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Quale essere umano dorme per terra? Gli animali, dormono per terra. Quale essere umano si mette a piangere, alza le mani al cielo urlando, cede all'eccesso dei sentimenti una volta toccata la terra ferma? Gli esaltati, si capisce. I-meno-umani-di-noi. Funzioniamo così.
La disumanizzazione: è un'esperienza attraverso la quale sono passati, subendola, si capisce, non innescandola, tutti quanti questi individui, nel loro paese, dall'Afghanistan alla Siria. In Occidente riusciamo ad accettare (senza scendere per strada, per protestare) che esseri umani possano vivere nella loro situazione soltanto pensandoli diversi da noi: vale a direi non umani, privati di umanità. E soltanto così, pensando che si consumino dove non esistono esseri umani ma bestie, accettiamo che ci siano ancora guerre. E miserie. Che sono sempre collegate alle guerre. Accettiamo, infine, che alle guerre si possa fare un processo, con tanto di riflettori puntati soprattutto sugli officianti protagonisti, sui loro comunicati stampa, sul loro essere-dalla-parte-giusta, sulle loro dirette televisive e televisivamente vuote, in luogo di fermarle prima, queste guerre; accettiamo le guerre perché ci illudiamo che in conclusione i buoni chiederanno conto ai cattivi delle loro azioni.
Pubblico questa foto, che mostra una ragazza afgana appena sbarcata su un'isola greca, per mostrare l'energia di questi esseri umani: la voglia che hanno di costruirsi una vita, di farsi una nuova vita. Di lavorare. Quante persone, qui da noi, il lunedì mattina, vanno al lavoro detestando il lavoro e se stesse per accettare di farlo? Detestando colleghi, capi ufficio, i capi e supercapi e i capi dei supercapi?
Credo che raccontare il mondo, oggi, equivalga a sottrarre queste persone alla minaccia della disumanizzazione (alla disumanizzazione e basta) imposta sopra di loro dal terrificante meccanismo dell'omologazione del racconto. Tutti, insomma, raccontano la stessa situazione, al punto tale che questa situazione diventa insignificante per rapporto al significato di una situazione più originale: la fuga; lo sbarco; la gioia e l'energia di vita ricostruita e rinnovata che lo sbarco reca con sé e traduce per noi. Dovrebbe tradurre.
E invece no: è sempre più supermercato dei sentimenti e delle situazioni. Un rifugiato che sbarca in Grecia serve a strappare due lacrime; uno che dorme sul confine fra Serbia e Ungheria riuscirà, se va bene, a garantirsi dieci secondi di attenzione; cento tedeschi che applaudono alla stazione di Monaco mille rifugiati in arrivo attirano l'attenzione sui tedeschi, meno sui rifugiati. E se l'attirano su questi ultimi, è per forza perché sono dei povericristi.
Non sono dei povericristi. Sono esseri umani pieni di voglia di ricominciare a vivere. A dirlo, oggi, uno si sente un pirla.
E tuttavia: se noi giornalisti non riusciamo a tradurre l'energia vitale di queste persone, se accettiamo di ignorare il loro non-essere-dei-poveri-cristi, se li condanniamo ad essere dei povericristi perché è molto più facile raccontarli così, dovremmo consegnare la tessera stampa e chiedere, in cambio, la carta Cumulus.
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