In albergo. Stanza vuota. |
Divano.
Ma per capirci senza un perfetto sconosciuto dietro la testiera ad ascoltare le cose che hai da dire o a fare stupide
domande con le tue risposte scarabocchiate su un taccuino con una grafia tale
da renderle illeggibili. Quindi inservibili. Insomma, niente strizzacervelli. Divano di casa e basta. Me
ne sto sdraiato, a piedi nudi. Con la luce che entra morbida dalle finestre.
Due bastoncini di incenso che fumano senza fretta. Anch’io, senza fretta, faccio un giro. Dentro la mia testa.
Rivedo tutto. Le ultime scene e quelle vecchie di anni. Mi ricordo ogni singola
scena, da quando ho iniziato a filmare, e sono trascorsi più di dieci
anni. A volte le scene fanno
casino, si mettono insieme, scene del 2002 con scene del 2008 con scene di una
settimana fa. Sono tutte imparentate, tutte sorelle. Fanno bene, dialogano e lasciano apparire
similitudini e differenze. Ecco i
personaggi, i sei personaggi in
cerca d’autore: me li trovo davanti tutti insieme, e altro che sei, e in coro
rivendicano di essere mie creature, perché sono io ad averli osservati,
filmati, messi su una cassetta o una flash memory. Se sono così è perché io li
avevo visti così. Entrate pure
nella mia testa, dalla quale non siete mai usciti. Se sono sdraiato sul divano
è perché ero pronto, sono venuto io a cercarvi, perlomeno a segnalarvi che
stavo arrivando. Non aspettavate altro, non fate che attendermi. Solo, fate
piano, niente ressa. I vivi e i morti. I morti sono timidi e silenziosi, ci
sono bambini, donne, guerriglieri, soldati. Alcuni interi, altri a pezzi. I
bambini mettono il gelo, ancora, sempre. Gli altri si muovono con l’affanno
nervoso e terrorizzato dei feriti.
Cercano il respiro, lo rincorrono. Gli amici, quelli che non ci sono più, che facevano il mio stesso lavoro. Li guardo, a uno a uno. Li assicuro che non
dimentico nessuno e che non guardo nessuno con maggiore simpatia o compassione.
Sono tutti uguali ai miei occhi.
Un po’ nascosta dietro agli altri personaggi c’è una figura femminile, il capo
coperto, le mani magre e – lo so bene – ghiacciate. E’ la paura. Non le piace
mettersi in mostra: la sua presenza la avverto subito. Osservo anche lei, la
studio, la analizzo, per capire
come nasce, da dove, come si fa largo nella testa e poi dentro il corpo. E’ un personaggio importante, c’è
sempre. La paura non te la scrolli
di dosso nemmeno quando non la provi. E’ sempre accanto a te, si fa piccola,
minuscola, ma è pronta a gonfiarsi. La paura e la tensione. I nervi a mille. La
testa che gira e fuorigira mentre cerchi di valutare una situazione, una via
d’uscita, quando devi pensare a
tutto, anche a come portarti a casa vivo il tuo autista, che ha famiglia. Finalmente! Benvenuti, fatevi avanti,
spingete un po’, fatevi finalmente sentire: eccoli, gli autisti, gli
assistenti, vivi, questa volta, ma in visita anche loro, insieme a tutti gli
altri. Personaggi finiti dentro la memoria. Alcuni sono memorabili, mi
strappano subito un sorriso che diventa risata. Ne abbiamo viste tante insieme,
interi tragitti in automobile senza dire una parola dopo quello che avevamo
appena visto, non c’era nulla da dire, da poter dire. Eppure, quanti altri momenti
diversi, divertenti, fiammate nel buio, a riscaldare. Tutti insieme, tutti in
visita. E’ così: c’è la vita e c’è la morte. Mai sole. Sempre insieme. Anche
oggi, mentre me ne sto sdraiato sul divano. A dare udienza ai miei personaggi.
Ai fantasmi di cui non posso e non voglio liberarmi: non sarebbe giusto,
corretto nei loro confronti. Se ho voluto vederli, capire che cosa gli era
successo, raccontarli, è altrettanto giusto e corretto che restino con me. Chiedo soltanto che vengano a trovarmi meno
spesso, che a volte siano loro a dimenticarsi di me. Finora non mi hanno
ascoltato. Credo mi ritengano
invincibile, instancabile. I bastoncini d’incenso sono
consumati oltre la metà. I personaggi si ritirano. Respiro, lentamente. L’immagine di un albero, gonfio di
verde, è sempre stata la mia preferita. Ora ho soltanto quella davanti agli occhi.
Peró, caro Gianluca, accolto l'invito di Xenia ne è sortito un testo che mette sottosopra le emozioni. Come potrebbe essere diverso d'altronde? Creare un distacco fra quello che fai e quelli che sei presumo sia impensabile. Sarebbe come tradire le tue creature, svalutarle. Quei personaggi che ti hanno affidato un'immagine, una voce, magari l'ultimo respiro, di certo la dignità, ripetutamente tornano. Ti hanno letteralmente investito, travolto nel tempo, si sono aggrappati a te senza chiederti nulla, ma ora simbolicamente, hanno delle aspettative. Probabilmente quelle rivendicazioni assopite o perdute che ora tu rappresenti per loro e te ne fai portatore, testimone storico. Potrebbe sembrare un dolce fardello. racchiude peró, presumo, una pienezza di scelte lodevoli e coraggiose, che hanno peró anche il sapore del dolore. Ne resti in balia, a volte con piacere (le chiami le attendi) a volte con fatica (la frequenza, l'elaborazione). La "personificazione" della paura (intendo come l'hai descritta) è stupefacente ... Non credo di averla mai incontrata vestita così. Un solo invito Gianluca, non ti sentire troppo "responsabile" di troppi personaggi ... Sappi dosarli e tenerli a bada, tanto loro non stanno più cercando in autore, lo hanno già trovato, sanno dove sei. Buona giornata. Leila
RispondiEliminaGRAZIE, è per il momento l'unica cosa che riesco a dire...pensavo di averti già risposto ieri sera, ma vista la stanchezza e l'ora devo solo averlo immaginato, oppure niente di più semplice aver schiacciato il pulsante sbagliato.
RispondiEliminaVorrei che il mio abbraccio ti arrivasse realmente, a volte un gesto, una carezza, valgono più di mille parole.
Xenia.
Grazie Leila, oggi ho visto la paura sul volto di un uomo, un palestinese, che cercava (e ce l'ha fatta) di cacciare un ragazzino dal suo piccolo campo di battaglia: il ragazzino, solo, davanti a un gruppo di soldati israeliani che gli puntavano addosso i fucili, uno con una granata lacrimogena, gli altri fucili fucili. Quell'uomo aveva la faccia di uno aggrappato a una corda sottile consapevole che forse non basterà a tenere insieme il mondo. Il mondo era quel bambino che rischiava una pallottola. Il mondo, poi, si è ricomposto, quando il bambino è corso via e i soldati, sparito il nemico armato di un sasso grande come un portafortuna da viaggio, sono saliti sui loro 4x4 blindati. E la paura si è allontanato dall'uomo che avrebbe potuto anche passare di li' e tirare dritto.
RispondiEliminaFigurati Xenia, era li', non aspettava che di essere chiamata, piccola confessione o condivisione.
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