Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

sabato 5 gennaio 2013

A richiesta e - se posso dirlo - controvoglia.

(c) 2013 weast productions


A richiesta (ma controvoglia... esistono, insieme?) pubblico nella sua interezza il Senso del taccuino di oggi. Chi mi scrive dice di volere cogliere (respirare) la sospensione degli a capo. Le frasi spezzate e le parole che se ne stanno lì da sole come zitelle senza waiting list o, o, acrobati con i piedi pieni di ossa. Appunto. Aggiungo, soltanto, qui e come preambolo, che nella vita non si finisce mai di imparare, davvero. E che il senso dell'assurdo, arpionato a quello che vivi, si apre come un sipario nei momenti più inattesi. Due donne, ad esempio: presa l'una a decantare (e non importa in che lingua) le virtù del lardo di colonnata (apparentemente un antinfiammatorio prodotto da mamma natura o da sue perfettamente riuscite creature animali), l'altra nel dire che comunque un po' di colesterolo (a voler essere ottimisti fino in fondo, un po' di colesterolo soltanto, una goccia, va', di colesterolo...) il lardo di colonnata te lo causa. E la prima a concludere, meravigliosa nella ineluttabilità della vita che così dicendo riesce a isolare, che "se sono grassa, ma grassa bene, un motivo ci sarà." Non fosse stata pericolosamente e davvero piena di lardo, avrei concluso che era, come si dice, da mangiare. Ora il Taccuino.

Succede, viaggiando, di finire dentro ai libri che altri stanno leggendo. Succede in aereo, oppure standosene seduti al tavolino di un caffè. Non è educato, va bene, ma in realtà non serve nemmeno sbirciare le pagine per rubare qualche parola, una frase. Basta osservare i lettori, i loro volti: nasce così un nuovo racconto, nella nostra testa. E per chissà quale misterioso processo, finisce con il significare qualcosa per la nostra vita. Diventa parte della nostra esistenza. Come questo dialogo, fra un uomo e una donna, coraggiosi abbastanza per parlare di tutto. Probabilmente d'amore. Ma anche della morte.


LA TUA ESAUSTA INQUIETUDINE

Fatico a starti dietro. Voli, o quasi.
Io, maledizione, arranco.
Mi sento inutile e ti devo tutto.
Ho il fiato corto. Ti osservo...
Ti guardo, con il dentro.
Trovo, in te, lo specchio del mistero.
Emani silenzio. Il lavorio dei pensieri.
Sei, nel modo più compiuto: fragile e esposta.
Sei un'antenna, il polo dei miei inquieti viaggi.
Posso...?

Taci, ora. E ancora. Ascolta l'incerto fraseggio delle mie sillabe, poche.
Vivo al minimo.
Ho strappato qualche immagine al sogno. Le sole credibili.
Giro e rigiro fra le dita
amuleti incandescenti.
Cerco, in ciò che ha già dato tutto, l'augurale portafortuna.
Il fondo del senso,
in una sigaretta strafumata e lacera.
Capisco, nell'attimo, l'infinita complicazione.
Eppure, chiedo altro tempo.
Non si è mai abbastanza soli,
abbastanza per arrivare a capire l'ironia.
Della sorte.

Che fai, ridi? Proprio ora?
Mi imbarazzi.
Gli anni ti escono dagli occhi come cerchietti d'oro e d'avorio.
Ti piaceva metterli sotto i denti.
Sembra ieri.
E ancora oggi, questo suono è sé medesimo.
Credo di capirlo: tu, nel tuo crederti invincibile.
Posso...?

Testardo! Come il vento, sei.
Come il gelo che
immobilizza il faro: le parole si perdono nell'inganno (o è un vezzo, solo
questo?).
Puntano, convinte fino in fondo, a un altrove.
Non avranno mai più il senso auspicato.
Ascolta: nemmeno urlano. Sussurrano.
Hanno abbassato la cresta. Sono quasi e soltanto
suoni.
Portano se stesse, ed è già grande fatica. Il resto -
il senso -
è nel riflesso notturno.

Ti nascondi? Dietro le parole?

Tu hai paura. E non la guardi. Nonmiguardi.
I tuoi occhi implorano la fantasia:
che gli dia un altro mondo.
Io sto nel mio. Ormai.
Tu, stai buono. Risparmiati.

Dentro quanti viviamo? Uno, due, tre mondi?
Quanti ci andrebbero a genio,
per essere felici? E per sempre?
Sono una chiatta al traino: senza motore, senza
traccia.
Scandaglio con le dita la tua scia,
che si fa sottile.
Profonda, da vertigine, ad ogni metro.
Mantengo un ridicolo equilibrio: ho i piedi
di un vecchio trapezzista,
pieni d'ossa e senza muscoli.
Mi aiuto con le mani, stringo l'aria.
Posso...?

Non ancora, non ancora!
E via, che uomo sei?
Un uomo devi essere, che sappia stare al mondo.
Mostrami i segni -
e per davvero -
del terzo grado della vita,
i morsi di chi a pezzi ti vorrebbe.
Le lucenti e
trionfali
cicatrici. Che aspetti?

Guardami. Sono nudo. E trasparente.
Chiedo che il tuo sguardo mi trafigga. E faccia male.
Che lasci un altro segno, l'ultimo, se vuoi.
Che mi costringa a dire no, che non va,
che non si fa,
che non va bene.
E che non funziona, cristo, non funziona.
Noncosì. Nonora. Nonqui.

Cosa ti impedisce di farlo, di dirlo, di urlarlo?

A chi, per la miseria, a chi?
In faccia a chi, eh?, hai un idea?
Avanti, suggeriscimi qualcuno.
Dammi, se ti va, un'altra dritta, delle tue.
Disegnami la faccia di un cretino, da colpire,
le sembianze di un nemico,
da annientare,
alludi, perlomeno, al rombo di una folla,
da evitare,
al tuono di un disastro,
a cui scampare,
a una guerra da affrontare,
a una bomba da disinnescare.
Una trappola, un suo arteficie... Ci saranno, no?
Che fai, resti muta?
Sorridi?
S-o-r-r-i-d-i?
Come fai?

Non avrai risposte, scordatelo, da me!
Io sto dove sto e vedo ciò che vedo. Ora.
Ad esempio: sto con te, come mai sono stata.
E sto con me, come mai avrei creduto.
Dicevi: “ti osservo”.
Lo fai davvero?
Guardami: le parole,
come fiammiferi,
finiranno col bruciarti.
Dimenticale.
Cerca altrove.
Cerca negli occhi.

Nei tuoi?
Ho paura di finirci dentro, senza fondo.
Di vederti, per davvero. E proprio adesso.
Lascia che mi giri e mi rigiri
l'oro e l'avorio
attorno ai polsi.
Catena, o viatico per il mistero.
Io sono un perditempo.
Uno che di tempo ne ha da vendere.
Per me, certo, ma a che scopo?
Per te, per te, tutto per te.

La mia scia ormai come una lama: sottile e affilata.
Luccica al riflesso della notte,
ma non è il faro. E' ben altro.
Non ha un nome, non ha un luogo.
E non ha un senso altrove.
Ora, puoi...

Ora non serve piu': mi hai sempre saputo.
E io so te, sempre più forte.
Mentre apprendo,
senza impazienza, a decifrare la tua
esausta
inquietudine.  

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