Raccontare
martedì 31 maggio 2016
venerdì 27 maggio 2016
Il senso del taccuino.
Domani nel Senso del taccuino sulla Regione: "Un'indefinibile testardaggine". Qui di seguito il consueto estratto:
Le immagini della
realtà non sono mai sole. Spesso, ne portano con sé altre, già
viste. Portano racconti. Come questa fotografia: porta una storia che
non c’entra nulla con lei. Diciamo che l’ha risvegliata.
Aveva dato il meglio
di sé. Nel senso di una indefinibile testardaggine. Oh sì. Non
sarebbe esagerato e nemmeno fuori luogo aggiungere: di vivere. Una
testardaggine di vivere. Un poco di buono, mai: questo mai. Mai
stato. Forse soltanto per pochi mesi. Gli piacevano le macchine,
ecco. Dov’è il problema? Gli piacevano le macchine degli altri.
Era innamorato delle otto cilindri e specializzato in sistemi
antifurto elettronici sorvegliati dal satellite. Da bambino, gli
avevano spiegato che Dio vede tutto. Aveva cominciato a maturare i
primi dubbi a otto anni. A nove aveva aperto senza chiavi la
serratura della si fa per dire sua prima auto. Una vecchia Range
Rover nera senza nessun tipo di allarme. Dio non aveva battuto
ciglio. A dieci, i dubbi erano spariti: quando lui apriva le
macchine, Dio, se c’era, guardava altrove.
domenica 22 maggio 2016
venerdì 20 maggio 2016
lunedì 16 maggio 2016
Quando parla Giles.
Giles Duley racconta The power of a story a TED. Giles, che è un caro amico fotoreporter, ha pubblicato recentemente il volume fotografico "One Second of Light". Il link è QUI.
sabato 14 maggio 2016
venerdì 13 maggio 2016
Il senso del taccuino.
Domani nel Senso del taccuino sulla Regione: "Fare finta di vivere". Qui di seguito il consueto estratto:
Nuovo paragrafo. Entra in scena Pezza. Chiamavano Pezza quello con un occhio solo. Essendo l'altro (nel senso di occhio) morto, non operativo, spento. Ooohspento, e ricoperto da un pezzo di stoffa. Basta una minuscola, microscopica scheggia di metallo per spegnere. Gli occhi. I polmoni. Il cuore. Il fegato. Anche il fegato. Yes, sir. Andavano avanti con dieci parole inglesi. Non che ne usassero molte di più, nella loro lingua. A proposito di occhio: quello sinistro, nel caso di Pezza, spento come una sigaretta. «Hai detto: sigaretta?», disse l'altro. Che chiamavano: Filtro. Quello che «l'ossigeno fa male». Meglio il catrame, che si deposita sui polmoni come una benedizione. Fumava da quando aveva quattro anni. Anche lui, come Pezza: armato. E come Tappo: armato. Banda di fessi. Stronzi. Si può dire? Si può dire: stronzi? Si deve. Si deve dire. Filtro spinse giù una boccata. Di fumo. Sostengono che lo sport fa bene. Di un bene. Lo facciano gli altri. E fare la guerra? Cosa fa? Se facesse così male, ci sarebbe ancora uno, disposto a farla? Dicono che al mondo c'è più gente che fa la guerra che gente che fa l'amore. Vuoi vedere che? Che? «Vuoi vedere che aveva ragione, anni fa, quello che mi aveva chiesto di confessarmi?», disse Filtro.
(© 2016 weast productions / riproduzione o linking soltanto con l'espresso consenso dell'autore).
giovedì 12 maggio 2016
Grazie!
Grazie al numerosissimo pubblico che ieri sera, a Casa Astra a Mendrisio, è venuto a scoprire "Infiniti passi". Mi spiace per chi non ha trovato posto ed è stato in piedi, e soprattutto per chi non è riuscito a entrare. Promessa: alla prima occasione torno. Con tanto affetto. Senza di voi il mio lavoro non esiste.
martedì 10 maggio 2016
sabato 7 maggio 2016
La Storia scriverà.
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© 2016 / weast productions |
Nessuno potrà dire: non sapevo. Quando i libri di Storia scriveranno – diosantissimo se lo scriveranno – che nemmeno abbiamo chiuso gli occhi: siamo stati a guardare e basta. E che anzi ci ha presa una paura brutta, giustificabile diranno, e a ragione, eppure così sproporzionata alla sofisticatezza della società nella quale viviamo e dei mezzi (dei mezzi per fare tutto: togliere e ridare la vita) di cui disponiamo. Scriverà, la Storia, che abbiamo accettato di ascoltare quelli che urlano più forte, quelli con il fiato pesante, quel fiato che ti schiaccia come una cicca. Scriverà che abbiamo definito il loro agire “politica” e concluderà che abbiamo sbagliato. Aggiungendo, nel riflettere anche su sé stessa, che in quanto Storia non fa che ripetersi. Scriverà che abbiamo pronunciato parole di benvenuto nei confronti di discorsi sconsiderati e disumani, smarrendo così la nostra umanità. Che abbiamo piegato il nostro pensiero alla foga vuota di coloro ai quali questo stesso nostro pensiero era inviso, perché lo temevano, e come tale lo hanno combattuto. Pensare è un atto di libertà. Di resistenza. Non è nemmeno colpa loro: ciascuno decide dell'esperienza del mondo che desidera compiere. C'è chi ne è sprovvisto. Abbonda (fra parentesi) questa assenza di esperienza del mondo fra chi urla. Fra chi urla frasi monche.
La Storia scriverà che ce la siamo
fatta sotto di fronte a qualche teppistello criminale che
improvvisamente ha manifestato la sua codardia imbracciando un fucile
o facendosi saltare in aria. La Storia scriverà che non abbiamo
avuto il coraggio di guardarli in faccia, questi perdenti, che non
abbiamo avuto il coraggio di andare fino in fondo, per capire da dove
vengono e come si possono neutralizzare. Che non abbiamo avuto il
coraggio di combatterli restando liberi, restando persone libere, non
da prostrati. Combattere: va bene questa parola. La Storia
scriverà che abbiamo preferito delegare la nostra resistenza a
qualcuno che nemmeno conosciamo, anche se lui (o lei) conosce tutto
di noi. E magari non conosce niente (o troppo poco) di quelli che
deve combattere per davvero. La Storia scriverà che abbiamo smarrito
il coraggio che deriva dal nostro restare umani. Il coraggio di
combattere i criminali sgangherati e perduti e perdenti chiamati
terroristi e il coraggio di conservare il senso che ci lega
all'altro. Agli altri. Quelli, si capisce, che questo senso lo meritano.
La Storia scriverà che di fronte al
bombardamento del campo profughi di Idlib (venerdì 6 maggio, di
pomeriggio), nel nord della Siria, a due passi dal confine con la
Turchia, siamo stati zitti. Sono stati zitti i politici che sempre
urlano. E zitti i politici che diversamente si prendono (e sembra piacergli) l'etichetta di
buonisti. Zitti come randagi con la coda fra le gambe. Zitti tutti.
Trenta morti, fra i quali donne e bambini, con le prove provate delle
immagini (quelle che vi – signore e signori politici, ma non
soltanto, signore e signori e basta – piacciono così poco, perché
parlano, le immagini parlano). Zitti. Non c'era nemmeno, in quel
disperato campo profughi di disperati che non hanno chiesto nulla,
zero, zero, zero, all'Europa, che non hanno chiesto che di restarsene
lì, in quel posto maledetto e fetido, e lo scrivo perché so di cosa
parlo, non c'era nemmeno un medico pediatra da trasformare in
martire. E sul quale scrivere articoli densi di retorica, fate pure di melassa. Da metterci la firma in grassetto, sotto l'articolo, da
costruirci sopra una terrificante e vergognosa autocelebrazione giornalistica. Non
c'era nessuno da celebrare, fra quegli sconosciuti e povericristi.
Nulla da celebrarsi.
Erano tutti sfigati. Una bel gruppo di
sfigati. Finiti in cenere. Cosa vuoi che sia? La cenere. La Storia
scriverà di questa cenere. E chiamerà tutti noi a risponderne. Cosa
diremo a chi leggerà le pagine a venire? Che non c'eravamo? Che
stavamo trascorrendo il ponte dell'Ascensione? Che stavamo guardando
una partita di calcio? Seguendo una delle infinite migliaia di ore
dedicate (concesse) allo sport in televisione? O le ore concesse
(come si fa?) alle previsioni del tempo? O (come si può?) alle
notizie sul traffico? Sempre aggiornate quelle. Minuto dopo minuto.
Una macchina incolonnata dopo l'altra, su questa o su quell'altra
autostrada.
E i morti, signore e signori? E. I.
Morti? Non nel senso di morti. Nel senso di quello che i morti
sarebbero potuti diventare nella vita. La loro, si capisce. Non la
nostra. Che, per dirla come va detta, e va detta per una volta, se ne
fotte. Chi sarebbero diventati, i bambini morti? Non soltanto a
Idlib. Ad Aleppo, anche ad Aleppo, sotto le bombe, le bombe di tutti,
del regime e degli altri, che sia chiaro. Chi sarebbero diventati?
Pediatri? Magari pediatri. Avvocati? Magari avvocati. Meccanici.
Magari meccanici? Madri? Magari madri. Qualcuno darà, un giorno, in
televisione o alla radio, la conta precisa, minuto per minuto, dei
morti ammazzati nelle guerre?
La resistenza contro chi ci ha portato
la morte (la morte nelle città d'Europa) non deve passare attraverso
la nostra deumanizzazione. Io penso questo, per lo zero che valgo. Io
voglio combattere i mocciosi criminali e bastardi che hanno portato e
vogliono portare la morte in Europa. So come farlo. So che va picchiato duro. A volte va picchiato duro. Nel farlo,
tuttavia, non voglio – e mi batto affinché ciò non avvenga –
smarrire il mio essere umano. Umano nei miei confronti. E nei
confronti degli altri. Nei confronti della Storia. Del giudizio che
essa darà: di me e di tutti noi. E, per prendere dei morti a caso,
nei confronti dei morti di Siria. Si alzi uno, uno dei politici nato
nel mio stesso paese, e dica: basta. Lo dica. Dica: basta. Basta.
Basta morti.
(© 2016 weast productions / qualsiasi riproduzione o linking autorizzati soltanto con l'espresso consenso dell'autore).
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