Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

sabato 13 settembre 2014

Un elefante con i pattini.

© weast productions 2014
Una sera di qualche tempo fa (nemmeno tanto) me ne stavo seduto sulla terrazza di un caffè di Antiochia, Turchia. Insieme a un fotografo americano e a uno turco-americano (diceva lui). Due giorni dopo saremmo dovuti entrare, l'americano ed io, in Siria. Il fotografo turco-americano si era aggiunto non si sa come: sapeva di tutto, ma non di fotogiornalista. Ci ha messo poco a capire che non aveva scelto la compagnia giusta, la mia perlomeno, e se ne era andato. L'altro, il fotografo americano, si stava scolando la decima birra e, in una sorta di delirio, diceva che andavamo incontro se non a morte sicura, sicuramente a un principio di dissanguamento e che quindi lui si sarebbe scritto il gruppo sanguigno sul petto, così se (quando) lo avessero colpito, con una fucilata, avrebbero trovato subito il tipo di cuvée che scorre nel suo sangue e gli avrebbero salvato la vita. Cristo: nemmeno a Hollywood ci arriverebbero... Gli avevo chiesto: e se ti sparano a una gamba, che cosa ci trovano scritto? Silenzio. Avevo capito che in Siria ci sarei entrato da solo (e mi andava molto meglio così), perché l'americano aveva guardato troppi film. È andata così: la notte prima della partenza, a poche ore dalla macchina che ci avrebbe recuperati, l'americano mi aveva mandato un messaggio: febbre alta, rinuncio. Good luck.

Racconto questa storia per raccontarne un'altra, che però prevede la presenza del fotografo americano con la febbre, anche se in quel momento non ce l'aveva ancora, aveva soltanto bevuto un po'. Sulla terrazza del caffè ad Antiochia, si alzano due uomini, sulla trentina, e parlano americano. Il fotografo li sente e capisce che sono paesani, si rivolge a loro: “Ehi, ragazzi, che cosa fate qui?”. Risposta, dei due: “Siamo archeologi!” E ciao, spariti. Antiochia era, a quel tempo, e lo è oggi ancora, crocevia di tutti i traffici immaginabili, una città in cui incontri tutto il catalogo del genere umano. Se c'è, di questo catalogo, una categoria che ha fatto le valigie è proprio quella degli archeologi. Zero, partiti. I due giovanotti americani erano agenti segreti, o consulenti militari, oppure osservatori, qualsiasi cosa che possa avere a che fare con una qualche agenzia governativa. Che sagome: archeologi. Uguali al fotografo turco-americano. Sagoma, anche lui. Una superpotenza senza intelligence (senza informazioni) non è nulla. È un elefante sui pattini.

Chissà quali informazioni hanno raccolto, queste agenzie, visto che siamo giunti alla situazione di oggi. Il termine “levantino” è un complimento, anche se i dizionari ne registrano un'applicazione in senso spregiativo. Nel contesto in cui vogliamo utilizzarlo, è definizione di persona che sa fare i propri interessi, prendendo per i fondelli gli altri, spesso i suoi nemici. Se non è un complimento questo. Siamo tentati di dare un'occhiata in giardino, la sera, prima di andare a dormire: che non ci sia in giro qualcuno dello Stato islamico. Non si sa mai. Questa entità è nata da una consapevole e calcolata operazione che ha, come centro di comando, Damasco, il governo siriano, le sue agenzie di intelligence. Nel Blog ho già avuto modo di segnalare alcuni studi in proposito. Non si possono dimostrare linee di comunicazione dirette, non ancora, ma si può fare un paragone: se continui a grattare una ferita non appena fa la crosta, primo non guarisce, secondo diventa più grande. È successa la stessa cosa. Damasco, a partire dal 2003 (invasione dell'Iraq da parte di USA e alleati), si è presa una fifa pazzesca di fare la fine di Bagdad. E allora, sai cosa faccio? Ti mando tutte le teste calde che circolano nel mio Paese, e visto che con l'Iraq ci confino pure, faccio in modo che attraverso la frontiera ci possano passare anche gli allucinati che vengono da altre nazioni. Aggiungete un ulteriore ingrediente: qualche tagliagole incarcerato in Siria. Fuori cella, anche lui, vai in Iraq! Così vi passa la voglia di esportare la democrazia in Medio Oriente…  La politica, signore e signori, funziona così. Il tempo passa, questi in Iraq si stufano, non c'è più granché da fare e da tagliare, tornano. Dove mandarli? In Libano, ad esempio. Vedi, al proposito, la “guerra del campo” di Nahr El Bared, 2007. Salafisti proclamano lo Stato islamico nel Nord del Libano (sottolineo: eravamo nel 2007). L'esercito libanese cannoneggia il campo. Finita.

Salto temporale. Primavera araba, blablabla, contagio in Siria. Prime reazioni ufficiali da Damasco: i dimostranti sono terroristi. Mmmhhh.... Andrebbe anche dimostrato. Si apre un nuovo scenario per il popolo della guerra religiosa. Ri-benvenuti in Siria. Obiettivo: colpire più l'esercito sconclusionato degli insorti e disertori (Free Syrian Army), che chiedono la democrazia (cusa l'è?) che non il regime di Damasco (che pilota i fondamentalisti, in primis salafisti, e lascia fare con occhio vigile). Va bene così: perché la versione ufficiale damascena piano piano si rafforza e si innesta sulla vulgata del mondo occidentale: guerra contro il terrorismo. Che è sacrosanta, se soltanto non fosse così poco trasparente. Oggi, Damasco è in guerra contro il terrorismo. L'innesto è compiuto. Lo stesso terrorismo a cui gli Stati Uniti hanno dichiarato guerra, per combattere la quale sono in cerca di alleati. Non farebbe una piega, se soltanto non ci fossero gli elementi per sospettare (perlomeno sospettare) che questo terrorismo sia stato costruito con sapienza e intenzione da chi lo ha utilizzato come cortina fumogena per delegittimare una insurrezione popolare. Se combattiamo lo stesso nemico, vuoi che, finita la guerra, ci mettiamo a farcene un'altra tra di noi? No.

Si sta parlando di “armare i ribelli siriani” che, in questo modo, potrebbero ora servire da prima linea nella guerra contro i terroristi dello Stato islamico. Sapete perché non vado al cinema? Perché mi basta osservare il mondo. Si vuole armare gli insorti oggi per dirottarli contro lo Stato islamico. Quando si trattava di armarli contro il regime di Damasco, che bombardava i civili di Homs e bombarda sempre e ancora quelli di Aleppo, nulla. Armi, giammai! Nemmeno gli aiuti umanitari entravano. Che storia.

Se, prima, c'erano (anche giustificate) riserve sul comportamento dei ribelli siriani (Free Syrian Army, poi Al Nusra et alii), ma in particolare su FSA a causa di esazioni, furti, ricatti, pressioni ecc. nei confronti della popolazione civile, oggi tutto questo è cancellato. Servono alleati sul terreno, visto che non ci mandi i tuoi soldati. Se non sei di bocca buona, di alleati non ne trovi.

Dicono che quelli dello Stato islamico si finanzino (anche) con il petrolio estratto in Siria e venduto al governo siriano e sul mercato nero turco. L'immagine che pubblico mostra come, nella provincia di Deir Ez Zor, oggi in mano al Califfato, alcuni disperati raffinavano il greggio destinato al mercato locale (poca roba) e a quello (turco) oltre il confine. Il cielo era nero del fumo velenoso che si alzava dai campi. Persino le pecore avevano il pelo nero. Non so chi fossero, a quale gruppo appartenessero questi "raffinatori". Nella zona, all'epoca, c'era solo Al Nusra, non ancora i seguaci del Califfo, e c'erano, chiaramente, ancora quelli della Free Syrian Army. Quando ci accorgevamo della loro presenza, voglio dire di quella di Al Nusra, i miei accompagnatori siriani ed io ci facevamo un gran giro attorno, a questa gente.

Tutto questo per dire che per giungere alla situazione di oggi è servito un bel po' di tempo. Mi chiedo soltanto come mai i due archeologi di Antiochia e tutti i loro colleghi non se ne siano accorti prima. O se ne sono accorti?  

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