Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

mercoledì 6 luglio 2016

Perché non serviamo a nulla?

Sir John Chilcot ha pubblicato oggi i risultati dell'inchiesta della commissione da lui diretta con l'obiettivo di chiarire premesse e conseguenze dell'intervento del Regno Unito nella guerra in Iraq del 2003. QUESTO è il riassunto fornito da BBC World. QUI, invece, il public statement di Sir John Chilcot.

La sostanza è che non sono stati concessi lo spazio e il tempo che invece esistevano per un approccio diplomatico (e pacifico) al "confronto" con Saddam Hussein e che le informazioni prodotte dal Governo e dai servizi segreti dell'UK erano "imperfette" (a dire poco) e sono rimaste "unchallenged", vale a dire mai osservate in senso critico: dalla politica e dalla stampa. Oddio, non da tutta. Ma da quella che conta a livello globale, sì. Diciamo: sì dall'industria dell'informazione. 

Ho letto la notizia e il rapporto. Letti e riletti entrambi. E mi sono fiondato nel mio archivio, dove custodisco centinaia e centinaia (migliaia) di ore di immagini girate e tutte le telecamere con le quali le ho registrate. Questa (nell'immagine sotto) è la telecamera con la quale, nel 2003 e negli anni successivi (fino al 2006, quando una mia rovinosa caduta nel sud del Libano, durante la guerra fra Hezbollah e Israele, le ha dato una botta pazzesca, oltre che darla alle mie mani, tagliandole a fondo) ho cercato di raccontare cosa stava succedendo in Iraq. All'epoca, lavoravo con il formato DVCAM (sembra l'epoca dei dinosauri, vista da oggi). 

© 2016 weast productions

In quell'epoca, per andare avanti col post, ho cercato di mostrare e raccontare cosa stava andando storto, in Iraq. Vivendoci dentro. Cercato di vedere e intuire che cosa sarebbe andato ulteriormente e rovinosamente storto: che cosa avrebbe provocato la morte di migliaia e migliaia di civili iracheni e, anche, di soldati britannici, americani, ecc. Per che cosa? Per una bugia. Per una bugia. 

La popolazione irachena paga ancora oggi, ancora in questo istante, mentre tu leggi queste righe, le conseguenze di questa bugia: alla quale si sono aggrappati tutti, non da ultimi gli ultraestremisti, gli assassini capaci di dirottare in nuova e devastatrice violenza la disperata sospensione nella quale si è trovata a galleggiare la vita di molti iracheni. E capaci di importare violenza da altri paesi. Insomma: di trasformare l'Iraq, che è meraviglioso, nel retrobottega di un macellaio, come scrivo in Infiniti passi

La democrazia, quella britannica nella fattispecie, ha di bello il fatto che produce (seppure a posteriori, seppure a posteriori), rapporti come quello di Sir John Chilcot. Ha di bello che consente, almeno in teoria, di compiere l'esperienza della nemesis, intesa non tanto nel significato di ribaltamento del segno che acquisisce la Storia, quanto piuttosto nel senso omerico e filosofico (se ci capisco, ammesso che ci capisca) di sdegno e indignazione. Che è un senso tutto umano. E quindi riservato a noi: sdegno e indignazione quale Nord verso il quale indirizzare la nostra esistenza. 

Dal rapporto Chilcot ci giunge una lezione: mai berla, mai farsela dare a bere. Mai credere fino in fondo, nemmeno nei momenti più tragici e dolorosi, a chi vuole spingerci in un angolo che è sempre buio e umido, l'angolo dei somari e di quelli che non chiedono. Non chiedono perché. La lezione, infine, è questa: sempre chiedere: Perché?

Dedico questo post a tutte le vittime irachene dal 2003 ad oggi (senza scordare, si capisce, quelle fatte da Saddam, ma è una storia diversa, o forse nemmeno tanto).

© 2016 weast productions

Questo (quello sopra) è un fotogramma tratto da un filmato che ho girato nel 2003 nel cortile di un ospedale a Bagdad: morivano già i civili, allora, 13 anni fa. Di nuovo: dedico questo post ai civili iracheni. E anche a quei soldati americani che mi hanno sparato, o quasi sparato, o sparato e mancato, a quelli che mettevano il colpo in canna quando mi avvicinavo di notte, dopo avere inviato un servizio al Telegiornale, mi avvicinavo nell'ombra insieme al mio amico e fixer Ghresi all'Hotel Palestine, Bagdad. Insieme, io e lui, ce la facevamo sotto, o forse nemmeno tanto, ormai. Dedico questo post anche ai soldati che mi hanno portato in giro embedded, dicendomi che quello che stava succedendo e stavano facendo era una merda.

Lo dedico ai soldati (spesso afroamericani o ispanici, ma non sempre) che mi hanno dato una razione di carne secca per cinque minuti di conversazione con casa grazie al mio telefono satellitare, dentro una strada buia di Bagdad, con la paura che si arrampicava lungo le nostre schiene come un ragno bastardo.

Ai soldati morti. Per che cosa? Per una bugia. Anche loro.

I soldati avrebbero potuto non andarci, in Iraq. E invece: ci sono andati. I civili iracheni dove potevano andare? Dove possono andare, oggi? 

Dedico questo post a Abu Wuissam, che mi ha fatto conoscere l'Iraq. E che ha perso un figlio, il suo unico figlio, nella prigione di Abu Ghraib, e chissà perché. Senza un perché. Quel figlio che un giorno, dopo essere salito su un elicottero americano insieme a me, perché suo padre non poteva venire ad assistermi e a fare da interprete con i nuovi soldati iracheni che avremmo visitato a duecento chilometri fuori Bagadad, mi aveva vomitato addosso l'anima. Aveva svuotato lo stomaco, oltre che su di me, sulla mia telecamera (quella sopra), facendomi incazzare. Quanto vorrei, oggi, non essermi incazzato, oggi che lui non c'è più, che non c'è più quel ragazzo perso dentro un paese preso a morsi dalla violenza di tutti. 

E.

E: che cosa chiederemo a coloro che hanno raccontato l'enorme bugia sull'Iraq, nel 2003, certificata oggi da Sir Chilcot?  Che cosa chiederemo ai signori Bush e Blair? Provate, se ne avete il tempo, a rivedervi le loro dichiarazioni, su Youtube. Sembra di entrare nella macchina del tempo. Sembra di tornare a un'epoca nella quale non eravamo ancora in vita. Eppure eravamo in vita. Anzi: eravamo adulti. Che cosa c'era preso? Che cosa? Provate a rivedere e a riascoltare le loro dichiarazioni. E provate a guardarvi. Proviamo a guardarci. 

Che cosa chiederemo a questi politici? 

Sarebbe troppo aspettarci che facciano ammenda? Che chiedano scusa? Sarebbe troppo? 

Continueranno a lavorare per questi e per quelli. Magari anche per l'ONU. Per l'ONU. Roba da non credere.

Che cosa chiederemo a noi stessi? Per averla (certo non tutti) bevuta?

Passerò i prossimi due giorni nel mio archivio, chiuso dentro la polvere (oh se ce n'è), riguardando ore e ore di immagini che ho girato in Iraq. Per capire perché non sono servito a nulla. A nulla. Perché le mie immagini non sono servite a nulla. E quelle degli altri. Quelle del mio amico cameraman palestinese (della Reuters) Mazen Dana, morto ammazzato da una raffica rilasciata da un carrista americano, a Bagdad, il 17 agosto del 2003. Davanti alla prigione di Abu Ghraib, dove sarebbe sparito anche il figlio di Abu Wuissam.

Perché non servono a nulla, queste immagini? Perché non serviamo a nulla? Noi? Noi, si fa per dire, reporter?










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