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Premesso che non capisco un accidenti
di geopolitica, di politica e di tutto quello di cui bisognerebbe
capire per pronunciarsi sulla crisi ucraina, dico uguale e dal
terreno quello che mi è passato per la testa, che tanto il mondo non
ne risentirà.
Le urla scandalizzate che provengono
dalle cancellerie occidentali mi ricordano (lo ammetto subito: è un
condizionamento inevitabile della mia mediocre biografia) le voci
agitate che si alzavano dalla piazza del paese di Astano, che nelle sere d'estate era abitata (qualcuno direbbe “occupata”) da
arzille signore e tuttavia in età. Dopo cena, ben nutrite e piene di
un'energia che in ora più tarda non avrebbero potuto altrimenti (e
non senza rimpianti) smaltire, commentavano la giornata appena
trascorsa. Lo facevano alzando la voce, più spesso addirittura
urlando. Al punto che io, che ad Astano trascorrevo la villeggiatura
(si diceva ancora così), mi allarmavo, e agitatissimo concludevo il
peggio, anzi onestamente ci speravo, mi auguravo l'orrido da guardare
con la mano aperta sugli occhi spalancati, come poteva fare un
pischello che si poteva permettere (anagraficamente) tutto il lusso
di questo mondo di credere che la fantasia superi la realtà. A casa
la televisione non c'era (proibita), lavoravo quindi di
immaginazione. Pensavo che fosse successo un disastro. Un fatto di
sangue. Che si fosse consumata una vendetta improvvisa e terribile
(ad Astano gli abitanti avevano – sottolineo avevano – il sangue
caldo). Magari. E invece: nulla di tutto questo. Le “vecchiette”
(la Isa, la “Pepa Tencia”, l'Elvira e altre) commentavano
trascurabili (geopoliticamente parlando) fatti di cronaca locale,
diciamo pure delle breaking news paesane, ma dal loro punto di
osservazione erano centrali, vitali. Sempre, o quasi, riguardavano,
questi commenti urlati (editoriali di paese, analisi di piazza),
vicende che avevano come protagonista un “furestee”, un
forestiero, insomma un qualche (quasi sempre) tedesco in
villeggiatura. Al quale piaceva, nella maggior parte degli scandali
consegnati a tutto il paese dalle non propriamente esauste corde
vocali delle vecchiette, prendere il sole nudo o insomma se non
proprio nudo del tutto, poco ci mancava. Il resto ce lo metteva la
fantasia. Per come andava allora il mondo. E per come va ancora oggi. Le
mie (adorate) vecchiette davano vita ogni sera a un teatrino che
aveva come protagonista l'ipocrisia. Una tenerissima ipocrisia a quei
tempi e nel Malcantone. Ma pur sempre di ipocrisia si trattava. Perché quel
tedesco (semi)nudo che girovagava per un vigneto o prendeva il sole
in giardino, la cena non gliela faceva di sicuro restare sullo
stomaco. Anzi: dava, a tutte le commentatrici, un curioso e ostinato
appetito che durante il resto dell'anno stranamente non avevano,
quasi a preoccuparsene, a chiederne conto al “dutur”, che ad
Astano arrivava il giovedì. Soltanto il giovedì.
Ecco, per farla breve, il ponte gettato
verso la delicata situazione in Crimea e Ucraina. Che ho deciso di
spiegare partendo da una memoria malcantonese, con tutto il
profondissimo rispetto verso questa crisi. Le immagini parlano
più delle parole. Non credo, pur capendoci zero, che tutto il
fracasso diplomatico che si sta alzando sia davvero ancorato a
radici genuine e sane. Penso che nessuno abbia provato
spontanea sorpresa di fronte alle truppe russe in Crimea, così come
le “mie” vecchiette non si sono mai sentite sul serio
scandalizzate alla vista del tedesco in giardino. Se lo aspettavano:
le cancellerie occidentali Putin in Crimea, le vecchiette di Astano
il forestiero in giardino. All'uno e all'altro, fatte le debite
proporzioni, viene (veniva) destinato l'auspicio di una
chiarificazione. Il “furestee” malcantonese riverberava (come uno
specchio investito dal sole) il desiderio non spento delle astanesi
in piazza di essere sottratte (strappate, con la forza, con i
muscoli, anche con una insospettata ma controllata e controllabile
brutalità...) ai ritmi ripetitivi e noiosi di una vecchiaia che
faticavano ad accettare (in verità: anche a sentire). Il Presidente
russo fa una cosa simile (chiedo scusa per un paragone che non
intendo suggerire direttamente) con le cancellerie occidentali. Le
sottrae all'incrostamento alle quali si erano consegnate, al punto
tale da credere che la Russia non esistesse più. O, qualora
esistesse, fosse riconducibile a una guerra dichiarata e combattuta
in nome dei diritti delle Pussy Riot e degli omosessuali. Sulla
classica collina le truppe occidentali vittoriose avrebbero allora
issato con elasticità e con le mimetiche appena sudate la bandiera
con l'arcobaleno o un reggiseno. Tanto per intenderci: è una battaglia legittima e
che va benissimo, è anzi auspicabile (su entrambi i fronti, di diritti fondamentali si tratta). Ma, combattuta così, non
serve davvero le cause alle quali sostiene di dedicarsi, anzi le
indebolisce. Politicamente, la Russia non può essere ricondotta
soltanto a questo: Pussy Riot e arcobaleni. E ce lo sta dimostrando,
con il linguaggio (per quanto superato, ma dobbiamo sempre
giudicare?) che fino a poco tempo fa tutta l'Europa (fatta qualche
rara eccezione) ha sempre parlato. E che, per essere onesti fino in
fondo, l'Occidente continua a parlare (con i suoi attori principali e
con le sue comparse) su altri scenari del mondo: Afghanistan, Iraq,
Siria, ecc. Abbiamo la memoria corta. E trattandosi di popoli lontani, che
spesso hanno anche una religione (maggioritaria) diversa (ci
dimentichiamo però facendo i furbi di quella minoritaria, uguale alla nostra), non ci scomodiamo a urlare come facevano le vecchiette
di Astano. E come fanno ora le cancellerie occidentali. Il tedesco
(semi)nudo di Astano risvegliava, togliendole di dosso lo strato degli
anni, la carne delle astanesi in piazza. La mossa di Putin in
Ucraina/Crimea risveglia il senso della politica nelle cancellerie
occidentali. La politica vera. Non quella incarnata dai tentativi,
dagli esperimenti, dall'improvvisazione, dal “vediamo che
effetto che fa”. È un risveglio brutale, senza filtri, senza raggiri. Con gli
stivali dei soldati che sanno di piedi, così come il tedesco in
giardino sapeva (certamente) di sudore, cotto com'era dal sole.
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