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Varda disse: «È il momento». Zanka mise il colpo in canna e sussurrò: «No». A Varda giunse soltanto “o”. Spinse sul freno col piede destro: la calza di nylon prese fuoco. Il piede mandò un disperato segnale d'allarme. La sua pianta suggerì: «Troppo tardi, addio». Tronk ebbe il tempo di chiedersi: «Uh?». Aveva il cervello di un essere umano meno un terzo: quello glielo avevano asportato due anni prima, per evitargli di andarsene in giro con grassi frammenti di piombo spappolati qui e là dentro la materia grigia. Mai stata facile la gioventù, per lui. Tronk era un omone fatto di carne e di intestini. E di quello che c'è dentro gli intestini. Mise il muso fuori dal finestrino. Zanka aveva preso la mira tre secondi prima. La pallottola masticò i centimetri. E qualche metro. Non vedendo l'ora di godere stava già godendo. Giunse a destinazione e fece: plof. Tronk lasciò un interminabile pensiero sospeso nel vuoto, senza rimpianti, non lo avrebbe mai portato a compimento comunque. Il suo cranio non oppose resistenza, non lo fecero nemmeno le sue meningi. Nulla. Zanka disse: «Che figata». Varda non osò alzare lo sguardo. Ebbe, invece, addosso quello di Zanka. Le due ragazze si alzarono e uscirono dalla sala giochi tenendosi per mano. Presero dal guardaroba i loro fucili di precisione Barrett M82, consegnati due ore prima, perché nel locale era proibito entrare con addosso le armi. Zanka pensò che Varda non aveva ancora visto nulla della vita. Varda concluse che era stato un peccato per le sue calze. Fuori infuriava la furia. Krat le stava aspettando a bordo di un Humwee blindato. Aveva la barba che spingeva dalla pelle come tanti chiodi. Uguali a innumerevoli pistole infilate nella cintura dei pantaloni. Il suo gippone aveva i vetri spessi cinque centimetri. Sarebbero giunti al fronte tutti insieme, facendo festa. Varda serebbe stata la prima a fare fuoco. Per davvero, questa volta. Zanka se l’era ripromessa. La cosa strana, la sola in quella distesa di corpi vacui, era che non si vedeva anima viva. In giro.
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