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Auguri a tutti i lettori di Faccia
da Reporter, inviati da una parte qualsiasi del mondo. Buone
Feste. Buon Natale. Aguri a chi crede, a chi cerca di crederci, a chi
crede di crederci. Auguri a chi non ci crede. Auguri a chi cerca un
modo per crederci. Auguri a chi ci crede senza crederci per davvero o
del tutto. Auguri a chi io non ci credo, che poi sotto sotto ci
crede. Auguri a chi mancano pochi giorni all'anno nuovo, che sarà
una storia diversa. Tanto la vita fa sempre quello che vuole lei.
Auguri ai miei amici. Anche agli altri, auguri uguale. Auguri a tutte
le facce da reporter, prigioniere dentro qualche scantinato in Siria,
in America latina, in Africa, in India, in Egitto, in Libia, altrove.
Auguri per farcela, per tenere duro. Perché senza di voi, vuoi
mettere le notizie che figura ci fanno, quelle notizie altrimenti
date con il culo incollato alle sedie e gli occhi allo schermo di un
computer, tutti zitti, ma zitti di brutto su chi le ha battute
queste notizie. Auguri a quelli che le pari opportunità sono la
nostra priorità, quando basterebbe andare un po' in giro per il
mondo per vedere quello che sanno fare le donne, per davvero, sul
terreno, in guerra, quelle senza velo, quelle con il velo, quelle
mezze coperte, che qui gli hanno votato contro perché siamo fatti
così e avanti tutta.
Auguri al fotografo ragazzino di
Aleppo, Molhem Barakat, spappolato a 17 anni da una bomba, lui che
mandava foto al mondo da questa città dilaniata, lui che lavorava
“on a freelance basis” per una graaaande agenzia stampa. Uguale a
dire: se l'è cercata.
Auguri ai due volti che guardano fuori dal
furgoncino nell'immagine che riporto (scattata in Siria) e a cui appendo gli auguri del Blog,
come a un palloncino riempito da polmoni fumati e stanchi. Sono
ancora vivi? Dove sono vivi?
Auguri a chi produce e vende armi, affinché dopo Natale vi venga in mente, brutti bastardi, un prodotto diverso, cristo, visto che è morto anche Kalashnikov, e visto che moriamo tutti, un giorno o l'altro, meglio morire in santa pace, no?
Auguri a chi produce e vende armi, affinché dopo Natale vi venga in mente, brutti bastardi, un prodotto diverso, cristo, visto che è morto anche Kalashnikov, e visto che moriamo tutti, un giorno o l'altro, meglio morire in santa pace, no?
Auguri a quelli che ci ascoltano, che
ci leggono, che sanno tutto di noi, e invece non sanno un emerito
kazzo, auguri a quelli che ci stanno dietro, a quelli che pedinano i
battiti del nostro cuore e le reazioni del nostro cervello, auguri a
quelli che lavorano per prevedere i nostri pensieri imprevedibili.
Auguri a quelli che credono: nella libertà che il nostro sguardo sul
mondo è capace di rivendicare. Uno sguardo libero che ci rende
liberi di raccontare il mondo come ci pare. Di farlo a Natale,
attorno alle tavole quasi pronte, e che non vedono l'ora di essere
spazzate da aria nuova.
Ho ricevuto molti augri. Una fila di email con animazioni elaborate e
complesse: un sacco di babbi natale, un sacco di fessi. Come se le
nostre radici (cristiane, lo vogliamo dire?) fossero in Scandinavia,
fra la neve, le renne, tutti quei pupazzi con il naso rosso di freddo
e d'acquavite. Le nostre radici sono in Medio Oriente. Dentro il
macello che si sta consumando, sotto i nostri occhi. Io non ho figli,
ma se ne avessi, glielo spiegherei: che da lì veniamo, non dalla
baita di babbo natale.
Ora mi calmo. Ecco, sono calmo. Auguri
ai colleghi reporter rapiti, prigionieri, nascosti in qualche cella pestifera, partiti per mostrare il modo a chi invece se ne sta a
casa (e va bene così, ha altro da fare, ugualmente importante). Lo
ammetto: ho, a volte, un debole per il kitsch. E allora, tanto vale
buttarsi: ascoltatevi QUESTA canzone, dedicata a una fotografa
francese partita in missione e poi rapita (in realtà dedicata ai giornalisti francesi realmente rapiti e attualmente prigionieri). È una fiction affidata
alle corde vocali di Patrick Bruel, ma ha parecchia zavorra che la
tiene sulla terra. Sdolcinata, va bene, ma sempre meglio di Stille Nacht. Kicciosa, e va pure bene, ma intanto l'ha scritta, non
me ne viene in mente un'altra, in una lingua diversa. I francesi
sanno essere, quando vogliono, grandi. Dài, auguri ancora, un bacio.
E ciao.
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