Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

mercoledì 26 febbraio 2014

Cosmonauti pensosi.

(c) 2014 weast productions.
In Crimea vengono segnalati (primi) scontri fra filorussi e nazionalisti ucraini. La tensione è altissima, il futuro prossimo per l'Ucraina è ricco di insidie e pericoli. Domani, giovedì, la Regione pubblicherà un mio reportage dal Paese. Qui di seguito il (solito) estratto:


A Kiev nessuno attraversa la strada se il semaforo è rosso. Nemmeno senza traffico. E nemmeno oggi, che non vedi in giro un poliziotto che sia uno. Chi aspetta l’autobus lo fa quasi sempre in fila indiana, l’ultimo arrivato si mette dietro, a nessuno verrebbe in mente di fare il furbo. Di sera, i minibus privati, gialli e verdi, scorrono lenti con i vetri ricoperti di vapore : dietro si indovinano sagome infilate dentro pesanti mantelli, sedute e in silenzio. Qualcuno passa una mano sui finestrini, aprendo piccoli oblò attraverso i quali guardano cosmonauti pensosi. Questi autobus assomigliano a televisori quadrati accesi sulla vita. Che a Kiev è strana. L’ordine regna anche sul Maidan, la Piazza dell’Indipendenza, ora che non si combatte più. Migliaia di persone attraversano a piedi le barricate tenendo la destra, ubbidendo alle indicazioni degli « addetti » : lunghe file ordinate scorrono parallele in direzioni opposte. Chi viene e chi va. È abitudine, non c’è dubbio, ma in questi giorni è anche qualcosa d’altro : il desiderio, forse, di dare una forma alle cose, alla realtà, di tenere insieme i pezzi della vita che ci mettono un attimo a staccarsi. Quando sulla piazza dell’Indipendenza e sui vialoni che prendono il nome di Institutska e Grusheskova si è scatenato il fuoco delle unità speciali della polizia e poi quello dei cecchini, in molti hanno pensato alla guerra. Che fosse arrivata e che andava combattuta. A Kiev, per qualche giorno, si è accesa la macchina del tempo : bastava avvicinarsi alle barricate per finirci dentro, risucchiati da un vortice che erano le immagini a formare, di uomini che indossavano elmetti della Seconda guerra mondiale, vecchie maschere antigas, vecchie divise militari e che avevano il volto annerito dalle bottiglie molotov e dagli incendi appiccati  per rimpedire ai poliziotti di attaccare la piazza. Ora che è tornata la calma, il Maidan e le strade circostanti sono state ripulite da squadre di cittadini volontari. Resta uno strato di polvere carbonizzata che si è posata su tutto. E restano le barricate, perché nessuno, a Kiev, pensa che sia davvero finita, ma anche perché quando l’hai assaggiata una volta, la rivoluzione, e quando hai assaggiato la battaglia, fatichi a tornare a una vita normale. C’è quindi ancora una parte della città trasformata in un accampamento. Gli abitanti di Kiev ci vanno di giorno e di sera, dopo il lavoro, alcuni sono venuti da fuori, lo scorso week-end. Per vedere dal vivo quello che hanno visto soltanto in televisione. Per rendere omaggio a chi si è battuto nella prima linea e che, ancora oggi, a distanza di giorni, si porta addosso gli stessi vestiti e sulla pelle quello che resta del fumo, una specie di medaglia al valore. Per rendere omaggio anche ai morti, quasi cento o cento o addirittura di più , non c’è una versione univoca : la gente porta fiori, con i quali ha ricoperto le barricate ; e candele, che accende davanti alle fotografie, molti i giovani, « uccisi dai cecchini », ti spiegano.  Ancora fino a qualche giorno fa c’erano le bancarelle con le ragazze che preparavano panini alla salsiccia e li offrivano a chi, sulla piazza, resisteva, anche ai giornalisti, che con il popolo della protesta hanno condiviso lo stesso freddo penetrante e lo stesso piombo. 

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