Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

venerdì 12 aprile 2013

Superato, come la naftalina.

Domani sulla Regione nuova puntata del Senso del taccuino: "Superato, come la naftalina".  Qui di seguito il (solito) estratto:

"Finisce che non se ne parla nemmeno. Pietra sopra e avanti. Finisce che se qualcuno lo fa notare, passa per lo sfigato di turno. Che se uno ci costruisce sopra due ragionamenti, è un marginale.
In niente diverso dai mantelli di lana che un tempo uscivano dal lungo sonno estivo dentro una nuvola di naftalina, quando si usava ancora. Ecco, se parli di Afghanistan è perché sai di vecchio. Sei superato, amico, come la naftalina".

2 commenti:

  1. Racconta ad un certo punto l'articolo:
    "Niente sberle, oggi. Funerali. Questi sì. Per undici bambini e una donna".
    Non è la parte centrale dell'articolo ma, per me, la più significativa. Insomma. Si sopravvive.
    Vittime, difensori e carnefici, nel tentativo di trovare in quel pantano una parte chiara, giustificabile che possa recuperare quella parvenza di umanitá, che a tratti è contrapposta solo alla paura. Una giustificazione per andare avanti sempre e solo allo stesso modo, stesse modalitá, stessi autori. Così che il bimbo afgano oggi, per mezza giornata, non avrá la sua sberlottata per qualche marachella, ma il funerale di un piccolo amico. Ma si dai! Un "male" minore ...

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  2. Caro Gianluca,

    Il Suo articolo sembra un’eco ripetuto a quello che aveva scritto nel giugno dell’anno scorso : “I massacri dei cattivi e quelli dei buoni”. Più o meno il medesimo scenario: un’attacco della coalizione aveva fatto 18 vittime, in mezzo a loro donne e bambini. Allora aveva aspettato in vano delle scuse “che non servono a nulla (...), ma perlomeno generano l’illusione di fragile traccia di umanità”. Erano finalmente arrivate, più tardi: le avevo cercate su Internet, sperando in quella traccia di umanità. Questa volta non le ho ancora trovate, ma non so se questo ne porterebbe un’oncia all’accaduto.
    Nel pantano di una guerra, il suo fango non intende mollare la sua preda. Chi ci è dentro prova soltanto un’unico desiderio, quello di uscirne fuori a qualsiasi prezzo, senza badare alle conseguenze, anche se è a scapito di chi è inerme, come donne e bambini. A costo della propria umanità.
    Ammiro la lucidità e l’onestà con le quali analizza i Suoi pensieri e reazioni quando era rimasto intrappolato a Camp Herrera. Se la situazione si fosse sviluppata a tal punto che il caccia avesse dovuto sganciare una bomba, Lei sarebbe stato salvato, a costo di una possibile strage...
    La guerra ha decisamente un morso avvelenato.
    Che possa continuare il Suo lavoro con l’antidoto che possiede : la sua incessante denuncia.

    A presto.

    Donatella

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