Domani nel Senso del taccuino sulla Regione: "L'esperienza del vuoto". Qui di seguito il solito estratto (questa volta ho fregato le parentesi…):
La strada è gialla e
arancione. Le pozze d'acqua riflettono i fari di qualche rara
automobile che trascorre. Schegge di luce fatta a pezzi si staccano
dal selciato sporco e vanno a finire chissà dove nella notte che
ormai si è impossessata di tutto. Piove ancora, lentamente. C'è uno
strato di plastica sottile fra il mondo e chi lo guarda. La pioggia,
toccando terra, manda un rumore metallico. Due uomini camminano, uno
accanto all'altro, il più piccolo in realtà saltella, per schivare
le pozzanghere; l'altro ci finisce dentro, echissenefrega, fosse
soltanto questo. L'uomo piccolo è furbo. L'altro è inquieto. L'uomo
piccolo sa che il suo accompagnatore vuole qualcosa e forse – forse
proprio per questo – la sta tirando per le lunghe, e chiama l'acqua
“figlia di un postribolo” e la strada inondata e scivolosa
“brutta bastarda”. Una vecchia insegna al neon ronza succhiando
elettricità, in preda a un tremito che, avendo tempo, uno potrebbe
anche provare pietà. L'uomo piccolo succhia nicotina da due dita
della mano destra, prima che sia troppo tardi. Il fumo della
sigaretta sale, lungo il braccio, sopra e sotto la stoffa, e da sotto
la stoffa torna fuori, come se avesse preso fuoco tutto il corpo e
non fosse rimasto che un osceno e inguardabile pezzo di carbone. Non
ora, ti prego, dice fra sé e sé l'uomo più grande, che non pregava
da tempo, senza di te non ritroverei la via per tornare in albergo.
Fosse, aggiunge in silenzio, soltanto quella. La patina gialla e
arancione della notte non è uniforme e perfetta: a una decina di
metri dai due un fascio di luce violentemente bianca esce da una
porta aperta, con tanta forza da suggerire l'ingannevole immagine di
qualcuno che, dall'interno, la sta spingendo sulla strada.
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