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Che quest'anno Gesù Bambino sia una bambina afgana.
La bambina si chiamava Sajida Ali.
Aveva cinque anni. È annegata alcuni giorni fa nel mare davanti a
Cesme, nella provincia di Smirne, in Turchia. Se quest'anno
accettassimo di chiamare Gesù Bambino Sajida, daremmo prova di una
forza immensa. Di coraggio. Compiremmo, tutti insieme, un atto di
resistenza. Nei confronti del mondo per come va. Nei confronti di chi
vuole farlo andare così. E nei confronti di chi è soddisfatto che
vada così. Di chi pensa che non cambierà mai. E di chi non ci pensa
nemmeno a cambiarlo.
Sto terminando il mio libro sul viaggio dei profughi di guerra lungo la rotta dei Balcani. Ho cercato, parola dopo parola, di
evitare la retorica, che viene fuori così facile in questo casi. I
sentimenti rischiano di diventare retorica. Quindi: niente
sentimenti. Raccontare, soltanto, il coraggio di queste persone che
si mettono in viaggio per cercare una vita diversa. Diventa,
osservandoli, il nostro coraggio.
La morte di Sajida, e la morte, oggi
(alle 2.30 di questa mattina), di altri sei bambini afgani, annegati
anch'essi al largo di Cesme: sono la più devastante denuncia nei
confronti dello “Stato islamico” e di chi lo utilizza alla pari
di un esercito di mercenari. Ho sempre constatato, in Occidente, la
disponibilità di molte persone a leggere la realtà. A volerla
capire. A provare, anche, un sentimento di solidarietà e compassione
nei confronti degli esseri umani in fuga dalle loro terre, più
recentemente dei profughi che attraversano i Balcani. Circolano
inquietudini e tanti legittimi interrogativi, certo, ma ci sono anche
la solidarietà e il desiderio di aiutare queste persone. Non è la
nostra indifferenza che lo “Stato islamico” vuole colpire: è la
nostra solidarietà, la disponibilità ad interessarci a queste
persone, anche ad accoglierle, il coraggio di discutere,
pubblicamente, posizioni di chiusura politica nei loro confronti, di
rivendicare il loro diritto a una vita migliore. Anche dopo che
giovani radicalizzati (ma radicalizzati mi sembra essere già un
complimento, propongo di definirli “giovani azzerati”) hanno
colpito una città come Parigi. Questa è la nostra forza. A muovere
gli assassini, invece, è il vuoto, la percezione del proprio
fallimento individuale, colmato con il materiale da ripiena della
religione. È soltanto rabbia nei confronti di chi ha il coraggio di
discutere la politica, le scelte strategiche, le decisioni anche
belliche prese dai propri governanti. È invidia nei confronti del
ragionamento e dell'indipendenza che esso regala. È ignoranza ad
alzo zero messa di fronte a chi, invece, chiede di sapere e capire e
discutere.
Ecco cosa mancava agli infiniti
commenti e alle infinite analisi degli scorsi giorni e delle scorse
settimane, prodotti in seguito agli attentati di Parigi (e se
vogliamo, anche dopo l'attentato in California). Gli errori
dell'Occidente, i reali e indiscutibili errori dell'Occidente nelle
sue campagne militari in Medio Oriente e in Afghanistan e ora in
Siria non c'entrano nulla. Non ne sanno nulla, gli azzerati dello
“Stato islamico”, i ragazzi che decidono di aderirvi. Sono, a
volere essere di manica larga, una copertura, mandata a memoria
insieme alle formule religiose di cui infarciscono i loro deliranti
proclami postati nella rete. Cercano, soltanto, ripiena con la quale
colmare il vuoto che hanno dentro. Il vuoto che sono. E del quale –
vedete: anche di questo – ci rimproverano di essere noi i
responsabili, quando invece non lo siamo. Il fallimento di
un'esistenza ha sempre e soltanto l'individuo quale autore e quale
unico responsabile. Ne ho incontrati, so di cosa parlo.
Dietro a tutto questo, dietro ai
proclami e dietro a questa inarrestabile corsa a un testo religioso,
auspicata e assecondata, per altro, da ambienti e gruppi e
istituzioni e centri culturali e Stati interessati a un asservimento
degli individui al “testo” e al pretesto che esso incarna, dietro
alla radicalizzazione religiosa, sono nascosti, nell'ombra, i veri
burattinai. Quelli che la sera bevono alcol e fumano insieme, di
nascosto. Gli stessi che concedono alle loro truppe, alla
soldataglia, il diritto allo stupro e all'esercizio della schiavitù.
Avevano bisogno di un esercito per prendersi la rivincita dopo
l'invasione americana e occidentale dell'Iraq (tutto gira attorno
all'Iraq) e lo hanno trovato. Per reclutare le nuove leve hanno
intuito la necessità di fare riferimento all'”amor di patria”.
Quale patria? Lo “Stato islamico”. Il richiamo non è esercitato
da un Costituzione che sappia garantire a tutti pari diritti e pari
doveri, bensì dalla riduzione all'esperienza letterale (e quindi:
elementare) di un testo considerato sacro, non per la sua presunta
sacralità, ma – in funzione degli obiettivi dello “Stato
islamico” - per la brutalità (interessata e indotta, suggerita,
incanalata) che qui e là una lettura letterale (la sola di cui, a
malapena, gli accoliti sono capaci) autorizza. È il potere ipnotico
della religione. Diciamo: delle religioni. Una religione, per tornare
all'argomento che ci occupa, proposta, va da sé, non in funzione di
un'accettazione dell'altro come tuo fratello, bensì dell'altro come
tuo nemico. La religione si presta. Qualsiasi libro si presta a una
infinità di interpretazioni: ogni lettura individuale è
un'interpretazione.
Gli intellettuali laici capaci di
opporre un discorso alternativo a questa precipitazione negli abissi
innescata dall'oscurantismo religioso sono stati incarcerati e
torturati fino a spingerli – i più fortunati – all'esilio, e
quelli meno fortunati alla tomba. È successo in Iraq. È successo in
Siria, ad opera del regime di Bashar al Assad, che ha avuto e ha la
sua parte nella creazione e nella proliferazione dello “Stato
islamico” (si leggano gli studi in materia, alcuni disponibili su
internet). Proprio quel Bashar al Assad con il quale oggi qualcuno –
e più di qualcuno, e addirittura qualcuno di insospettabile –
chiede di allearsi per sconfiggere lo “Stato islamico”. Il mondo
non è mai andato diversamente.
Ecco: per rendere omaggio alla nostra
forza e alla nostra capacità di ragionare secondo categorie umane e
quindi soltanto secondariamente e trascurabilmente religiose,
propongo che quest'anno Gesù Bambino sia una bambina afgana. E che
si chiami Sajida.
Se non è chiedere troppo.
Benvenuta nel mio presepe piccola Sajida.
RispondiEliminaQuanti Gesù Bambini.... sono più numerosi dei pastori ormai!