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Non ho ancora bussato che lui apre la porta e dice: “Ciao”. Come avrà fatto? Ha tempo da vendere: mi aspettava. Due che si guardano. Dirgli: come parli bene l'italiano. “Grazie. Io provare”. Varcare la soglia. Finire dentro la luce fioca. Sotto una lampadina da 40 watt. L'ombra sul muro mentre richiude non distinguibile dalla sua origine. Dice: “Prego, bere caffè”? Caffè sempre, grazie. “Prego”. Corridoio stretto e in fondo una stanza separata da una tenda marrone forse mai lavata o forse venduta così, e oltre uno spazio angusto con dentro quattro corpi e fortuna che c'è una finestrella dietro a spurgare aria calda e viziata, nulla contro i quattro corpi, eppure quattro corpi hai voglia se scaldano e non solo. “Io fare”. Il caffè è una benedizione laica in infinite situazioni della vita. Berlo è pregare nel vuoto. Lui: va via. Dove? Forse in cucina (se ce n'è una). Il rumore di un barattolo di latta che viene aperto. Di un cucchiaio che gratta la latta. Di bicchieri o tazzine. Di acqua che corre da un rubinetto. Di lui che tira su dal naso. Della caffettiera messa su una piastra. Di lui che tira su dal naso. Ancora.
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