Domani, sabato, nel Senso del taccuino sulla Regione: "Le vite sospese attorno a noi". Qui di seguito il (solito) estratto:
Ci eravamo conosciuti ad Antiochia,
Turchia, poco distante dal confine con la Siria. Lui faceva un metro
e ottanta di altezza. E non vedeva più niente. Zero. Mohammad Assaf.
Il soldato siriano disertore, che prima (della rivoluzione? della
guerra?) faceva il preparatore e venditore di kebab. Disertore perché
agli ordini di sparare sulla gente aveva risposto “io no”. Tutto
qui. Poca roba, dentro la Siria. Che non è inferno, non è macello,
non è male assoluto, non è nessuna metafora, nessuna citazione
letteraria: è il mondo come gli esseri umani sanno trattarlo. Sanno
trattarsi. Come lo trattano. E come si trattano. Mohammad era rimasto
gravemente ferito nel bombardamento della sua casa a Mohassan, a due
passi da Deir ez-Zor. Le ferite all'addome, gravi, le aveva operate
il dottor Abdulmalik Al Fannad. Gli occhi, impossibile affrontarli
nell'ospedale di Mohassan, che non è ospedale, è “atto di
coraggio”. Per essere onesti (l'ho visto): è disperazione medica.
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© 2013 weast productions / Mohammad Assaf, il soldato disertore |
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