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La cosa più bella è che te lo sto
tenendo io, il cane. Mentre tu scrivi. Mentre tu rispondi. A chi? A
chi? Te lo sto tenendo a un guinzaglio morbido, oh se è morbido, oh
se è morbido, delicato, elegante, impalpabile, quasi: la bestia cosa
peserà, un chilo? Oh se è morbido, attorno al dorso e attorno al
palmo, attorno alla mia mano. Mia mano. Un collare di velluto nero
che non ha ancora esaurito il tepore del tuo collo. E che vorrei
tanto averti slacciato, diciamo trenta secondi fa, con la sapienza di
un uomo che sa, oh se sa, oh se sa, come si tratta una donna. Averti
slacciato uscendo vivo dalla meravigliosa trappola della tua nuca, superando indenne i cavalli di frisia dei tuoi orecchini. Dici che rispondi a un'amica. Che ti ha appena scritto. Io le tue
amiche le ho sempre odiate. Per restare nella metafora che mi
traghetti, da una parte all'altra del tavolino, senza nemmeno alzare gli occhi. Quante amiche hai? Quante amiche hai, tesoro? Possibile che facciano, tutte
quante, le scrittrici? Che si mettano tutte quante a scriverti
proprio ora? Diciamo nel medesimo istante in cui stavo per dirti. Sì,
per dirti. Che stavo per dirti che a casa mia, a Buenos Aires, ci
sarebbe posto per te. Anzi c'è. Per te. E per il tuo cane. Non bevi?
Hai il bicchiere ancora pieno. Guarda il mio. Guarda il mio mioddio.
Sta raggiungendo un livello di guardia negativo. Dov'è il cameriere?
Dove sei, garçon? Adoro farmi fare a pezzi dalla tua crudeltà.
Chiedo soltanto che avvenga con l'anestesia.
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