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Chiama “arsenale” il deposito della sua memoria. A trent'anni dipende da quello che ti è successo nella vita quanta roba c'è dentro, quanto ingombro. Ce n'è: nel suo caso. La mattina si alza presto, quando il quartiere di Kreuzberg a Berlino, nel quale abita, dorme ancora, quasi tutto, con quell'umanità di tiratardi che vive di notte. Si prepara un caffè senza cambiare il filtro del giorno prima, lo svuota soltanto (il contenuto finisce nel lavandino) e lo riempie di polvere alla caffeina, le piace il sapore della carta impregnata che sa di vecchio, di fazzoletto di carta bagnato e masticato, una melitta che nel suo fondo mette insieme ieri e oggi, due cucchiaiate di caffè e se la veda lui con il resto stantio che non finirà mai nella tazza, non aromaticamente, almeno non aromaticamente, ci finirà forse soltanto come una specie di ricordo: se lei era viva ieri e lo è ancora oggi tirate le somme è già qualcosa. Almeno questo. L'acqua fa: tic, tic, tic. Precipita a gocce dal deposito del filtro dentro la brocca trasparente che piano piano si riempie di liquido nero che lei chiama: brodo. In verità dice: «Meine tägliche Scheissbrühe».
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