non cambierà niente....
RispondiEliminaBuona idea. Ma chi si accorgerà? sempre le stesse persone che già sono sensibili a queste situazioni assurde. Comunque si può fare......meglio di niente......
RispondiEliminaE poi finché si prova ancora rabbia e uno sconvolgimento interno vuol dire che con-partecipiamo e non è male.
Il "pensiero resistente" è il solo, credo, capace di identificare le manipolazioni da una parte come dall'altra, i torti e le ragioni, i limiti delle ragioni e le prevaricazioni dei torti. Servirebbe un libro per spiegarlo. Il pensiero "che resiste" è il più vicino alla sorte della popolazione, delle popolazioni, della gente, di chi, cioè, individualmente, è esposto alla manipolazione, al furto della libertà di giudizio, alla disperazione, alla morte. La tela di fondo, di tutto questo terrificante macello, è chiara e indiscutibile, anche se discussa, e quanto a torto, questa volta sì. Credo, sempre più fortemente, e a furia di vederne, nella forza del pensiero: che disarmato travolge divisioni blindate. A costo di sembrare lo sfigato di turno, lo dico pure: credo nella resistenza pacifica. Le armi aggiungono alla causa un elemento che con la causa non c'entra. È l'elemento umano: l'elemento dell'essere umano che a un certo punto ci trova gusto. Gusto a farsi la guerra. Siamo fatti così. L'ho scritto più di una volta. Lo riscrivo
EliminaSi ....è il DNA dell'essere umano.
EliminaCredo nelle opinioni e nelle persone, non nel nome e cognome.
Da un punto di vista filosofico è comprensibile, o anche letterario. Tuttavia, Faccia da Reporter fa la cronaca e fa i nomi. Anche dei suoi (apprezzatissimi) lettori). L'invito, cortese, che ti rivolgiamo, è a fare anche il tuo in un approssima occasione. Ciao.
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RispondiEliminaIl mio commento è stato eliminato a causa di errori di battuta e sostituito da uno corretto ma uguale in tutto e per tutto nel contenuto. Come sempre, i commenti dei lettori rispecchiano unicamente l'opinione dei loro autori. L'invito è a farsi avanti con nome e cognome. Grazie.
Eliminalo dico da anni quello che proponi è un gesto visibile e si dovrebbe farlo d'intorno all mondo !
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