Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

venerdì 12 febbraio 2016

Il senso del taccuino.

© 2016 weast productions

Domani nel Senso del taccuino sulla Regione: "Amore di quartiere". Qui di seguito il-consueto-estratto.

Le voci nel quartiere non si placavano. I sussurri. Le risatine. Le battute. I resoconti. Impazzavano. Le ricostruzioni passavano di bocca in bocca (qualcuno ormai al solo pronunciarla, questa parola, arrossiva) e si complicavano. Diventavano addirittura ancora più piccanti. Ancora di più? Possibile, mai? Possibile. E poi gli sguardi d'intesa e probabilmente anche d'altro. Tipo? D'invidia. Quanti sguardi d'invidia producevano le signore e più erano avanti con gli anni, più la covavano, accecate. A confessarla, tuttavia, non ci pensavano. I mariti (quelli rimasti) provavano invece un sentimento diverso. Fondeva l'ammirazione con il ricordo – capace di compiere il fugace miracolo di ringalluzzirli – degli anni della miglior gioventù quando, come suggeriva il Luigi, ex contabile, dando sfoggio di una reminiscenza scolastica liberamente adattata o semplicemente sbagliata, “amor a nullo innamorato amor perdonava”; anni, insomma, nei quali, come sosteneva il Franco, ex sarto in un elegante negozio di abbigliamento per gentlemen e abile creatore di sottili doppi sensi, “a caval donato non si guardava in bocca”. Testuali parole. Provocavano reciproche e sacrosante espressioni di approvazione quando il Luigi, il Franco e qualche altro coetaneo si ritrovavano per l'aperitivo che, a causa dei medicinali prescritti, era sempre e per tutti rigorosamente analcolico. Questa “deplorevole” (Luigi) rinuncia al “nettare divino” (Franco) non impediva alle consorti di chiedere ai rispettivi mariti, una volta rincasati, puntuali per il pranzo, con tono ruvido e stizzito: “Cusa a t'e bevu?”. Era, questa domanda, dettata dal disappunto con il quale le mogli registravano l'espressione di rinverdita giovialità sui volti dei mariti di ritorno dal bar. Siccome conoscevano i loro polli (la frase era stata della signora Lina, moglie del Franco, poi ripresa dalle altre amiche), impiegavano pochissimo a concludere che si erano divertiti a ricamare sopra al piccante argomento di cui nel quartiere parlavano tutti, ormai da due settimane.


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