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Domani nel Senso del taccuino sulla Regione: LO SPECCHIO E LA GUERRA. Qui di seguito il tradizionale (…) estratto:
Eccetera, eccetera. Aveva raccontato abbastanza. Gli pareva. Anche un sacco di balle. Oh sì: un sacco di balle. Non per cattiveria. Lo aveva fatto per quel senso di assoluzione che ne derivava, mentre il sole scaldava il giusto e l'aria era fresca abbastanza per non sudare. La donna era stata ad ascoltarlo: ad occhi aperti. Si erano fatti sempre più grandi e sempre più rotondi mentre il suo racconto prendeva forma e addirittura si era fatta rotonda anche la bocca, che a un certo punto era diventata una grande “O”, depositaria di una sorpresa che non aveva più posto dove stare, e lui aveva pensato che se fossero passate di lì una mosca, oppure una farfalla, le sarebbero finite dentro, e chissà come avrebbe reagito la donna, ma non era passata nessuna mosca e non era passata nessuna farfalla. Aveva raccontato di essere un medico, perché avrebbe sempre voluto diventarlo. Di avere una moglie bellissima e quattro figli, perché gli sarebbe piaciuto avere una famiglia. Di abitare in una casa grande, inondata di luce, convinto che se la meritava. Di avere molti amici, tutti morti, purtroppo. Questa era stata l'unica verità. Una mezza verità. Alla donna non aveva detto che li aveva ammazzati lui. Quasi tutti. Come avrebbe potuto raccontarle la guerra? Raccontarle ciò che la guerra aveva fatto? Fatto di lui? Come spiegargliela?
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