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Una sera di qualche tempo fa (nemmeno
tanto) me ne stavo seduto sulla terrazza di un caffè di Antiochia,
Turchia. Insieme a un fotografo americano e a uno turco-americano
(diceva lui). Due giorni dopo saremmo dovuti entrare, l'americano ed
io, in Siria. Il fotografo turco-americano si era aggiunto non si sa
come: sapeva di tutto, ma non di fotogiornalista. Ci ha messo poco a
capire che non aveva scelto la compagnia giusta, la mia perlomeno, e
se ne era andato. L'altro, il fotografo americano, si stava scolando
la decima birra e, in una sorta di delirio, diceva che andavamo
incontro se non a morte sicura, sicuramente a un principio di
dissanguamento e che quindi lui si sarebbe scritto il gruppo
sanguigno sul petto, così se (quando) lo avessero colpito, con una
fucilata, avrebbero trovato subito il tipo di cuvée che
scorre nel suo sangue e gli avrebbero salvato la vita. Cristo:
nemmeno a Hollywood ci arriverebbero... Gli avevo chiesto: e se ti
sparano a una gamba, che cosa ci trovano scritto? Silenzio. Avevo
capito che in Siria ci sarei entrato da solo (e mi andava molto
meglio così), perché l'americano aveva guardato troppi film. È
andata così: la notte prima della partenza, a poche ore dalla
macchina che ci avrebbe recuperati, l'americano mi aveva mandato un
messaggio: febbre alta, rinuncio. Good luck.
Racconto questa storia per raccontarne
un'altra, che però prevede la presenza del fotografo americano con
la febbre, anche se in quel momento non ce l'aveva ancora, aveva
soltanto bevuto un po'. Sulla terrazza del caffè ad Antiochia, si
alzano due uomini, sulla trentina, e parlano americano. Il fotografo
li sente e capisce che sono paesani, si rivolge a loro: “Ehi,
ragazzi, che cosa fate qui?”. Risposta, dei due: “Siamo
archeologi!” E ciao, spariti. Antiochia era, a quel tempo, e lo è
oggi ancora, crocevia di tutti i traffici immaginabili, una città in
cui incontri tutto il catalogo del genere umano. Se c'è, di questo
catalogo, una categoria che ha fatto le valigie è proprio quella
degli archeologi. Zero, partiti. I due giovanotti americani erano
agenti segreti, o consulenti militari, oppure osservatori, qualsiasi
cosa che possa avere a che fare con una qualche agenzia governativa.
Che sagome: archeologi. Uguali al fotografo turco-americano. Sagoma,
anche lui. Una superpotenza senza intelligence (senza
informazioni) non è nulla. È un elefante sui pattini.
Chissà quali informazioni hanno
raccolto, queste agenzie, visto che siamo giunti alla situazione di
oggi. Il termine “levantino” è un complimento, anche se i
dizionari ne registrano un'applicazione in senso spregiativo. Nel
contesto in cui vogliamo utilizzarlo, è definizione di persona che
sa fare i propri interessi, prendendo per i fondelli gli altri,
spesso i suoi nemici. Se non è un complimento questo. Siamo tentati
di dare un'occhiata in giardino, la sera, prima di andare a dormire:
che non ci sia in giro qualcuno dello Stato islamico. Non si sa mai.
Questa entità è nata da una consapevole e calcolata operazione che
ha, come centro di comando, Damasco, il governo siriano, le sue
agenzie di intelligence. Nel Blog ho già avuto modo di
segnalare alcuni studi in proposito. Non si possono dimostrare linee
di comunicazione dirette, non ancora, ma si può fare un paragone: se
continui a grattare una ferita non appena fa la crosta, primo non
guarisce, secondo diventa più grande. È successa la stessa cosa.
Damasco, a partire dal 2003 (invasione dell'Iraq da parte di USA e
alleati), si è presa una fifa pazzesca di fare la fine di Bagdad. E
allora, sai cosa faccio? Ti mando tutte le teste calde che circolano
nel mio Paese, e visto che con l'Iraq ci confino pure, faccio in modo
che attraverso la frontiera ci possano passare anche gli allucinati
che vengono da altre nazioni. Aggiungete un ulteriore ingrediente:
qualche tagliagole incarcerato in Siria. Fuori cella, anche lui, vai
in Iraq! Così vi passa la voglia di esportare la democrazia in Medio Oriente… La politica, signore e signori, funziona così. Il tempo passa, questi in Iraq si stufano, non c'è più
granché da fare e da tagliare, tornano. Dove mandarli? In Libano, ad
esempio. Vedi, al proposito, la “guerra del campo” di Nahr El
Bared, 2007. Salafisti proclamano lo Stato islamico nel Nord del Libano
(sottolineo: eravamo nel 2007). L'esercito libanese cannoneggia il
campo. Finita.
Salto temporale. Primavera araba,
blablabla, contagio in Siria. Prime reazioni ufficiali da Damasco: i dimostranti sono terroristi. Mmmhhh.... Andrebbe anche dimostrato. Si apre un
nuovo scenario per il popolo della guerra religiosa. Ri-benvenuti in
Siria. Obiettivo: colpire più l'esercito sconclusionato degli
insorti e disertori (Free Syrian Army), che chiedono la democrazia
(cusa l'è?) che non il regime di Damasco (che pilota i fondamentalisti, in primis salafisti, e
lascia fare con occhio vigile). Va bene così: perché la versione
ufficiale damascena piano piano si rafforza e si innesta sulla
vulgata del mondo occidentale: guerra contro il terrorismo. Che è
sacrosanta, se soltanto non fosse così poco trasparente. Oggi,
Damasco è in guerra contro il terrorismo. L'innesto è compiuto. Lo
stesso terrorismo a cui gli Stati Uniti hanno dichiarato guerra, per
combattere la quale sono in cerca di alleati. Non farebbe una piega,
se soltanto non ci fossero gli elementi per sospettare (perlomeno
sospettare) che questo terrorismo sia stato costruito con sapienza e
intenzione da chi lo ha utilizzato come cortina fumogena per
delegittimare una insurrezione popolare. Se combattiamo lo stesso
nemico, vuoi che, finita la guerra, ci mettiamo a farcene un'altra
tra di noi? No.
Si sta parlando di “armare i ribelli
siriani” che, in questo modo, potrebbero ora servire da prima linea
nella guerra contro i terroristi dello Stato islamico. Sapete perché
non vado al cinema? Perché mi basta osservare il mondo. Si vuole
armare gli insorti oggi per dirottarli contro lo Stato islamico.
Quando si trattava di armarli contro il regime di Damasco, che
bombardava i civili di Homs e bombarda sempre e ancora quelli di
Aleppo, nulla. Armi, giammai! Nemmeno gli aiuti umanitari entravano. Che storia.
Se, prima, c'erano (anche giustificate)
riserve sul comportamento dei ribelli siriani (Free Syrian Army, poi
Al Nusra et alii), ma in particolare su FSA a causa di esazioni,
furti, ricatti, pressioni ecc. nei confronti della popolazione
civile, oggi tutto questo è cancellato. Servono alleati sul terreno,
visto che non ci mandi i tuoi soldati. Se non sei di bocca buona, di
alleati non ne trovi.
Dicono che quelli dello Stato islamico
si finanzino (anche) con il petrolio estratto in Siria e venduto al
governo siriano e sul mercato nero turco. L'immagine che pubblico
mostra come, nella provincia di Deir Ez Zor, oggi in mano al
Califfato, alcuni disperati raffinavano il greggio destinato al
mercato locale (poca roba) e a quello (turco) oltre il confine. Il cielo era nero del fumo velenoso che si alzava dai campi. Persino le pecore avevano il pelo nero. Non
so chi fossero, a quale gruppo appartenessero questi "raffinatori". Nella zona, all'epoca,
c'era solo Al Nusra, non ancora i seguaci del Califfo, e c'erano,
chiaramente, ancora quelli della Free Syrian Army. Quando ci
accorgevamo della loro presenza, voglio dire di quella di Al Nusra, i
miei accompagnatori siriani ed io ci facevamo un gran giro attorno, a
questa gente.
Tutto questo per dire che per giungere
alla situazione di oggi è servito un bel po' di tempo. Mi chiedo
soltanto come mai i due archeologi di Antiochia e tutti i loro colleghi
non se ne siano accorti prima. O se ne sono accorti?
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