Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

mercoledì 4 dicembre 2013

C'è un silenzio da film.


Questa mattina presto ho visto un essere umano. Quando mi sono avvicinato a lui il rosso della panchina mandava un ronzio come di campo magnetico per tenere gli altri alla larga. E quando gli ho dato un colpetto sulla spalla, l'ho fatto soltanto per capire se era vivo oppure diversamente vivo. Che è un modo per dire quello che non dice più nessuno: e cioè , morto. Era seduto sulla panchina come molti si siedono davanti al televisore: una gamba accavallata sull'altra, mezzo comodo fra quello che stai per vedere e la pipì che sta per scapparti. Quindi lì a metà, non davvero seduto e non ancora deciso ad alzarti. Eccone uno che ha messo in pausa la vita! Come puoi fare soltanto con un film. Quando mi ha avuto vicino vicino, ha aperto un occhio. E poi l'altro. “Ci sei cascato!”. Ci puoi scommettere. C'è in giro gente così viva che può permettersi di fare il morto. Mi sta sulle palle, questa gente.

Il film ricomincia a scorrere. Entra in scena un cane di dimensioni minuscole e senza grasso, anzi magro come un chiodo, che il personaggio seduto sulla panchina nascondeva sotto il giaccone. Il cane sbuca fuori come da un parto cesareo, già vestito. Indossa un piumino senza maniche di un verde sgargiante. Il mio cervello se ne va per conto suo: si sta chiedendo come abbia fatto quel tizio a infilare il piumino al suo cane senza spaccargli le costole, senza spezzargli la spina dorsale. Forse se l'è messo da solo. Non dovrei alzarmi troppo presto: prima delle nove non sono pronto per la realtà.

Il tizio sulla panchina mi spiega che al suo cane manca soltanto la parola: quindi ha tutto il resto? Mi dice che è come avere un ometto. A casa non sporca, di notte dorme, mangia tre volte al giorno, costa poco, la mattina gli porta i calzini tenendoli in bocca ma senza riempirli di saliva, la sera gli porta il libro, immancabilmente aperto sull'ultima pagina letta. “Come fa a saperlo, se io il libro lo chiudo sempre prima di addormentarmi?”

Mi guardo in giro. Cerco una via di fuga. “Come fa a saperlo!?” Io non lo so, mi scusi. Per quanto mi stia sforzando di capire come fa quel chiodo a sapere a quale pagina è arrivato il suo padrone la sera prima leggendo un maledettissimo libro, non trovo una risposta.

“Ma lei non è quello che si vede ogni tanto in televisione?” Paura, che sale dalle dita dei piedi, come una scossa elettrica che non ha fretta, ti farà secco uguale. “Ma lo sa che lui – il cane, vuole dire – non si perde una puntata? Senta, ma come andrà a finire?” Ho ancora una birra nel frigorifero. Dovevo alzarmi, aprire il frigo e bermela tutta. Soprattutto: non dovevo uscire di casa, non oggi.

Ho gli occhi del chiodo con il piumino puntati addosso. E quelli del suo padrone. C'è un silenzio da film. Il cervello trova l'innesco, e mi sorprende, l'avevo spento. Stai a vedere che è davvero tutto un film. Che andiamo avanti a puntate. Potrebbe avere ragione lui. Chissà come andrà a finire? Magari lui lo sa, il chiodo. Se soltanto parlasse. Parla, microbo! No, non glielo chiederei comunque: non mi sta simpatico. Un sapientone. Col piumino senza maniche. Verde, un verde da tirone.  

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