Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

giovedì 17 settembre 2015

Parole a perdere.

(c) 2015 weast productions
Se uno dice: "non sappiamo nulla di loro", che figura ci fa? Siamo a questo punto. Dico: non sappiamo nulla di loro. Della loro vita. Da dove provengono. Cosa hanno visto? Sopportato? Subito? Quella infinità di gente in cammino. Tutta quella gente che pensavamo non sarebbe mai venuta a chiederci il conto di nulla. Siamo messi che sembra ovatta e retorica questo chiedere e volere capire. Ci stanno convincendo - e qualcuno è già convinto - che le notizie sul traffico facciano parte davvero della nostra vita. E che della nostra vita facciano parte anche le notizie del tempo che farà domani. Le firmano, con nome e cognome. Così come firmano le veline e le minestre riscaldate su come va il mondo. E addirittura gli appelli ad aiutare questi esseri umani: lo fanno come se parlassero di insalata. La vita, quella vera, dov'è? Con quale linguaggio la vogliamo raccontare? Lo si sta facendo con gli scarti. Gli scarti delle parole e delle frasi: gli scarti di un linguaggio che ha smarrito il peso. Vale, per quello in cui credo e per il poco che capisco, per tutto il mondo. Raccontato con parole che non dicono nulla, pigramente sottratte alla discarica. Parole a perdere.

(c) 2015 weast productions
Per quello zero che vale, dico che sono un profugo. Sono un rifugiato. Sto dalla loro parte, con gli errori che compiono, i trucchi che si inventano, le prediche che devono sopportare, i rimproveri, i rimproveri, i rimproveri, e con l'illusione che disperatamente nutrono in una vita davvero migliore. Ascolto le parole libertà e dignità e giustizia, che gli vengono fuori mentre camminano. Credono, disperatamente, che le troveranno in questa parte di mondo. Libertà, dignità e giustizia. E in questo crederci, fino in fondo, possono risvegliare in noi perlomeno la nostalgia del senso della ricerca. Della ricerca. Che è un modo per lasciare un segno nella vita. Per tutto questo, e soprattutto aldilà delle balle dei buonisti (che tanto buoni non sono) e delle minacce dei falchi (che vedono a un centimetro), io dico e ridico che sono un profugo. Sono uno di loro. A metà strada. Anzi proprio in mezzo. 

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