Raccontare


SPAZIO ALLE STORIE CHE NON SONO STATE RACCONTATE ALTROVE. ALLE PERSONE INCONTRATE E RIMASTE SUL TACCUINO. OPPURE A QUEI PENSIERI CHE MI PASSANO PER LA TESTA VELOCI COME UNA PALLOTTOLA: SE NON LI FERMASSI, LI PERDEREI.

mercoledì 20 luglio 2016

"Trascorrere incubi inascoltati". Si può scrivere?

Oggi ho visto Dio. Dentro l'autobus che, all'aeroporto, mi portava all'aeronave. Che bello dire: nave. E che bello scrivere: Dio. Che se Dio (dio) è davvero fatto così, non finiremo mai di cascarci. Basta uno che se lo scriva addosso.


L'intuizione che sarebbe successo, che lo avrei visto, visto forse no, ma insomma, che qualcosa ci sarebbe stato, oooh se ci sarebbe stato, l'avevo avuta il giorno della partenza, tempo fa, la partenza verso la destinazione dalla quale oggi sono tornato, per esplicitare. Tutti, a un momento dato, si sono messi a guardare verso l'alto. Tutti. Verso l'alto dove? Verso chi?


A parte la signora, di ragguardevole età, e tuttavia agile, ancora molto agile, che per lei "Dio fammi fare una corsa al Duty, ferma l'aereo!" è il massimo. Capito?


Cosa c'è di più spirituale del desiderio di aspirare al possesso? Del consolatorio invaghimento? In che cosa, scusa? Sia pure. Sia pure del consolatorio invaghimento in una crema antirughe?

Oppure di: eeeh sì. Che cosa c'è di più spirituale di un miraggio? Questo, for example:


Se non è, si capisce, chiedere troppo. Ma lo è. Lo è. Resta tutta quanta carta, allora, carta a colori in alta risoluzione, carta a milioni di pixel, sulla quale appiccichi i tuoi occhi, oggettivamente stanchi a settanta e rotti anni, anche se. Anche se. Anche se ancora tutto sommato arzilli. Nonostante tutto il resto che sta per succedere. E che anzi, anzi, che anzi succede. Ora. Sta succedendo nel momento del click. Che succede ora.

Sarebbe, di lì a poco, morta gente. Molta povera gente. Anzi sta morendo. A qualche migliaio di chilometri da qui. Ed è come, è come, è come se questa vecchia matta ignorata da tutti ne avesse l'intuizione. L'anticipazione terrorizzata, schizzata, frantumata: prigioniera della follia alla quale nessuno bada. Anche se, forse, dovrebbe. Dovremmo.


Ancora: l'anticipazione depositata come se nulla fosse nella furia del vecchio zoppo e senza tetto - zoppo e senza tetto (ZST) - che si lancia verso una panchina vuota sulla quale trascorrerà la notte. E i suoi incubi, inascoltati. Si può dire: trascorrere incubi inascoltati? Si dovrebbe poterlo scrivere. Almeno scrivere, se non proprio dirlo.


Quanti incubi, dentro ciascuno di noi. E di loro:




C'è, vedi, nello sguardo rivolto verso il basso, e non necessariamente, non sempre, verso Dio, verso il basso perdio!, l'intuizione della vita. L'intuizione di come tutto accada nello stesso istante. E di come noi siamo capaci di sentire e di esprimere, senza saperlo, senza saperlo fino in fondo, se non l'anticipazione, l'anticipazione certamente no, il senso però, questo sì (this one yes!), il senso della confusa consapevolezza del suo accadere. Dell'imminente accadere della vita altrove. Del suo accadere mentre la nostra vita resta vita e va avanti. Come vita. Quella che chiamiamo vita, tirandocela, o non tirandocela, capendoci o senza capirci un emerito zero.

Così:


O, nuovamente (ma non: diversamente), così:


E così:


E così:


E così ancora:


Potessi spiegartelo, fino in fondo, cara ragazza che ti chiami Ludovica (sempre meglio che scriverci "Dio", sul cappellino da baseball), ti direi che la vita è come un libro: succede di tutto, succedono anche i fatti più dolorosi, e da sempre, e sta a te capire da dove provengono e perché.


Se soltanto questo ragazzo... Se soltanto cosa? Se soltanto e basta. Se soltanto. Capisci?


E se soltanto, se soltanto, glielo avesse detto prima, questo signore a questa signora ormai non più tanto ragazza, se soltanto le avesse confessato priiima quanto la desidera, da una vita, quanto aveva voglia di tenerla così, con la mano quasi sul, con la mano quasi sul, con la mano quasi sul culo, magari avrebbero avuto più tempo. Lo avrebbero oggi, entrambi. Più tempo. Più vita.


E se soltanto glielo avessero detto, a questo schianto di giovane donna, dove sarebbe andata a finire, fra i sacchi dell'immondizia di Atene, per fare un esempio, che è quello che fa al caso in questo caso, magari non ci sarebbe stata, non si sarebbe fatta fotografare. Magari no.


C'è che. C'è che?

C'è che siamo un po' tutti così.


Guardiamo tutti in alto. Verso dio o verso Dio, che però lì non c'è, non c'è. Non c'è. Non c'è? Saperlo, saperlo, saperlo. Basterebbe questo, questo non saperlo, per rendercelo più simpatico, a tutti. Per renderci più simpatici quelli che non fanno che parlarne. Per stare, una volta, una volta tanto e, per dire, una tantum, una tantum zitti. Una tantum.

Una chi?

Lascia stare.

C'è che. C'è che?

C'è che abbiamo messo troppo in alto, contro i muri, attaccate ai muri, inchiodate ai muri, anche le finestre attraverso le quali, da casa nostra, dalle case nostre, guardiamo il mondo.


Che non è lì. Non è in alto. Il mondo. E nemmeno dio. O Dio. Oddio. o. dio. o.d.i.o.


Non ci guarda dall'alto. No, sir. Non ci guarda e basta. 

Dio come si sta bene, pensando che non c'è. Che non ci sei. Che ci siamo soltanto noi. 


Soltanto noi. In giro. In giro e basta. Per capirci qualcosa. Quel minimo che si può. Se. Se si può. Prigionieri - o soltanto fintamente prigionieri - fra quello che conviene...


... e quello che è così fottutamente difficile da capire. O: da digerire. Dopo averlo capito. Dopo. Soltanto dopo.


Questo è un prologo ad alcuni consigli di lettura (in lingue diverse) per invece capirci qualcosa di ciò che sta accadendo nella nostra realtà e al mondo. E che non è diverso - in nulla diverso - da quanto è sempre accaduto. A presto, quindi.

(Copyright 2016, testo e immagini sono proprietà di Weast Productions Sagl. Riproduzione e linking soltanto dietro autorizzazione esplicita dell'autore e dell'agenzia).

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