Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

lunedì 18 maggio 2015

Nessuno in giro. La storia_1.

© 2015 weast productions
Inizia, con questa prima puntata, il racconto di una storia raccolta in giro. Vera, come è vera la realtà. Cattiva, come è cattiva la realtà. E da ridere. Come è da ridere la vita. Alcune puntate potranno essere seguite, dal vivo (che vuol dire live), su PERISCOPE. Su Twitter seguite e commentate #lastoria. Anche questa storia è scritta dal vivo.
Si sarebbe dovuto decidere a lavare le tende. Un giorno o l'altro. O a chiedere a Li' Pin di farlo. Povera Li': che soffriva di sciatica e aveva una gamba di legno e una paga che le bastava soltanto perché dormiva dentro una stanza con altre cinque Li'. Alcune con la sciatica. Altre con la gamba di legno. Guardare quelle tende lo metteva di cattivo umore, era come avere i polmoni davanti agli occhi tutto il fottutisimo giorno. Le tende, una volta bianche, avevano col (breve) tempo acquistato un colore malsano di un giallo intenso, con striature di marrone che si accentuavano dove le pieghe facevano delle rugone. Delle rughe cazzose. Quando il vento, entrando dalla finestra spalancata sul mattino (dalle dieci in poi chiudeva le imposte, per la cronaca), muoveva le tende, le dondolava lentamente o le faceva sbattere uguali alle gambe di un moribondo che cerca aria, il giallo si fondeva con il marrone. Francamente, pensare ai suoi polmoni in quegli istanti, davanti a quello schifo, non lo metteva di buon umore, mai; e nemmeno lo aiutava a trovare (o ritrovare) quell'ispirazione che, negli anni trascorsi, non gli aveva mai fatto difetto, anzi era stata una sorgente dalla quale sgorgavano idee, immagini, parole. Anche parolacce. Le parolacce gli erano sempre piaciute, anche se non aveva potuto scriverle, non sempre. Nemmeno dirle. Non ovunque, perlomeno. Le parolacce sono uno slogan, un pugno alzato – pensava. Dissidenza dello spirito. Uno che non dice parolacce non è libero, nella vita. È un pirla.

Pensava che doveva tagliarsi le unghie dei piedi, perché non si sa mai quando ti ricoverano d'urgenza all'ospedale o ti succede il miracolo di incontrare una donna che ti dice di sì: qui e ora. Tutto quello che vuoi. Diiiio. Gli sarebbe piaciuto sapere di buono, e non di fumo o di carta. Profumare – aspetta che sparo una cazzata – di lavanda. O di pino silvestre, meglio ancora. Il massimo sarebbe stato: di acqua di colonia. E di unghie lunghe. Dei piedi. Aveva l'equilibrata consapevolezza di offrire al mondo un quadro squallido. Si sarebbe dovuto decidere, inoltre, a fare fuori – massacrare – quell'enorme vespa che si era attaccata alla tenda. Le piaceva il giallo. Lo spray, che teneva sotto il lavandino della cucina, era vecchio abbastanza per avere perso, almeno in parte, la sua efficacia, quanto bastava per farla soffrire a lungo, quella bestia schifosa: voleva sentirla rantolare sul pavimento, sulla terra di nessuno che separava la finestra dal divano, voleva sentirla chiedere aiuto, chiamare il 144, chiedere perdono per tutti i peccati, le scappatelle, le scopate nei cessi, le balle raccontate, i crimini compiuti, i morti sulla coscienza. Tirare le cuoia. Uiui. Voleva metterle l'orecchio destro sulla pancia e ascoltare il suo piccolo cuore di cartilagine farsi sempre più piccolo e debole, fino a precipitare dentro il buco nero dell'insufficienza cardiorespiratoria e sparire, ma non senza averci messo una pena indimenticabile, una faticaccia, rotolare e capire, ad ogni botta, che stava diventando sempre meno, sempre meno cuore, mentre si lasciava dietro una lunga striscia di rimpianti, soltanto, e di parole mai dette. Vuoi mettere parolacce... Sai che le parolacce liberano? Che dicono la verità?

Si sarebbe dovuto alzare da quella maledetta sedia alla quale aveva inchiodato il culo, andare in cucina, aprire l'armadietto sotto il lavandino, tastare con la mano nello spazio esiguo (oooo) che separava il sifone dall'inalatore per i raffreddori, e afferrare lo spray. Un giorno o l'altro l'avrebbe fatto. Questione di guarire le mani dalle ultime botte, chiudere quelle cazzo di piaghe che gli si erano formate sulle nocche dopo avere tamburellato come una beschtia sulla faccia di quel perduto che si era trovato davanti e lo aveva frantumato per strada, buttato giù con l'ira allegra di uno che ha deciso di rifare il mondo, a modo suo, cominciando da lui e senza nessun altro in giro. Lo aveva santiddio massacrato, scambiandolo (davvero?) per la pagina che restava immobile e senza traccia. Davanti ai suoi occhi. Sapeva essere cattivo, quando serviva. Li' Pin stava entrando nella stanza accanto, come al solito senza camminare. Sorvolava il mondo, maledetta zoppa! Aveva aperto la porta, messo dentro per prima la gamba buona e la sua ombra di matita storta si stava ormai e rapidamente incollando alla parete. Fra un istante, sarebbe stata accanto a lui. Non finiva mai bene, quando Li' entrava così.  

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