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"La guerra", mio cortometraggio (30 min.) , sarà proiettato nel quadro del 1° Forum internazionale Generazioni nel cuore della Pace, dal 30 settembre al 2 ottobre. Una proiezione avverrà sabato 1 ottobre ore 13.00, Sala C, primo piano del Palacongressi. Consultare il programma per altre proiezioni. Se qualcuno ha tempo di andarlo a vedere mi farebbe piacere avere un riscontro. Chi non ha tempo o voglia può vederlo anche QUI, abbiamo risolto i problemi di scaricamento.
La prima proiezione è prevista per sabato 1 ottobre dalle 13.00, dovrebbe essere proiettato una seconda volta nel corso del pomeriggio...purtroppo me lo perdo attendo quindi un'altra occasione, o una copia del dvd, da guardare con più tranquillità.
RispondiEliminaXenia
Grazie Xenia per le tue info, informatissima come sempre. DVD è promesso. A presto.
RispondiEliminaBuonasera Carol, puoi darci un feedback della proiezione del cortometraggio di Gianluca "La guerra" che dovresti aver visto oggi alle 13? Io purtroppo impegnata altrove e mi sono "limitata" a visionarlo sul PC. Grazie per eventuali tue sensazioni e considerazioni ... Lo sguardo della bimba che si tappa le orecchie presumo che le sia insopportabile il rumore della guerra e i suoi derivati mi ha particolarmente colpita. Buona serata. Leila
RispondiEliminaQuel ticchettio a scandire il tempo. Fastidioso. Non sai nemmeno bene cosa sia. Elicotteri. Silenzio. Spari. Silenzio. Ritmi che crescendo, portano nervosismo dentro di te. Non sai qualche immagine ti verrà mostrata e, anche quando la vedi, fai fatica a capire di cosa si tratta. Ho come la sensazione che certe immagini io non le abbia volute capire. Silenzio. Per strada. Passi. Di nuovo in casa. Un’esplosione. Tu stai li e bevi tutti quegli attimi di vita, seduto su quella sedia, assapori la guerra. Poco importa se non capisci chi sono i cattivi. Poco importa se quel ragazzino non riesce a trattenere le lacrime, quando da lontano osserva la salma di un suo, probabile, caro. Genitori straziati. Occhi impauriti. Non importa. La guerra sembra andare avanti e tu stai li a guardarla. Sei così preso da quel “niente” che non riesci a staccarti, nemmeno quando lo schermo diventa nero. Silenzio. Lo fissi. Applausi. “Andiamo?” “Si” “No, aspetta! Non posso andare in giro con questi occhi.”.
RispondiElimina________________
Questo è ciò che ho scritto a freddo. Pagina bianca e mani sulla tastiera. Poi l’ho riguardato al pc. Con calma. Riguardandone qualche frammento e saltandone altri.
La scelta del sonoro l’ho apprezzata molto. Non perché fosse particolarmente bello, ma perché ti butta completamente dentro e, anche quando sposti gli occhi, senti. Un po’ come in “Guerre”, quando non ne potevo più di quel continuo sottofondo di guerra tra le sale del castello. E penso che per noi è facile. Basta uscire, togliere le cuffie. La bambina ci prova a non sentire. Ma lei non può uscire.
Non sempre invece ho amato quei frammenti così brevi, quegli spezzoni di vita troncati, a volte, troppo presto. Alcuni li conoscevo e per questo li ho capiti. Non so se possono aver avuto lo stesso effetto per chi li vedeva la prima volta, dal nulla. Ho sentito più volte che “mancava un pezzo”. Forse è solo curiosità.
L’immagine con il bambino che tiene in mano una pistola e la punta al cielo, invece, l’ho vista. E ho incontrato, o forse cercato, gli occhi dell’amica che mi accompagnava. Increduli. I suoi e i miei.
Vorrei spiegarvi la sensazione che ho provato in sala. Mi sono sentita come imprigionata tra queste immagini. Cercavo di pensare ma, li per li, non riuscivo. Mi è sembrato di far parte di ricordi, non quelli raccontati, quelli che ancora si scontrano nella mente, quando ancora dobbiamo elaborarli, mandarli giù. Si, forse è così che mi sono sentita.
Io apprezzato molto lavori come “la fede sotto controllo”, “Gaza: liberi di morire” e la stupenda intervista di “Creativity is dissidence”. Questo mi ha un po’ spiazzato. Riprendeva il tratto spezzato di “Gaza: liberi di morire” o i commenti sintetici che in genere accompagnano i tuoi documentari. Da questo di capisce che è un tuo “prodotto”. Ma ci ho visto una nuova chiave di lettura, diversa. Un esperimento? O forse sei semplicemente convinto, che farci entrare, senza preparazione e senza filtri, in quella realtà, sia il modo migliore per provare a capirla.
Riproporre l’applauso qui è impossibile, ma … Grazie.
Carol, grazie a te per quello che scrivi, per come lo scrivi, per come anche tu hai scelto i frammenti, una sorta di lingua a pezzi, credo la sola forma che ancora ci permetta di comunicare sentimenti e pensieri, oggi. E' vero, hai colto nel segno: manca sempre un pezzo. Quando ti metti in testa di raccontare la vita degli altri giungi, immancabilmente, alla conclusione che un pezzo manca. Che non riuscirai mai a raccontarla tutta. Ma se dentro la mente di chi guarda riesci ad innescare il desiderio di continuare il racconto hai raggiunto un obiettivo, per quanto modesto, ma concreto. Lasciare che la vita degli altri continui dentro la nostra vita. Che sia la nostra vita a dare un seguito, una ulteriore narrazione alle esistenze che si presentano davanti ai nostri occhi. E' la mia positiva ossessione. Grazie ancora.
RispondiEliminaGrazie a te per la risposta.
RispondiEliminaMi ha suscitato una riflessione però. Quando mi pongo delle domande, quando voglio cercare delle risposte, sento il bisogno di SAPERE, di raccogliere informazioni per poi elaborare tutto e trovare una mia chiave di lettura. A volte lascio perdere, lo ammetto. Ma in genere è ciò che faccio. Tu non credi che "quel pezzo che manca sempre" possa non aiutare a trovare un perchè? Che possa aiutare piuttosto a lasciar perdere, a prendere ciò che vedo come un dato di fatto, pur terribile che sia? Non è un'accusa. E' una riflessione "ad alta voce" trascritta qui. Lascio a te/voi...
Un'altra domanda invece. Sento che devo fartela perché già la prima volta che ho visto il filmato me lo sono chiesta, e quando ne ho rivisto un frammento in "Guerra" è tornata prepotente la stessa domanda nella mia testa.
Mi riferisco al frammento in cui si vedono degli uomini portare una barella di corsa, in un sentiero forse di collina, con tantissimi giornalisti attorno che corrono con loro. Perché hai scelto di proporci un'immagine come questa? Sinceramente a me ha provocato entrambe le volte una sensazione di fastidio e incomprensione. Non riesco a capire che messaggio, che valore volevi fare arrivare.
Mi rivolgo a te (soprattutto per la seconda domanda) ma sarei curiosa di sapere anche le altre reazioni suscitate.
Carol
La risposta è in ciascuno di noi. La risposta non va mai fornita. La domanda, soltanto, quando va bene. C'è sempre un pezzo che manca: manca nella nostra vita, vuoi che non manchi nella vita degli altri, nell'illustrazione dell avita degli altri. Il perché è in noi, in ciascuno di noi. Suggerire una risposta sarebbe fuorviante, violento. Soltanto produrre la necessità di cercare, questo vale. Il bambino sulla barella? I giornalisti? Il fastidio deriva dalla visualizzazione del nostro mestiere di reporter: vogliamo mostrare il mondo e per farlo ci comportiamo come i colleghi che rincorrono a barella nel filmato. Che osa preferiamo? Non sapere o sapere che per vedere queste immagini le cose vanno cosi'? Se vuoi mostrare la realtà devi andare vicino. Hai mai visto gli sforzi dei soccorritori che cercano di resuscitare un morto? La scena è violenta, ti verrebbe da dire "lasciatelo com'è, ha vissuto, è morto, fine". Eppure a volte funziona, a volte la vita torna. Documentare quel ragazzino in questo modo, cioè mostrando chi a sua volta lo sta documentando, credo inneschi proprio questa reazione: testimoniare la violenza è un atto di violenza e di violazione. Ma lo è - per restare nella metafora dei soccorritori - per resuscitare il senso, il valore, il mistero della vita quando a negarlo è la morte imposta e indotta da altri esseri umani. Il fastidio è un filtro. (Detto fra parentesi, anche la cornice nella quale il filmato è stato mostrato era un filtro, il palcoscenico di un buonismo fuori rotta).
RispondiElimina"a volte la vita torna."
RispondiEliminaUn po' come le immagini a volte arrivano alla gente e suscitano emozioni. Sono contenta di aver condiviso questa mia emozione che ho chiamato fastidio perché mi è sembrato il termine che più si avvicinava a ciò che ho provato. Ho letto ieri sera la tua risposta e ci ho pensato. Mi ha aiutato a comprendere meglio quel disagio nel trovarmi a guardare quelle immagini.
Se tramite la tua telecamera assisto direttamente ad una scena mi dico "è giusto mostrare la realtà, nella sua forma più vera". Se quello che vedo è il COME SI FA a mostrare questa scena, mi chiedo "come fate a stare li e correre e puntare gli apparecchi sulla vittima, sui soccorritori? come fate?".
Mi rendo conto che è più facile stare li davanti ad un video, catapultato in un'attimo di vita. E' più facile NON vedere cosa succede attorno a questo attimo. Hai ragione tu quando parli di violenza e di violazione. Egoisticamente io non vorrei sapere della violenza del filmare quella scena. Non vorrei vederla quella violazione. E' veramente più facile.
Ho aperto gli occhi. E non mi ero resa conto di averli chiusi.