Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

domenica 20 marzo 2016

Io vi chiedo.

(c) 2016 weast productions

Io vi chiedo se sapete che cos’è la guerra. Ve lo chiedo prima che decidiate di schierare l’esercito. 
E ancora prima. Prima che vi mettiate nella bocca la parola: soldati.

Ve lo chiedo per evitare che vi soffochi, questa parola, e vi tolga il respiro.

Anzi: io vi chiedo di schierare i soldati. Ve lo chiedo. Affinché vi proteggano dall’odio. Chiedo che unità armate fino ai denti circondino le vostre abitazioni e addirittura vi entrino in casa, e che sia persino incaricato un caporale di trascorrere la notte insieme a voi. Le notti insieme a voi. Con le dovute distanze, si capisce, ma che non siano metri. Che non siano metri. Centimetri, andrebbero bene, questi, capaci di trasformare i vostri incubi in sonni tranquilli.

Io vi chiedo se sapete che cos’è la guerra. E che cosa produce. E che cosa fa dell’essere umano.

Che cosa fa?

Io vi chiedo che ci sia lo spazio per ragionare, prima di mettere il colpo in canna o lo stivale sul confine.

Io vi chiedo se sapete che cos’è la guerra, prima di spruzzare paura e forse anche odio (che è il figlio della paura) ovunque, tutt’attorno.

Vi chiedo di pensare con la vostra testa. Perché gli eserciti schierati – oppure soltanto l’intenzione di schierarli – paralizzano il pensiero, lo schiacciano come una sigaretta sotto la suola di una scarpa.

Vi chiedo e vi richiedo di non nascondervi di fronte alla domanda: e se succedesse a noi, un giorno?

Vi chiedo di non mettere paura alla gente.

Vi chiedo di andarla a vedere una guerra. Vedere chi c’è, dentro a una guerra. 

Vi chiedo il coraggio. Il coraggio di partire, anche soltanto per una settimana, in guerra.

Per vedere che cosa produce: di brutto e di buono.

Vi chiedo di andarla a vivere (se desiderate, anche con me) una guerra.

Dopo – e soltanto dopo – riconoscerò il vostro diritto a produrre scenari di fronte ai quali non potrò, tuttavia, fare altro che scuotere il capo e sorridere. Di desolata tristezza.

Vi chiedo di guardarla, la guerra. Di starci. Dentro. Prima di parlarne. E prima di schierare l’esercito.

Vi chiedo di dare prova di coraggio, prima di avere paura.


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