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Due, che si baciano dentro la città. Con la lingua che sa di zenzero. E di menta. E, quella di lui, per essere onesti onesti, anche un po' di cipolla. Seppure lontanamente. Come un ricordo. Un ricordo di cipolla va bene, lo scambieresti per del cumino, con uno straccio di fantasia, che non guasta mai.
Per lei
è cumino, per lei che di fantasia ne ha da vendere e ora è già
altrove, e chissà quale, quale altrove. Stringimi, stringimi
bastardo, portami via da questa città che è grande, troppo grande, e non ha più voglia di
vivere. Ti prego: solleva la mia ombra e fanne la mongolfiera invincibile che
adorerei essere (ossìadorerei).
Fai di me la donna cannone senza
peso, la grassona che ha preso il volo, trasforma le mie quattro ossa
in una benedizione del cielo e gonfiale, con tutto il fiato che mi
pompi in gola, gonfiale fino a involarle che nemmeno, vedi, che
nemmeno, vedi, che nemmeno la torre di controllo potrebbe ordinarci di non decollare. E poi: are, are, are. Che bello: are.
Mi sembra che sia questo che tu, baciandomi, mi stai dicendo, giù
per la gola. Circolare. Circolare? Che sia? Che sia questa, la
parola? Circolare?
Che circolino i povericristi, che circolino le
ombre senza nome e senza paese, che circolino quelle figure, queste
figure, infilate dentro pezzi di stoffa regalati (mi piace, di nuovo,
il ritorno, la memoria della parola che ritorna: ati, ati, ati), regalati da una pietà che è soltanto furbizia del superfluo. Di chi
ha troppo. Le ombre che ora ci sfiorano e qualcuna mi tocca, per
poco, per poco, per poco mi tocca, ma vedi è più, vedi, è più,
vedi è più un rintocco. Un rintocco di vita. Le ombre che ora
sfiorano me e sfiorano te che ancora mi baci, che ancora mi stai
baciando e ci sfiora anche quell'imbecille che se non mi sbaglio ci
sta facendo una fotografia che tanto verrà mossa, verrà sfocata e
mi auguro anche che verrà scura. Così non ci riconosce nessuno.
Anche se poi, per finire, e per finirla, mi andrebbe di essere
riconosciuta, nelle tue braccia, strapresa come sono di te, strapresa
di voglia di andarmene via.
La stessa voglia che hanno quelle ombre,
queste ombre, senza nome, senza vita, senza nessuno che le prenda per
buone. Queste facce. Facce facce. Queste facce da profughi. Come,
vedi, come. Vedi. Come la mia. Con la stessa voglia di andarmene. E
sia pure appesa alle tue labbra. Per ora. Tuttavia: di andarmene. Via. E che
sia. Sia. Che sia nuova vita.
(Il 12 aprile è fra dieci giorni. Chiamiamola: ouverture. Anche se, forse, non c'entra nulla. Forse).
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