Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

sabato 14 novembre 2015

Ragionare. Senza paura.



Il disorientamento è uno degli obiettivi ai quali mirano i terroristi. O gli atti di guerra per interposta persona, le operazioni affidate ai freelance della violenza, agli assassini prezzolati, convinti tuttavia di battersi per una causa, o una idea, o, nel caso di quello islamico, per uno "Stato". Parigi, ieri sera. E oggi, a meno di 24 ore. Parigi è ovunque, in Europa.

Il disorientamento è contagioso, e, come l'onda lunga di uno scossone tellurico, giunge fino a noi. Sarebbe per il momento presuntuoso e dannoso fornire risposte personali. Meglio, credo, suggerire qualche lettura, che resta tuttavia personale. E che quindi come tale va presa. Pur nella sua verificata tenuta oggettiva, sul terreno e fra le pagine dei libri e delle riviste.


      • Michael Weiss e Hassan Hassan: ISIS. Inside The Army Of Terror. Regan Arts, New York, 2015.
      • E questo articolo, comparso sulla London Review Of Books, cliccando QUI.
      • Patrick Cockburn, Too Weak, Too Strong, nella London Review Of Books, volume 37, numero 21, 5 novembre 2015, rintracciabile su internet.
      • Il discorso dell'intellettuale e scrittore tedesco di origini iraniane Navid Kermani tenuto nella Paulskirche di Francoforte sul Meno in occasione del conferimento del Friedenspreis, pubblicato nella Frankfurter Allgemeine Zeitung il 19.10.2015.
        Titolo: Jacques Mourad und die Liebe in Syrien.
      • Il reportage di Roger Cohen sul New York Times da Sanly Urfa (Turchia) relativamente alla decapitazione di un attivista siriano anti ISIS in territorio turco (decapitato anche un suo collega), rintracciabile mettendo in Google gli elementi sopra indicati e con il titolo Turkey’s Troubling ISIS Game.

Da parte mia, posso contribuire a questo: in una intervista con una ex attivista della rivoluzione siriana (inizialmente pacifica, ma presto tradita dall'Occidente e, come anticipabile, oltre che dal governo siriano stesso dalle Monarchie del Golfo, tutto fuorché rivoluzionarie in senso libertario), realizzata nel novembre di una anno fa e trasmessa in un reportage di RSI, mi era stato detto che in Europa erano/sono presenti individui provenienti dalla Siria e pronti a colpire “chi parla male dello Stato islamico” oppure “altri obiettivi individuati a piacimento”. Suona, oggi, come una profezia caduta nel vuoto. Cliccare QUI.

Questa mattina, su Radio 3i, che prontamente e con responsabile spirito giornalistico si è messa sulla notizia delle stragi di Parigi, ho detto che l'ISIS può essere sconfitto. A condizione di esercitare un atto di coraggio, anche del pensiero (e soprattutto del pensiero), teso a individuare i “padroni” di questi volontari del terrore. Aggiungo qui, non avendo problemi di spazio, che si tratterà anche e soprattutto di lavorare sul fronte interno, in primis in Francia, ma non soltanto. Si tratterà, cioè, di sottrarre centinaia (meglio: migliaia) di giovani alla sfera di mortifera e mortale attrazione esercitata dalla pseudoideologia dell'ISIS. È un atto di coraggio resistere e non avere paura. È altresì un atto di coraggio chiederci se i bombardamenti aerei porteranno, da soli e per davvero, alla soluzione da tutti auspicata. Essi soltanto.

Per sconfiggere l'ISIS avremo bisogno anche della comunità musulmana, presente in ogni Paese europeo. È impossibile condannare soltanto, dichiarando che “questo non è l'Islam”, che non è mai colpa dell'Islam. Questo è, oggi, l'Islam, perlomeno una forma di Islam, un pensiero religioso che starebbe vivendo, per citare Navid Kermani, “den vorläufigen Endpunkt eines langen Niedergangs, eines Niedergangs auch und gerade des religiösen Denkens”; un pensiero religioso (sunnita) in declino (la violenza è spesso sintomo di debolezza) esposto tuttavia, ma non nel senso di una giustificazione addotta, anche alle manipolazioni di Stati interessati (all'esito della guerra in Siria, al partito preso dei governi europei et occidentali in genere, agli interessi degli Stati della regione, ecc.) e dei loro - loro ancorati in Medio Oriente e aree limitrofe - servizi “segreti”. Il terrorismo è il braccio lungo dei “servizi segreti”. Lo è sempre stato.

È impossibile chiedere a dei non Musulmani un recupero del pensiero religioso musulmano nel senso esposto da Kermani, il salvataggio di questo pensiero, oppure una rivoluzione interna, una Riforma di tale pensiero. Soltanto i musulmani che vivono fra di noi possono affrontare questa sfida, integrando, nell'operazione, i profughi che anche dall'ISIS (eppure dalle bombe del governo siriano + alleati + colazione occidentale) fuggono dirigendosi verso l'Europa. Ciò facendo, ci aiuterebbero (devono aiutarci) a disinnescare la terrificante attrazione che ISIS esercita sui giovani (certo non su tutti, ma ne bastano pochi): devono, per fare questo, immergersi nelle società nelle quali vivono, diventarne protagonisti partecipi. Osare. Assumersi la responsabilità di chi contribuisce a dare una forma positiva alla convivenza. Essere protagonisti con i fatti: non con le dichiarazioni, non con con le parole. Servono, le parole, almeno quanto servono le portaerei e i bombardieri in Siria e in Iraq, in funzione anti ISIS: a ben poco. Se non a nulla. Serve, invece, un concertato impegno ispirato a ideali civili. Un impegno (ripeto: concertato, nelle società postmoderne, plurietniche e multiconfessionali) che abbia per obiettivo il rispetto degli individui, prima ancora – prima ancora – che delle loro convinzioni religiose, per quanto morigerate e tolleranti esse possano essere. Il giorno in cui questa volontà da parte delle comunità musulmane si manifestasse chiaramente, sarebbe colpevole la società a negare loro un ruolo di edificazione comune. Un tale disegno richiede alla società, beninteso, uno sforzo di auscultazione di ciascun segnale destinato a imboccare questa strada. Trascurare i segnali o ignorarli in funzione di un compiacimento di correnti politiche e societarie e, ancora, comunitarie o comunitaristiche, ci trasformerebbe in complici della nostra sfortuna. Della quale faremmo volentieri a meno.

Il coraggio, che dobbiamo manifestare dopo i fatti di Parigi, sta nel non avere paura per l'essere come siamo e per credere in ciò in cui crediamo. Non avere paura nel sondare le ragioni e il senso delle nostre azioni. Nel continuare a chiedere ai nostri Governi che ci rendano democraticamente conto delle loro azioni. Non avere paura di chiedere, anche e profilatamente, ai musulmani che vivono fra di noi e con noi di farsi attori di una visione comune. Una visione che si nutra di rispetto reciproco, della disponibilità all'autocritica, intesa in senso costruttivo, e soprattutto si nutra della volontà di sostituire alla violenza il potere del pensiero e del regionamento. Di sostituire questo pensiero e questo ragionamento anche alla violenza che noi produciamo, e che senza (spesso) spirito critico accettiamo, distrattamente, che senza domande tolleriamo, ciecamente scambiandola, tale violenza, per la soluzione a mali comunque destinati a restare lontani. Oggi non esistono più mali lontani. Ci riguardano tutti. Tutti quanti. Tutti quanti i mali. E tutti quanti noi. 

Prendetelo per un ragionamento a meno di 24 ore dai fatti di Parigi. Come lo spunto per continuare a ragionare. Senza paura. Senza paura. 

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