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Domani nel Senso del taccuino sulla Regione: "Lo sguardo di Giles sulla vita". Qui di seguito il (solito, grrrr….) estratto:
Ci
eravamo salutati con un abbraccio appena fuori un ristorante di
Londra, pieno di gente che discuteva di progetti, di cose da fare, di
come raccontare il mondo, come mostrarlo, come non trascurarlo. Di
guerra. Di guerre. Per due ore buone avevamo fatto anche noi la
stessa cosa. Io partivo per la Siria, Giles per l'Afghanistan. Gli
avevo detto “take care”, che nel nostro lavoro è una formula
scaramantica: “stai attento”. E Giles: “stai attento tu, cosa
vuoi che possa ancora capitare a me?”. Si dice, nel nostro lavoro,
che uno che ci è andato vicino porta bene. Giles ci era andato
vicino, addirittura troppo. Nel 2011, in Afghanistan, aveva messo il
piede su un ordigno improvvisato: l'esplosione gli aveva portato via
due gambe e un braccio. Molti, in Ticino, lo conoscono, perché è
stato ospite di una memorabile serata pubblica nel giugno del 2013.
Sembra ieri. Il suo nome è Giles Duley e, a parte le fesserie
scaramantiche che ci diciamo fra reporter, questo ragazzo ti mette
addosso una voglia di vivere irresistibile. Meglio: una voglia di
crederci. Ad esempio, credere che valga la pena raccontare il mondo,
la vita di quelli che non contano e non risultano, quelli che la
cronaca se li porta via, li spazza via, e che la storia, citandoli,
trasforma se va bene in numeri, in percentuali, ma non gli dà un
nome. Non glielo dà mai. Giles è un duro, e testardo: un altro, al
suo posto, oggi non c'era più. Lui, in questo istante, è in Vietnam
a fotografare quelli che non risultano. È il progetto della sua
vita. Lo ha intitolato The
Legacy Of War,
“L'eredità della guerra”. Guerra al singolare. Come è giusto
che sia: come una categoria inscindibile dall'essere umano, una
(parziale, ma nemmeno tanto) definizione del suo essere al mondo e
sulla terra, intesa come pianeta.
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