La presidente della Confederazione Micheline Calmy-Rey aveva la scelta : partecipare o non partecipare ai funerali di André e Corrado, i ragazzi ticinesi rimasti uccisi nell’attentato di Marakkesh. Ha deciso di non partecipare. E’ un suo diritto, privato e istituzionale. Ma ha sbagliato. La sua decisione dimostra l’inadeguatezza del personaggio nei confronti del ruolo che si trova a rivestire (ricordo, per quello che puo’ valere, che la sua elezione a presidente aveva a suo tempo toccato un minimo storico di voti, ma non si tratta di questo). Ci sono momenti in cui un politico deve sapere decidere, senza indugi, per dimostrare che il suo mestiere non è fatto soltanto di calcoli e strategie. Micheline Calmy-Rey avrebbe reso testimonianza profondamente umana e lanciato un segnale forte, di partecipazione e di unità del paese. Un paese che avrebbe cosi’ dimostrato di sapersi trovare nel dolore (e non soltanto il primo d’agosto), di essere in grado di partecipare alla sorte avversa che colpisce gli altri. Si sarebbe fatta interprete, la signora Calmy-Rey, di uno stile politico che osa uscire dai muri di palazzo, che sa ancora parlare alla gente e, nel toccare corde umane, scoperte dal dolore, è capace di farsi interprete di una esperienza collettiva del lutto, della disavventura, della tragedia. Uno stile anche (soprattutto) umano. Per come si è espressa al TG 20 del 6 maggio su RSI (« non c’ero e se c’ero avevo altri impegni», sintetizzo), Micheline Calmy-Rey ha mostrato una superficialità fuori luogo e ha perso una duplice occasione: esprimere direttamente le condoglianze di Palazzo e dell’intero paese alle famiglie e agli amici dei due giovani e mostrare che la Svizzera esiste come tessuto umano e non soltanto come etichetta. Micheline Calmy-Rey, interpretando (testardamente) un suo diritto, ha omesso di fare il suo dovere di presidente.
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