Questa non è una predica. È una
constatazione. È un modo per dire come va il mondo. Che va come è
sempre andato. Gli sfigati le prendono, gli altri molto meno, anzi:
le danno. Botte da orbi. Soltanto che in guerra si parla di bombe (e barili esplosivi) +
cecchini + raffiche ad alzo zero su donne e bambini e vecchi che sono
quelli che corrono meno e, per dirla fino in fondo, corrono che più
da fessi non si può: dei veri bersagli che è una pacchia. Ma non ve
l'hanno insegnato a scuola come si corre sotto il tiro di un
cecchino? No? Aggiornate, allora, il vostro curriculum. Il mondo va così.
Immaginare che qualcuno lo abbia inventato (creato) mettendoci sette
giorni equivale ad accettare l'idea (il datodifatto) che francamente
– e senza rancore - ci è andato un po' di fretta. Una settimana in
più non avrebbe fatto male a nessuno. È tutta una questione di
tempo.
In merito, la dimostrazione più seria e
autorevole giunge da un articolo della NZZ del 20 marzo 2015 (per
fortuna scritto ormai quasi non più sotto il segno dei Pesci: io sono dei
Pesci e faccio trincea per difendere i miei fratelli e le mie sorelle
di zodiaco). L'articolo lo trovate cliccando QUI. Perché ne parlo?
Perché è un elegante mea culpa della stampa occidentale. Lo
spunto per questo articolo è un'esposizione di fotografie accessibili dal 10 al 21 marzo (oltre no: iniziava la primavera, vuoi mettere,
c'è da tirar fuori i sandali, seccature zero) presso il Palazzo
delle Nazioni Unite a New York. Fotografie scattate e trafugate da un
fotografo forense siriano che per 13 anni ha fedelmente documentato ogni tipo
di cadavere per il suo governo ("suo" contiene, a posteriori, il sapore di vittima indiretta relativamente al fotografo). A partire dal 2011, in
particolare, incluso ogni tipo di tortura e di mutilazione subite dai
corpi di chi con il governo/regime non andava d'accordo. Bastava una
frase sprayata su un muro. L'esposizione è una botta pazzesca.
Pensata – cito da un articolo del Guardian – per sensibilizzare i
collaboratori delle Nazioni Unite sui crimini commessi da chi, oggi,
risalita la china, è a due passi dall'essere riconsiderato un
interlocurtore credibile e commestibile per sistemare la Siria. Se
non stessi scrivendo queste righe, sarei già fuori a fare jogging
per calmarmi. In passato ho segnalato alcuni link di studiosi che
mettono in relazione l'ascesa del radicalismo estremo in Siria con una
strategia dei servizi di intelligence del regime: non mi
ripeto e ammetto, nel contempo, l'inconfutabilie possibilità che la
situazione sia sfuggita di mano a tutti. Il caos è il clima
all'interno del quale si sviluppano le guerre per mandato, le guerre
degli altri. Quelle che creano mostri perché i mostri, essendo al di fuori dell'immaginabile, non recano con sé un copyright. Sono figli di tutti, ma soprattutto di nessuno.
L'articolo della NZZ, che lascio alla
vostra paziente lettura quando avrete il tempo e il desiderio di
intraprenderla, è però interessante per questo: ammette, senza
dirlo (ma in fondo non glielo chiedeva nessuno di dirlo
esplicitamente) che la stampa occidentale si è sbagliata quando,
stufa di tutti quegli arabi che si mettevano a protestare, si è
ritrovata fra le mani la Siria e ogni volta che da questo Paese
giungeva un'immagine ne metteva in discussione l'attendibilità. Si
trattava di immagini che mostravano i manifestanti sotto una doccia
di pallottole sparate dai soldati del governo. Ecco il punto al quale
volevo arrivare. Questa insostenibile presunzione cartaceo-elettronica ha
contaminato anche il lavoro di chi, dal terreno, portava a casa
(nelle redazioni, sui Blog, ecc.) materiali che chiedevano,
perlomeno, di considerare il ruolo del regime di Damasco nella
violenza che si stava scatenando. È successo raramente che qualcuno ci prestasse attenzione. C'è voluta
una esposizione fotografica fatta uscire in segreto dalla Siria per
spiegare ai collaboratori delle Nazioni Unite (e al mondo, in questo
senso), che erano vere le storie che raccontavano persone come
quest'uomo, ritratto in fotografia, appena liberato (in cambio di
qualche militare precedentemente fatto progioniero) dal regime di
Damasco. Torturato e liberato.
© 2015 weast productions |
Che cosa ci insegna questa storia, che
forse l'ho fatta anche troppo lunga? Che la verità è tale quando i
poteri decidono di dichiararla per vera. Le Nazioni Unite sono un
potere fra i poteri, riuniscono i potenti e ne incarnano le
intollerabili contraddizioni, le menzogne, il tanfo. Attendevano il
fotografo ufficiale dell'obitorio di Damasco, le Nazioni Unite, per
dire ai loro collaboratori e al mondo che nelle carceri di Assad si
pratica la tortura. È l'ufficializzazione della realtà,
indifferente alla verità. La verità l'hanno raccontata i
giornalisti, molto prima dell'esposizione presso le Nazioni Unite a New
York. Quelli che ci hanno lasciato la pelle, in Siria, e quelli che,
fortuna loro, sono tornati a casa. Interi abbastanza per definire
(con il proprio lavoro) questo organismo, che li ignora e ha sempre
ignorati, un circo di tromboni.
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