Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

giovedì 21 agosto 2014

In fila. Per ascoltarti.

© 2014 weast productions
“Guarda che hai una brutta faccia, brutta di un vero”. Ma, due punti, hai dormito? Cosa – punto interrogativo – hai fatto la notte scorsa. Se sei appena uscito di casa, non è facile. Non è: mai facile. Uno non è libero di lavorare tutta la notte e alzarsi presto. 

Prova a rispondere che hai preparato una bomba. O che hai pensato a come raddrizzare il mondo. Funziona. Se la dà a gambe, quello/a della domanda. Se indugia, butta lì che la vita ti sta appiccicata addosso come una carta da parati d'altri tempi, metti quella che andava per la maggiore (non ne andava un'altra) nella ex DDR. Non ti capirà mai. E: tira fuori due belle dita dalla mano, indice e mignolo, yes mister, ed esercita il tuo diritto allo scongiuro. Insomma, digli che se hai la faccia che hai, è perché sei vivo.

Dooopo, quando saranno passati anni da quella domanda, che è soltanto un modo di dire e per dare il peso che non meritano ai minuti che se la tirano, e che fatto il conto ne saranno passati massimo dieci, metti quindici, o metti pure largheggiando una giornata intera, chiedi a una cassiera (sei lì per la benzina) da dove viene. Se non hai paura della fila che si formerà dietro di te, chiedile della sua vita. Se non glielo hanno proibito, se non la stanno filmando e registrando, per togliere dal suo salario il tempo trascorso a raccontare, separandolo da quello trascorso a registrare fatturato, la cassiera magari la sua vita te la racconta. Vuoi vedere che funziona. Che uno si ritrova con la fila dietro, ma con nessuno che dice niente. Con tutti che ascoltano. Addirittura che quando hai pagato e te ne vai, qualcuno dice, due punti e punto interrogativo, ma come, è già finita, non va avanti, si ferma qui. Succedono, queste cose. Uno si sveglia la mattina, mette la faccia fuori e gli dicono che è una faccia da morto. Se hai un minimo di orgoglio, ti girano le palle. La sera, poi, ti metti a fare domande a una cassiera alla stazione di servizio. Dietro di te si forma una fila di gente uscita di casa con l'impazienza di rientrarci al più presto (di ritornare a vivere sottovuoto) e che ora (vuoi vedere che il mondo gira invece così?) è distratta, impaziente di ascoltare come va a finire la vita della cassiera. Come va a finire quello che questa ragazza pensa del mondo, come lo vede e lo capisce, cosa della vita si trova fra le mani. Che ti ritrovi fra le mani, se mi leggi passiamo pure al "tu". Fa una certa impressione scoprire che hai un bel po' di gente dietro di te, che priiiiima aspettava soltanto di andarsene, e che adesso è in attesa. In attesa che la ragazza non finisca mai di raccontare.

Un racconto ha sempre la fila dietro. 

La brutta faccia dell'inizio è un effetto. Per catturare lettori. Se uno che racconta dovesse raccontarsi, utilizzerebbe photoshop.  





1 commento:

  1. Quando sono ubriaca di vita cammino nel bosco, ma vorrei tanto stare in fila così o formarla. Peccato che non riesco a catturare il tempo delle persone che corrono, non si sa bene dove è perché. Spegnere poi questa TV sempre più tiranna, un'impresa quasi impossibile.

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