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Domani nel Senso del taccuino sulla Regione: "La solitudine degli oggetti". Qui di seguito il consueto estratto:
Gli oggetti sono crudeli: sanno stare da soli. Ad alcuni conferiamo, tuttavia, una funzione consolatoria: gli chiediamo di portarci fortuna, di farci compagnia, di farci sorridere, di farci sentire amati e, persino, di farci amare. Oppure di ricordarci un pezzo della nostra vita, una persona cara, una incontrata e mai più vista. Chiediamo loro anche di farci dimenticare un altro oggetto, di cui hanno preso il posto. A volte arriviamo vicinissimi all'intuizione della crudeltà degli oggetti: quando ne conserviamo uno o più di uno, che alla vista o al tatto riconduce al nostro presente un momento o qualcuno, passati entrambi, non più esistenti, verso i quali pronunciamo l'invocazione a riessere, a tornare. In questi casi, dagli oggetti non ci attendiamo che producano memoria, che la inneschino attraverso un'esperienza sensoriale. Auspichiamo che denuncino l'errore che condiziona la nostra vita: il suo essere finita. Ci attendiamo da loro che riparino tale errore neutralizzando l'esistenza della parola passato e celebrino l'eternità del presente. Uguale a dire che conferiamo a tali oggetti un potere miracoloso: la capacità di riavvolgere il tempo. Compiamo l'esperienza della crudeltà degli oggetti quando concludiamo (siamo costretti a concludere) che questa magia non è possibile. Non avviene. Gli oggetti se ne stanno da soli e non ci chiedono nulla. Siamo noi a chiedere.
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