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Inizia, con questa prima puntata, il racconto di una storia raccolta in giro. Vera, come è vera la realtà. Cattiva, come è cattiva la realtà. E da ridere. Come è da ridere la vita. Alcune puntate potranno essere seguite, dal vivo (che vuol dire live), su PERISCOPE. Su Twitter seguite e commentate #lastoria. Anche questa storia è scritta dal vivo.
Si sarebbe dovuto decidere a lavare le
tende. Un giorno o l'altro. O a chiedere a Li' Pin di farlo. Povera
Li': che soffriva di sciatica e aveva una gamba di legno e una paga che le
bastava soltanto perché dormiva dentro una stanza con altre cinque
Li'. Alcune con la sciatica. Altre con la gamba di legno. Guardare
quelle tende lo metteva di cattivo umore, era come avere i polmoni
davanti agli occhi tutto il fottutisimo giorno. Le tende, una volta
bianche, avevano col (breve) tempo acquistato un colore malsano di un
giallo intenso, con striature di marrone che si accentuavano dove le
pieghe facevano delle rugone. Delle rughe cazzose. Quando il vento,
entrando dalla finestra spalancata sul mattino (dalle dieci in poi
chiudeva le imposte, per la cronaca), muoveva le tende, le dondolava lentamente o le
faceva sbattere uguali alle gambe di un moribondo che cerca aria, il
giallo si fondeva con il marrone. Francamente, pensare ai suoi
polmoni in quegli istanti, davanti a quello schifo, non lo metteva di
buon umore, mai; e nemmeno lo aiutava a trovare (o ritrovare)
quell'ispirazione che, negli anni trascorsi, non gli aveva mai fatto
difetto, anzi era stata una sorgente dalla quale sgorgavano idee,
immagini, parole. Anche parolacce. Le parolacce gli erano sempre
piaciute, anche se non aveva potuto scriverle, non sempre. Nemmeno
dirle. Non ovunque, perlomeno. Le parolacce sono uno slogan, un pugno
alzato – pensava. Dissidenza dello spirito. Uno che non dice
parolacce non è libero, nella vita. È un pirla.
Pensava che doveva tagliarsi le unghie
dei piedi, perché non si sa mai quando ti ricoverano d'urgenza
all'ospedale o ti succede il miracolo di incontrare una donna che ti
dice di sì: qui e ora. Tutto quello che vuoi. Diiiio. Gli sarebbe
piaciuto sapere di buono, e non di fumo o di carta. Profumare –
aspetta che sparo una cazzata – di lavanda. O di pino silvestre,
meglio ancora. Il massimo sarebbe stato: di acqua di colonia. E di
unghie lunghe. Dei piedi. Aveva l'equilibrata consapevolezza di
offrire al mondo un quadro squallido. Si sarebbe dovuto decidere,
inoltre, a fare fuori – massacrare – quell'enorme vespa che si
era attaccata alla tenda. Le piaceva il giallo. Lo spray, che teneva
sotto il lavandino della cucina, era vecchio abbastanza per avere
perso, almeno in parte, la sua efficacia, quanto bastava per farla
soffrire a lungo, quella bestia schifosa: voleva sentirla rantolare
sul pavimento, sulla terra di nessuno che separava la finestra dal
divano, voleva sentirla chiedere aiuto, chiamare il 144, chiedere
perdono per tutti i peccati, le scappatelle, le scopate nei cessi, le
balle raccontate, i crimini compiuti, i morti sulla coscienza. Tirare
le cuoia. Uiui. Voleva metterle l'orecchio destro sulla pancia e
ascoltare il suo piccolo cuore di cartilagine farsi sempre più
piccolo e debole, fino a precipitare dentro il buco nero
dell'insufficienza cardiorespiratoria e sparire, ma non senza averci
messo una pena indimenticabile, una faticaccia, rotolare e capire, ad
ogni botta, che stava diventando sempre meno, sempre meno cuore,
mentre si lasciava dietro una lunga striscia di rimpianti, soltanto,
e di parole mai dette. Vuoi mettere parolacce... Sai che le parolacce
liberano? Che dicono la verità?
Si sarebbe dovuto alzare da quella
maledetta sedia alla quale aveva inchiodato il culo, andare in
cucina, aprire l'armadietto sotto il lavandino, tastare con la mano
nello spazio esiguo (oooo) che separava il sifone dall'inalatore per
i raffreddori, e afferrare lo spray. Un giorno o l'altro l'avrebbe
fatto. Questione di guarire le mani dalle ultime botte, chiudere
quelle cazzo di piaghe che gli si erano formate sulle nocche dopo
avere tamburellato come una beschtia sulla faccia di quel perduto che
si era trovato davanti e lo aveva frantumato per strada, buttato giù
con l'ira allegra di uno che ha deciso di rifare il mondo, a modo
suo, cominciando da lui e senza nessun altro in giro. Lo aveva
santiddio massacrato, scambiandolo (davvero?) per la pagina che restava immobile
e senza traccia. Davanti ai suoi occhi. Sapeva essere cattivo, quando
serviva. Li' Pin stava entrando nella stanza accanto, come al solito
senza camminare. Sorvolava il mondo, maledetta zoppa! Aveva aperto la
porta, messo dentro per prima la gamba buona e la sua ombra di matita
storta si stava ormai e rapidamente incollando alla parete. Fra un
istante, sarebbe stata accanto a lui. Non finiva mai bene, quando Li'
entrava così.
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