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Dice Frèèèèènkfurt con la
sigaretta infilata fra le labbra. Storta in un angolo della bocca.
Uno si chiede come fa a non cadergli. Adesso gli cade. I am
goooing to Frèèèèènkfurt. Suona tutto così strascicato e
masticato, nasale che uno potrebbe anche scambiarlo davvero per un
turista americano incapace di parlare a bassa voce e di passare
inosservato, finito per caso in un villaggio greco con un sacco in
spalla, sandali ai piedi e un paio di grosse scarpe legate
all'esterno del sacco, due scarpe del 46 come minimo, ha dei piedi
enormi, gli americani solitamente hanno dei piedoni. Se lui è
americano, gli altri chi sono? Europei? Mai visti, però, europei
sdraiarsi per terra, nemmeno dopo una lunga camminata, sdraiarsi
addirittura uno sopra l'altro, se non proprio sopra, poco ci manca,
guarda quello che ha le gambe allungate sulla schiena del suo
vicino... Mai visti nemmeno degli europei con tanti bambini. Quanti
saranno? E le donne, anche loro, sdraiate. Immobili. No, europee
quelle non sono. Dormono? O sono morti, tutti quanti morti? Toccarne
uno, per vedere se si muove. Frèèèèènkfurt! La scena è
sua. La tiene da professionista. La piazza del piccolo villaggio di
Madamados, sull'isola di Lesbo, è immersa in quello che, se non ci
fosse lui, sarebbe un silenzio perfetto. Ci starebbe anche “perfetta
immobilità” come descrizione. Ora si spiega: che viene da Damasco,
Siria, e che in 56 anni di vita non gli era mai passato per la testa
che un giorno si sarebbe trovato qui. Qui e messo così. Sbarcato,
ore prima, da un gommone. A Damasco aveva due lavori: giornalista
sportivo e attore comico. Lo conoscono tutti. Tiene su di giri la
decina di siriani che viaggiano insieme a lui. E tutti garantiscono
che in Siria persino le pietre, se potessero, farebbero il suo nome.
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