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E io. Che non so più fare nulla. Se non raccontarti quella che sono stata. Perché temo di dirti quella che sono, quella che sono davvero. Dovrei urlarti dentro alla bocca che non sono più nessuno. Staccati. Andiamo. Seguimi. Non te lo chiedo, ma seguimi. Vieni con me dove le temperature scendono sotto lo zero e io non so nemmeno che cosa significhi. Che cosa diventerò? Chi sarò, fra metti tre mesi, fra quattro, fra cinque. Fai sei. Fai fra sei. Sei mesi. Chi? Fammi. Fammi. Fammi sentire qualcuno. Raccattami. Raccattami dal cielo. Quando sarò alta, in alto. Alta sulle ali. Allungherai una mano. Ecco: allungala e pigliami. O pigliami. Tirami a terra: un aquilone. E: raccoglimi, come un sacco di ossa. Che la mia terra, vedi, che la mia terra. Che la mia terra ha l’odore dell’Afganistan. Che la mia terra ha l’odore della Siria. E raccontami che cosa hai visto, chi hai incontrato, che fine ha fatto, che fine ha fatto, che fine ha fatto il tuo collega. Il tuo collega tedesco. Quello che scattava fotografie nemmeno fossero d’oro le pellicole che usava. Una al giorno. Una. Alexander. Che nome buffo.
Dimmi, col sudore della fronte, che cosa hai visto. Dimmi
col sudore sugli occhi. Dimmi: che cosa? Che cosa hai capito di noi? E
del mondo? Che cosa hai capito delle bombe che ti sono arrivate vicine? E dei
proiettili che ti hanno fatto il solletico? E di quelle scene che ti hanno
sballato la testa? Fottuto il cervello. Ecco. Fottuto il cervello. Che cosa hai capito di quella, di quella, di quella bambina incontrata
a Kabul? Dimmi di lei. Anche di lei. Che fine ha fatto, dentro di te, signor giornalista?
Signor Arthur? Che fine ha fatto? Uomo? Sei un uomo, no? Sei? Sei un uomo:
Arthur? Che fine ha fatto la bambina afgana?
Prendimi, ora, per mano, ma non darlo
a vedere. Seguimi: dove sto andando. Anticipa, anzi, anticipa il mio arrivo.
Voglio che sia io a trovarti. A trovarti lì che mi aspetti. Me e tutti gli
altri. Dimmi, dimmi. Dimmelo, bastardo che fai finta di non esserlo, dimmi che
non sei morto dentro. Che poi, forse, io. Io ti dirò addio.
(Il 12 aprile è fra nove giorni. Cosa viene dopo un’ouverture? Un prologo? Per ritardare,
ecco, per ritardare l’inizio. Affinché non abbia mai fine. Anche se, tutto questo, potrebbe c’entrare un emerito zero).
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