Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

giovedì 9 novembre 2017

La vita è profonda in superficie.

(c) 2017 weast productions / tutti i diritti riservati.

Sabato 11 novembre, nel Senso del taccuino (sul Blog), scriverò controcorrente: proporrò un Elogio degli (uomini) imbranati. Quelli che non ti mettono le mani addosso (perché non sanno come si mettono). 

Questa sera parto dal gossip internazionale. È una cosa seria, come vedrete e mi auguro come riuscirò a spiegare.  


Per un attimo il mondo è sembrato tornare al suo posto. Anzi: proprio a posto. Mariah Carey ne avrebbe fatte (anche fatte vedere) di tutti i colori a una sua ex guardia del corpo di sesso maschile. Finalmente un uomo che accusa una donna di molestie e violenza. Non è facile essere nati maschi e dovere leggere, ogni giorno, tutte quelle denunce contro i nostri compagni di squadra. È un po' così, no? Siamo una squadra, noi uomini. Procura un certo sollievo sapere che una, almeno una si sarebbe resa colpevole di atti impropri nei confronti di qualcuno dei nostri. Suvvia: date un'occhiata alla Carey. Sarebbe in grado di violentare un uomo. Esagerato? Diciamo allora: di molestarlo, di molestarlo sì, di imbarazzarlo, ecco, sicuro come domani è venerdì. Dai che è che iniziata la riscossa, il pareggio non è lontano. 

Questo, care lettrici e cari lettori, non è gossip. È il prologo a riflessioni di semantica applicata e critica lessicale. La parola al centro dell'attenzione è “bodyguard” o guardia del corpo nella traduzione italiana. Non esiste alcuna manifestazione della vita che non sia capace di portarci in profondità, alla scoperta di ciò che la superficie non lascerebbe mai immaginare, o forse sì, anzi senza dubbio di ciò che essa addirittura anticipa. Il gossip è una di queste manifestazioni anticipatrici: innesca lo scandaglio fatto scendere dentro il nostro essere umani. Il gossip sta alla filosofia e al ragionamento come la cronaca sta alla Storia. Sto per produrne la dimostrazione.

Nel caso di Mariah Carey accusata da una sua ex guardia del corpo di atteggiamenti e attenzioni poco piacevoli qualcuno deve avere interpretato alla lettera la parola “bodyguard”. Chi dei due? La Carey avrebbe mostrato, stando alla versione dell'accusatore, il suo “body” a lui che aveva per compito messo a contratto quello di tenerle gli occhi addosso. Su questo non credo ci sia dissenso: una guardia del corpo distratta o che si rifiuta di guardare il corpo della cui protezione è incaricata non è una guardia del corpo. È un'altra cosa. La signora Carey sembrerebbe essere andata oltre nello sforzo interpretativo della parola (e della funzione da essa espressa). Parrebbe avere pensato che il corpo in questione (il suo) andava guardato anche quando era nudo e magari non soltanto, a maggior ragione quando era nudo e avvinghiato a un altro corpo: in quei frangenti può accadere di tutto, siamo d'accordo. Senza sguardo addosso, Mariah sarebbe stata un corpo sguarnito. Pensateci: quando veniamo al mondo, nudi, compiamo l'esperienza della nostra massima fragilità. Non è che l'anticipazione di tante esperienze che verranno: andando avanti con la vita, ci capiterà infatti di ripetere questa esperienza e di riprovare (anzi: di provarla consapevolmente) la sensazione (la certezza) della fragilità. I vestiti con i quali andiamo in giro sono il nostro “body armor”, vale a dire la nostra armatura. In pochi possono permettersi, oltre a questa, anche un “bodyguard”, vale a dire un occhio benigno costantemente puntato su di noi. Chi se lo può permettere, potrebbe esigere (e chissà che non esiga) che l'occhio sia sempre vigile e puntato. Anche quando l'armatura cade. È impossibile escludere che la signora Carey non sia giunta proprio a questa conclusione. Sostenuta ormai non più da uno sforzo di interpretazione del significato della parola “bodyguard”, ma da una (fosse pure inconsapevole) ricerca etimologica della sua origine e del suo significato: “uno che guarda il corpo (di un altro)”. Di lì a dire: “il mio corpo”, e di lì ad aggiungere “guardarlo sempre”, il passo potrebbe (dico: potrebbe) essere stato breve.  

Esistono parole ed espressioni che non vanno prese alla lettera, altrimenti generano disastri. Vanno prese in senso metaforico. Il disastro di cui potrebbe essere stata responsabile Mariah lo abbiamo capito: sembrerebbe essere scaturito da un'interpretazione letterale (forse astutamente letterale) della parola “bodyguard”. E la guardia del corpo, di che cosa potrebbe essere responsabile? Di troppa fretta, e di scarsa prudenza di fronte al vocabolo che definisce la sua professione. Potrebbe essersi detto: cosa vuoi che significhi? Guardia del corpo significa uno con i muscoli, la pistola e un walkie-talkie che sta attento che nessuno si avvicini troppo alla persona (alla pop star, nel caso che discutiamo) della cui protezione è incaricato: quando finisce il suo turno rientra a casa o in albergo per fare palestra, bersi un succo di frutta, mandar giù un anabolizzante e dormire. È ipotizzabile che la guardia del corpo si sia fidata troppo della parola che illustra la sua professione, sorvolando (forse per ignoranza o incompetenza) sull'ambiguità che cela. Nel momento in cui la signora Carey gli avrebbe chiesto di prenderla alla lettera e quindi di guardarglielo per davvero, il corpo, di esserne la guardia in senso letterale, il “bodyguard” si sarebbe sentito chiamato a svolgere un compito per il quale non era stato assunto (e pagato). Di lì la denuncia. 

A questo punto, sta per accadere qualcosa nelle nostre riflessioni. Sta per avvenire un rovesciamento. In fondo, la signora Mariah Carey sembrerebbe (ammesso che le accuse tengano) avere optato per l'interpretazione più semplice e scontata della parola guardia del corpo: non soltanto l'avrebbe presa alla lettera, ma avrebbe rifiutato alla lettera l'ambizione di significare qualcosa d'altro, il desiderio di liberarsi da un significato immediatamente decifrabile. Prendere le parole alla lettera ci risparmia la fatica di riflettere su ciò che significano realmente. 

Potrebbe essere stata invece la guardia del corpo ad affrontare il ragionamento più sofisticato, assegnando alla parola “bodyguard” e al ruolo al quale essa fa riferimento il significato di tenere alla larga i fans più esagitati e, se del caso, di mollare qualche ceffone, quando non addirittura qualche pugno. Ha insomma concluso che la sua funzione è quella del “gorilla”. Interessante: eravamo partiti dando tutto sommato dell'ignorante alla guardia del corpo. Scopriamo, ora, che ha compiuto un ragionamento complesso: ha rifiutato il significato letterale ed etimologico di guardia del corpo, in particolare nelle sue interpretazioni più estreme o ardite o gagliarde, per non dire piccanti (il significato forse auspicato dalla signora Carey) di “guardia che guarda il corpo anche quando il medesimo è nudo”; deve avere intuito che “guardia del corpo” è una metafora (il corpo lo proteggi, non lo guardi per vederlo fare altre cose, nemmeno quando ti chiedono di guardarle); infine, ha concluso che questa metafora è ambigua, è una trappola tesa dalla sua esperienza letterale (guardami sempre!), ma anche dall'interpretazione (fare la guardia non significa guardare sempre, ma se non guardo sempre la signora Carey, quella si incazza!). Per sottrarsi a tale ambiguità, il poveretto ha quindi affidato a un'altra parola la descrizione della sua funzione professionale al fianco di Mariah Carey: la parola “gorilla”. Lui è stato, per un certo periodo di tempo, il suo gorilla. 

Anche questa, però, è una metafora. Una guardia del corpo non è per davvero un gorilla. È solitamente grosso come un gorilla, ma non è un gorilla. Non esiste però alcuna garanzia capace di escludere che qualcuno, un giorno, si aspetti che faccia cose e si comporti da gorilla, oppure, in modo diverso, che uno, rifiutandosi di farle in virtù della conoscenza del significato metaforico della parola, si ritrovi ad accusare qualcuno per avergli invece chiesto di comportarsi in senso letterale. Ci fermiamo qui, per oggi. Vedete, tuttavia, come partendo da un fatto di gossip si possa giungere a ragionare su qualcosa d'altro. La profondità della vita sta sempre in superficie.

Domani sera la consueta anticipazione del Senso del taccuino. In attesa che venga ospitato dal nuovo portale che lancerò in gennaio. 

lunedì 6 novembre 2017

Per allegria.

(c) 2017 weast productions / all rights reserved.

Date in pasto ai cani
la mia vita.
Date loro
le mie dita.
Si prendano gli occhi:
si sazino.

Prendano i miei amori.
Due, forse tre.
Segreti e mai consumati.

Rimangano loro fra i denti
i filamenti -
più forti della verità -
e indigesti.

E finalmente.

Staranno
così
alla larga. Al largo
del mare, dal quale vengono
ogni notte.
Con la fame di farmi.

Di farmi a pezzi.

Ve lo chiedo per pietà.

E per allegria.

(Continua la serie di poesie inviatemi da Gaza. Autrice è una giovane donna che desidera restare anonima, che evidentemente non si rivolge a me in ciò che scrive, ma si rivolge a me per essere pubblicata. Il Blog la pubblica. La traduzione è di Faccia da reporter, al quale manca il tempo per la costanza e traghettamenti più accurati).


sabato 4 novembre 2017

Tutto un altro scrivere.


IL SENSO DEL TACCUINO

(c) 2017 weast productions / tutti i diritti riservati.


Ho speso 48 franchi per una fotografia. Se il mio barbiere non mi avesse offerto il taglio e la regolata alla barba, affrontati prima e in funzione dello scatto, sarebbero stati di più. Tutto questo per partecipare alla lotteria dalla quale potrebbe uscire una green card americana assegnata al sottoscritto. Ammetto di essere preoccupato dopo le parole del Presidente Trump, che vorrebbe togliere dalla circolazione il gioco al lotto dei permessi di soggiorno regalati. L'ha detto un po' da rozzo, ma l'America è il suo Paese. Ha il diritto di dire e fare ciò che desidera, in particolare dopo avere appreso che l'attentatore di New York era giunto negli USA con uno di quei permessi (all'uzbeko l'avevano dato sulla base di che cosa, della sua faccia?). Io, però, non sono quello. Vorrei andare in America per diventare famoso. Anche l'attentatore è diventato famoso. Io voglio diventarlo in modo diverso, si capisce: voglio diventare uno scrittore famoso. In America sarebbe tutto un altro scrivere. 

Sto per dire una cosa che sembrerà un enorme inchino (lo sembri pure), di certo andrà contro la versione ufficiale del mondo, diciamo la più diffusa. Non aveva tutti i torti il Presidente Trump quando ha scritto, a caldo, in uno dei suoi Tweet, che l'attentatore di New York è “un malato di mente”. Lo dico per avere incontrato numerosi familiari di attentatori e attentatrici (suicidi e suicidatisi, dopo avere portato con sé molte vite innocenti) e, a memoria, dopo averne incontrato almeno uno, sopravvissuto alle pallottole delle forze dell'ordine in Israele, anni fa. Un ragazzino. La mia conclusione è questa: nessuna delle persone autrici di stragi di massa di cui sono stato testimone presentava, nella ricostruzione fornita dai familiari oppure direttamente (il caso del ragazzino) un quadro mentale stabile. Non sono un medico per certificarlo (i medici, tuttavia, non hanno l'esclusiva della certificazione), ma questo ho capito: i mandanti degli attentati portati a segno avevano ogni volta saputo appropriarsi di una predisposizione, chiamiamola così, esistente. Ho conosciuto e intervistato anche qualcuno che teorizzava e giustificava gli attentati suicidi (in particolare palestinesi): le teorie e le giustificazioni valevano per i figli degli altri, mai per i loro.  

Ho conosciuto e intervistato un pilota di caccia F-16, lasciamo stare di quale paese. Fosse stato un chirurgo, mi sarei fatto operare subito, anche senza necessità, per il piacere di finire sotto i suoi ferri e sotto i suoi occhi. Ero sicuro che mi sarei risvegliato in una condizione migliore di quella antecedente l'anestesia e l'(inutile) operazione. Era un essere umano perfetto: convinto di bombardare la zona XY (lasciamo stare dove) per una causa giusta e indiscutibile. Era anche  innamorato della sua famiglia, composta di moglie e due figli. Dopo l'intervista, mi sono chiesto chi avevo avuto di fronte per trenta minuti. La mia conclusione è stata: una persona equilibrata e, con ogni probabilità, sana di mente. Tuttavia, quell'uomo era convinto che anche le bombe o i razzi partiti dal suo F-16 e finiti fuori bersaglio (per sua diretta ammissione), vale a dire finiti sui civili avessero, in realtà, centrato un obiettivo se non giustificato, almeno in qualche modo giustificabile. 

Ecco come siamo messi noi esseri umani. Costa fatica concluderlo e scriverlo. Probabilmente costa anche qualche rischio. Siamo capaci di compiere atti terribili e terrificanti. L'attentatore e l'aviatore non realizzano la stessa azione. L'attentatore vuole uccidere vittime innocenti. L'aviatore vuole colpire il nemico combattente, ma torna a casa la sera e sorride alla famiglia anche quando la sua azione, partita da motivazioni diverse, ha prodotto (per errore) lo stesso risultato dell'azione dell'attentatore, colpendo dei civili: torna a casa convinto (ma quanto?, davvero, quanto?) di avere agito in virtù di una causa superiore, quindi trascendente (la ragion di stato, la sopravvivenza del proprio paese, le sorti della guerra ecc.). 

Questi due esempi riassumono il mondo per com'è messo oggi e per come lo percepiamo: attraversato da guerre e attentati. Una loro possibile (e praticata) lettura tende a metterne in evidenza la relazione che, sintetizzando e semplificando, è questa: la violenza produce violenza. A questo livello di interpretazione vengono solitamente aggiunte considerazioni di carattere geostrategico, politico, storico, religioso eccetera. Il mio approccio è diverso: questi due esempi (insieme a molti altri) ci permettono di guardare dentro l'essere umano, quindi dentro di noi. È il motivo per il quale mi interessano.

Che cosa genera violenza? Che cosa ci rende capaci di produrla? Dove corre la linea che separa la malattia dalla perfezione? Il pilota che ho intervistato sarebbe forse per davvero potuto diventare un chirurgo. L'attentatore di New York avrebbe potuto salvare una vita, due vite, tre vite, invece che spezzarne otto. Sono finiti dentro qualcosa, una sorta di nebbia elettrica ed elettrizzante, prodotta non dagli alieni, ma da altri esseri umani, consapevoli, per intelligenza ed esperienza, di come sia facile piegare la nostra mente, farla propria. Come sia facile impossessarsi di noi e convincerci che ciò che facciamo sia la cosa giusta da fare. 

L'orrore che proviamo di fronte alla violenza ci induce a chiudere gli occhi, anche soltanto per un istante. 

È una forma di autoconservazione, di protezione. È istinto di sopravvivenza. Nell'istante in cui l'essere umano produce violenza, spezzando vite, nel modo più rozzo oppure più sofisticato, rivela qualcosa che riguarda tutti noi, rivela qualcosa che ci guarda. Per non essere visti e per non guardarci, chiudiamo gli occhi. Produciamo, ciò facendo, un'immagine.

Per raccontarla, questa immagine, mi piacerebbe andare in America. Qui non la so scrivere. Non come la scriverei laggiù. Ecco perché mi serve la green card

venerdì 3 novembre 2017

Il senso del taccuino.

(c) 2017 weast productions / vietata la riproduzione.

Domani nel Senso del taccuino su Faccia da reporter: "Tutto un altro scrivere". A partire dalle ore 07.00. Qui di seguito il consueto estratto:

Ho speso 48 franchi per una fotografia. Se il mio barbiere non mi avesse offerto il taglio capelli e la regolata alla barba, affrontati prima e in funzione dello scatto, sarebbero stati di più. Tutto questo per partecipare alla lotteria dalla quale potrebbe uscire una green card americana assegnata al sottoscritto. Ammetto di essere preoccupato dopo le parole del Presidente Trump, che vorrebbe togliere dalla circolazione il gioco al lotto dei permessi di soggiorno regalati. L'ha detto un po' da rozzo, ma l'America è il suo Paese. Ha il diritto di dire e fare ciò che desidera, in particolare dopo avere appreso che l'attentatore di New York era giunto negli USA con la lotteria dei permessi di residenza (all'uzbeko l'avevano dato sulla base di che cosa, della sua faccia?). Io, però, non sono quello. Vorrei andare in America per diventare famoso. Anche l'attentatore è diventato famoso. Io voglio diventarlo in modo diverso, si capisce: voglio diventare uno scrittore famoso. In America sarebbe tutto un altro scrivere. 

domenica 29 ottobre 2017

Il senso del taccuino. Reloaded.

(c) 2017 weast productions / all rights reserved.

Care lettrici e cari lettori del Senso del taccuino: dopo cinque anni di dispacci affidati alla "Pagina Del Sabato" sulla Regione, ho deciso di raccogliere una nuova sfida. I miei racconti di cose viste e pensate dentro la vita saranno disponibili su una piattaforma indipendente alla quale sto lavorando con la collaborazione di una squadra di giovani professionisti.

Grazie a chi ha letto il Taccuino, a chi lo ha ospitato e ai miei amici Tipografi che lo hanno impaginato, sempre con grande cura e rispetto delle parole e delle immagini.

La nuova testata sarà lanciata sul web nel mese di gennaio 2018 e vi proporrà la continuazione di un modo (uno stile) personale e controcorrente di raccontare e di mostrare il mondo, quindi anche di farne esperienza. Un racconto che sarà accessibile da dove e quando vorrete. Non vi troverete soltanto Il senso del taccuino, ci sarà molto altro ancora. Ci sarà: innovazione. Notizie, riflessioni, scritti, immagini. 

Vi terrò aggiornate e aggiornati nel corso dei due mesi che ci separano dal grande (per me) giorno e, nel frattempo, continuerò a scrivere sul Blog. Scriverò anche il Taccuino, a partire da sabato 4 novembre, disponibile su Faccia da reporter dalle 07.00 di quel sabato mattina. 

Se deciderete di seguirmi, sarà un'avventura. E che avventura: da affrontare insieme, come abbiamo fatto sino a oggi.  


(La fotografia è del mio amico Ghareeb Omar, scattata in Iraq). 

mercoledì 25 ottobre 2017

Parole sull'acqua.

(c) 3017 weast productions / all rights reserved.

Ho dietro di me
migliaia di puntini.
Li leggeranno i ciechi
sulla sabbia.
All'incontrario.

Soltanto loro sapranno.
Sapranno tutto.

Ho dietro di me
migliaia di colpi di tacco.
Altissimo e
sottile.

Notti senza sonno,
consumate 
senza paura
di fronte al mare,
come andrebbe consumata
la prima notte:
a ridere e,
e a fumare sigarette.

A camminare 
fantasticare
a scrivere.

Non saprei vivere
senza di me. 

Vuoi mettere, amore,
la rivoluzione?

(Continua la serie di poesie inviatemi da Gaza. Autrice è una giovane donna che desidera restare anonima, che evidentemente non si rivolge a me in ciò che scrive, ma si rivolge a me per essere pubblicata. Il Blog la pubblica. La traduzione è di Faccia da reporter, al quale manca il tempo per la costanza e traghettamenti più accurati).

lunedì 23 ottobre 2017

La crema per le acciughe.

(c) 2017 weast productions / tutti i diritti riservati

C'è la crema per le rughe. La crema per le acciughe. C'è la crema da mettere su uno che ti chiede di spalmargliela. Propongo questa, nella fotografia: vedi l'effetto che fa. Sulla schiena è carta abrasiva. Sul resto, lascia stare. Anche soltanto in senso metaforico. Questione di ingegnarsi. Ci vuole tanto? Ancora: diffidare degli uomini che stanno troppo dalla parte delle donne quando le donne si incazzano. È tutta invidia. Vorrebbero incazzarsi loro, nella versione originale. Diffidare delle donne quando si incazzano troppo. Anche.